1.

Quando un ministro arriva a dire “ora riformiamo la giustizia”dopo una sentenza che dichiara inapplicabile una normativa in contrasto con il vigente diritto dell’Unione europea, facendo richiamo al principio gerarchico delle norme sancito dalla Costituzione, tutti i cittadini dovrebbero preoccuparsi del degrado dello Stato di diritto e dunque della democrazia nel nostro paese. A Salvini duole che i tempi tagliola ideati con il cd.Decreto Cutro per i ricorsi nelle “procedure accelerate in frontiera” non abbiano cancellato del tutto i diritti di difesa previsti dall’art.24 della Costituzione. E per questo motivo si scaglia contro la recente decisione del Tribunale di Catania che non ha convalidato alcuni decreti di trattenimento emessi a carico di richiedenti asilo tunisni, detenuti nel nuovo centro per “procedure accelerate in frontiera” situato nell’area industriale al confine tra i comuni di Modica e Pozzallo (Ragusa).

Adesso il rischio concreto che si corre è che il governo cerchi di ottenere per via amministrativa, sulla pelle dei richiedenti asilo, con una valanga di dinieghi per chi proviene da “paesi sicuri”, quel segnale di “cambio di passo” da dare all’elettorato, dopo una serie di disfatte a livello internazionale. Non c’e stata infatti alcuna copertura per la richiesta della Meloni di un “blocco navale” davanti alle coste libiche delegato ad unità europee e libiche. Solo il rinnovo della vecchia missione Eunavfor Med attiva dal 2015 e denominata adesso IRINI. Che non e’ più a guida italiana ma e’ passata sotto il comando di un ammiraglio greco. Un flop internazionale dietro l’altro, fino all’ultimo Vertice di Malta. Non rimane che affidarsi ai metodi violenti dei guardiacoste libici che si continua a sostenere. E rilanciare in Italia politiche repressive basate su una serie interminabile di decreti sicurezza e di misure amministrative (respingimenti, espulsioni, detenzione amministrativa).

Da parte della Meloni e del suo governo si contava su modifiche alla normativa europea in materia di procedure ed accoglienza dei richiedenti asilo, contenute nel più recente Patto su migrazione e l’asilo che ancora oggi non è stato approvato, nè dal Consiglio, nè dal Parlamento europeo, di fatto anticipandone alcune previsioni, che sono fortemente contestate perchè ritenute lesive dei diritti fondamentali e del diritto di asilo, già stabiliti dalla vigente normativa europea. Lo scontro in atto con la Germania sulla richiesta italiana di criminalizzare i soccorsi umanitari allontana le prospettive di una intesa sul Patto che divide i paesi membri sia sulla prospettiva interna (redistribuzione) che sui rapporti con i paesi terzi (esternalizzazione).

2.

Già a maggio di quest’anno l’UNHCR Italia, Agenzia ONU per i rifugiati, aveva inviato al governo un “documento tecnico”contenente raccomandazioni sulle disposizioni in materia di asilo contenute nella Legge 5 maggio 2023 n. 50, il cosiddetto decreto Cutro. A suscitare “profonda preoccupazione” si segnalavano diverse disposizioni che presentavano delle “criticità” rispetto alla compatibilità con “la normativa internazionale sui rifugiati e sui diritti umani”, in merito “alla fattibilità delle misure previste», al potenziale “impatto sul sistema d’asilo” e allo «spazio di protezione garantito a richiedenti asilo, rifugiati e persone apolidi”. Il governo ignorava tutti questi rilievi e procedeva spedito all’inasprimento del Decreto Cutro, fino ad introdurre la detenzione amministrativa generalizzata,con una cauzione per evitare il trattenimento, e ridurre al minimo i diritti di difesa e le possibilità di ottenere il riconoscimento di uno status di protezione per i richiedenti asilo provenienti da paesi ritenuti “sicuri”.

L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattutto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

I provvedimenti resi dai Questori che stabiliscono il trattenimento amministrativo non possono essere privi di motivazione su questo aspetto essenziale e vanno garantiti i diritti di informazione al fine di individuare la “procedura più appropriata per ciascun caso”.

La vigente direttiva procedure (dir. 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013) con gli articoli da 36 a 39 disciplina in termini molto dettagliati i contorni della nozione di Paese di origine sicuro e le conseguenze di tale nozione sulle procedure di valutazione delle domande. Nelle fonti europee non vi sono norme specifiche che stabiliscano il trattenimento amministrativo generalizzato dei richiedenti asilo provenienti da paesi terzi ritenuti “sicuri”. Che non si rinvengono neppure nella Direttiva rimpatri 2008/115/CE, ancora in vigore. Che invece impone una tutela rafforzata in caso di vulnerabilità della persona.

