Nel ventesimo anniversario dall’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale e dei Protocolli allegati, approvati a Palermo nel 2000, e dopo il fallimento di Giorgia Meloni sulle richieste portate all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e sul “cambio di passo” richiesto all’Unione Europea, il Governo italiano organizza a Palermo una Conferenza internazionale.

Oggi [ndr], i ministri e le delegazioni di 34 Paesi si confronteranno nell’aula bunker dell’Ucciardone su “La Convenzione di Palermo e i suoi protocolli sulla tratta di persone e sul traffico di migranti: strumenti giuridici e operativi per affrontare le attività criminose nel contesto del Mediterraneo”. Tra gli altri interverranno il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio e il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. I lavori saranno conclusi dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.

Decine di organizzazioni, a partire dal Forum antirazzista di Palermo, Maldusa project e Mediterranea Palermo, hanno organizzato una manifestazione cittadina per protestare contro l’operazione di strumentalizzazione dei ministri e utilizzare, «nell’aula intitolata ai giudici Falcone e Borsellino, l’immagine di Palermo come simbolo della lotta alla mafia» per proseguire invece una brutale politica anti-migrazione e di vera e propria guerra alle persone, nulla a che vedere con l’antimafia”.

Al centro dell’iniziativa sarà la questione degli accordi con i paesi di transito e di origine nella lotta contro l’immigrazione illegale, che da anni si traduce nella collaborazione con autorità nazionali che non rispettano i diritti umani e non garantiscono alle persone migranti alcuna tutela di fronte agli abusi subiti dai trafficanti, ma anche dalle milizie e dai reparti militari impegnati nel controllo delle frontiere e nel contrasto dell’immigrazione clandestina, che spesso, in assenza di canali legali di ingresso, viene favorita proprio da queste autorità, colluse con le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico.

Come denunciato dalle numerose organizzazioni che hanno promosso una azione di protesta in occasione della Conferenza di Palermo “accordi come quello siglato con la Libia non contrastano la criminalità organizzata ma la favoriscono, finanziando direttamente, con le nostre tasse, autorità e milizie accusate di crimini contro l’umanità e che dal traffico di esseri umani traggono costante profitto. Accordi come quello con la Tunisia legittimano prove di dittatura e destabilizzano i Paesi incrementando soltanto la necessità di fuggire e le pratiche di sorveglianza violenta delle frontiere, con l’abbandono e le catture in mare e nel deserto. Questi accordi sono illegali e condannati dalle stesse Nazioni Unite e dal Consiglio d’Europa”.

Già nel 2017 il Tribunale Permanente dei Popoli aveva condannato le politiche europee ed italiane basate sulla esternalizzazione dei controlli di frontiera e sugli accordi con i paesi di transito, in nome della difesa dei confini europei. Quella condanna stabilita da un tribunale della società civile, senza i poteri dell’autorità giudiziaria, conteneva elementi che avrebbero dovuto assumere rilievo anche in sede giurisdizionale, sia a livello interno che davanti ai tribunali internazionali.

Il Tribunale di Trapani, in una sentenza che è stata confermata anche dalla Corte di Cassazione, ha ritenuto nulli gli accordi stipulati nel 2017 tra le autorità italiane ed il governo libico di Tripoli. Per il GIP del Tribunale di Trapani, ““laddove le persone soccorse in mare, oltre che ‘naufraghi’, si qualifichino – in termini di status – anche come ‘migranti/rifugiati/richiedenti asilo”, soggetti quindi alle garanzie ed alle procedure di protezione internazionale, l’accezione del termine ‘sicuro’ (riferita al luogo di sbarco) si connota anche di altri requisiti, legati alla necessità di non violare i diritti fondamentali delle persone, sanciti dalla norme internazionali sui diritti umani (…), impedendo che avvengano ‘sbarchi’ in luoghi ‘non sicuri’, che si tradurrebbero in aperte violazioni del principio di non-respingimento, del divieto di ‘espulsioni collettive’, e, più in generale, pregiudizievoli dei diritti di ‘protezione internazionale’ accordati ai rifugiati e richiedenti asilo” (p. 27). Secondo questa giurisprudenza, ““il memorandum Italia-Libia, essendo stato stipulato nel 2017, quando il principio di non-refoulement aveva già acquisito rango di jus cogens, è: – privo di validità, atteso che ai sensi dell’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati ‘è nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale; – incompatibile con l’art. 10 co. 1 Cost., secondo cui ‘l’ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, tra le quali rientra ormai anche il principio di non-refoulement’” (p. 38)