In base alla nota sentenza della Corte di cassazione (prima sezione) n. 4455 del 23.2.2018, la condizione di “vulnerabilità” può “avere ad oggetto anche la mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standard minimi per un’esistenza dignitosa”, oltre a poter essere “la conseguenza di un’esposizione seria alla lesione del diritto alla salute, non potendo tale primario diritto della persona trovare esclusivamente tutela nel d.lgs. n. 286 del 1998, art. 36” o ancora “essere conseguente ad una situazione politico-economica molto grave con effetti d’impoverimento radicale riguardanti la carenza di beni di prima necessità, di natura anche non strettamente contingente, od anche discendere da una situazione geo-politica che non offre alcuna garanzia di vita all’interno del Paese di origine (siccità, carestie, situazioni di povertà inemendabili)”. Secondo la Corte “Queste ultime tipologie di vulnerabilità richiedono l’accertamento rigoroso delle condizioni di partenza di privazione dei diritti umani nel Paese d’origine perché la ratio della protezione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona che ne integrano lai dignità”.

3.

La sentenza del Tribunale di Catania, e le altre che potranno arrivare nello stesso senso, si limitano a fare coerente applicazione di principi già affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea e dalla Corte di cassazione. La contraria affermazione di parte governativa secondo cui le modalità procedimentali introdotte dal cd.”Decreto Cutro” (legge n.50/2023) sarebbero corrispondenti a quanto previsto da Direttive europee non corrisponde al vero ed è destinata a produrre un grave disorientamento nell’opinione pubblica, che viene indotta a ritenere che si tratti di questioni meramente interpretative e non di gravi lesioni dei diritti fondamentali delle persone.

Il Tribunale premette innanzitutto che “la Corte di giustizia dell’Unione Europea -Grande Sezione- nella sentenza 8 novembre 2022 (cause riunite C-704/20 e C-39/21), ha chiarito che “l’articolo 15, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, l’articolo 9, paragrafi 3 e 5, della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, e l’articolo 28, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, in combinato disposto con gli articoli 6 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che
il controllo, da parte di un’autorità giudiziaria, del rispetto dei presupposti di legittimità, derivanti dal diritto dell’Unione, del trattenimento di un cittadino di un paese terzo deve condurre tale autorità a rilevare d’ufficio, in base agli elementi del fascicolo portati a sua conoscenza, come integrati o chiariti durante il procedimento contraddittorio dinanzi a essa, l’eventuale mancato rispetto di un presupposto di legittimità non dedotto dall’interessato”. Appare quindi fondamentale il richiamo al noto orientamento della Corte costituzionale, secondo cui la normativa interna incompatibile con quella dell’Unione va disapplicata dal giudice nazionale (Corte cost., 11 luglio 1989, n. 389).

Nessuna “scelta ideologica” dunque da parte del giudice, come sostenuto da Salvini e da Donzelli, braccio destro della Meloni, nel corso di una trasmissione televisiva, ma una coerente applicazione di principi di diritto in base al principio di gerarchia delle fonti normative scandito dall’art.117 della Costituzione italiana. Un principio che è stato chiaramente ribadito dalla nota sentenza della Corte di Cassazione n.6626 del 16-20 febbraio 2020, sul caso Rackete, che molti oggi preferiscono dimenticare, anche per il peso che potrebbe assumere nel procedimento penale ancora in corso a Palermo sul caso Salvini/Open Arms, nel quale si riscontra lo stesso sovvertimento delle fonti normative, con la sovrapposizioni di decreti legge e decisioni amministrative a principi imposti dal diritto internazionale e dai Regolamenti europei.

Il giudice catanese aggiunge che “gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE “devono essere interpretati nel senso che ostano, in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura” (CGUE (Grande Sezione), 14 maggio 2020, cause riunite C-924/19 PPU e C-925/19 PPU).

Il Tribunale di Catania ricorda poi che “l’art. 6 – bis del D. Lgs 142/2015 prevede una garanzia finanziaria che non si configura come misura alternativa al trattenimento ma come requisito amministrativo imposto al richiedente prima di riconoscere i diritti conferiti dalla direttiva 2013/33/UE, per il solo fatto che chiede protezione internazionale”.

In sostanza il richiamo ad una garanzia finanziaria prevista dal Decreto Cutro (legge n.50/2023), per evitare l’applicazione della misura del trattenimento amministrativo nei casi di procedure accelerate in frontiera, non comporta una reale “alternativa” alla misura limitativa della libertà personale, anche a fronte della sua conclamata inapplicabilità, già sotto il profilo dei termini ristretti e dell’assenza di documenti validi degli interessati, ma costituisce soltanto un passaggio formale e scontato per una applicazione generalizzata della detenzione amministrativa per tutti i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi ritenuti “sicuri” che, avendo minime possibilità di accoglimento della propria domanda di protezione, sarebbero “destinati” ad espulsioni “veloci”, per usare i termini adottati dagli esponenti del governo. Non sembra possibile, in altri termini, ipotizzare alcuna “equivalenza funzionale” della garanzia finanziaria con la misura del trattenimento amministrativo imposta dal questore per tutti i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi ritenuti “sicuri”.

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