La stessa questione degli accordi con i paesi terzi, fino all’ultimo Memorandum tra l’Unione europea e la Tunisia, in questi giorni è al centro del nuovo Patto europeo sulle migrazioni e l’asilo che dopo due anni di lavori rimane ancora controverso nei vertici europei, dietro le dichiarazioni di facciata che in campagna elettorale servono a dare una falsa immagine di compattezza e di efficacia a governi capaci di adottare soltanto misure repressive, spesso del tutto inattuabili. Lo scontro in atto in Europa, ha radici molto più profonde della contrapposizione tra Italia e Germania sui soccorsi operati dalle navi civili nel Mediterraneo centrale, è uno scontro tra chi rispetta il diritto internazionale ed eurounitario (non solo in tema di attività di ricerca e salvataggio) e chi invece ritiene che il consenso elettorale ottenuto nelle elezioni nazionali possa legittimare accordi bilaterali (come quelli con Tunisia e governo libico di Tripoli) e normative interne (in materia di protezione internazionale, respingimenti, espulsioni, trattenimento amministrativo e minori non accompagnati) in aperta contraddizione con la tutela dei diritti umani sanciti a livello internazionale ed europeo. Non è certo un caso che il ministro dell’interno Piantedosi abia abbandonato un vertice europeo, mentre il confronto era ancora in corso, per correre a Palermo e partecipare, a margine alla Conferenza indetta per venerdì 29 settembre, ad incontri bilaterali con rappresentanti dei governi libici e tunisini.

Le politiche di contrasto della immigrazione “illegale” basate sulla esternalizzazione delle frontiere hanno compresso la libertà di emigrazione, e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro, in tempi in cui le guerre permanenti e le devastazioni ambientali privavano i popoli di qualsiasi speranza di futuro. In nome della” lotta ai trafficanti”, governi di segno diverso hanno progressivamente eroso il principio di eguaglianza e la portata effettiva dei diritti umani. Le frontiere sbarrate non hanno solo precluso l’ingresso ai migranti in fuga, ma hanno anticipato, o riprodotto, nuovi muri su scala internazionale riportando in auge la corsa agli armamenti e la divisione del mondo in blocchi contrapposti, giungendo ad incidere sulla condizione dei cittadini che si vedevano erodere, giorno dopo giorno, le tutele accordate dallo “Stato sociale”. Ma soprattutto sono servite ad innescare una guerra tra poveri che ha di fatto accresciuto le ingiustizie sociali.

Il Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite firmata a Palermo nel 2000 contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico illecito di migranti per via terrestre, aerea e marittima, frequentemente invocato per fornire una base legale agli accordi intercorsi con la Libia, prevede la superiorità gerarchica delle norme di diritto internazionale relativi ai diritti dell’Uomo e della Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Lo stesso Protocollo risulta peraltro applicabile solo quando si riscontrino gli estremi del crimine transnazionale. Un accertamento che spesso manca perché i paesi di transito non collaborano con rogatorie ed indagini efficaci. e lasciano operare indisturbate le organizzazioni dei trafficanti, fingendo magari azioni di contrasto che legittimano l’erogazione di fondi sempre più consistenti.

In base all’ articolo 19 § 1 del Protocollo adesso richiamato, “Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica gli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e degli individui derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale relativo ai diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabili, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo status dei Rifugiati e il principio di non respingimento ivi enunciato.

La propaganda che sarà rilanciata dai ministri e dalle delegazioni presenti alla Conferenza intergovernativa di Palermo non potrà cancellare le responsabilità di chi ha ridotto le politiche migratorie alla esternalizzazione delle frontiere, alla cancellazione sostanziale del diritto di asilo, alla clandestinizzazione di Stato dei migranti irregolari presenti nel territorio nazionale, alla detenzione arbitraria sempre più lunga di quanti avrebbero comunque diritto a percorsi di regolarizzazione, anche considerando l’impossibilità di dare seguito effettivamente alle procedure di rimpatrio forzato. Sarebbe questo un vero passo nella direzione di una maggiore sicurezza, per tutti, cittadini italiani e stranieri.

Secondo l’art. 15.4 della Direttiva rimpatri 2008/115/CE, “Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”.

Si può dare per scontato che, sia a Palermo, come nei vertici europei, non verrà in discussione alcuna prospettiva di regolarizzazione, in una materia sarà affrontata in chiave esclusivamente repressiva e che rimane una leva elettorale formidabile per le destre europee in vista delle elezioni europee del 2024. Come lo è stata, e rimane ancora oggi, la campagna diffamatoria contro i soccorsi civili delle ONG, aggravata da ricorrenti bufale, come la competenza dello Stato di bandiera nella presa in carico dei naufraghi soccorsi in acque internazionali. Una posizione ribadita ancora oggi dal ministro degli esteri Tajani, smentita dalla giurisprudenza italiana e dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare.

Lo scontro sociale e politico attorno alle migrazioni forzate, ormai innervate in quelle che si definiscono “economiche”, che vengono affrontate con misure di respingimento e di criminalizzazione, diventerà sempre più feroce. Occorre prepararsi ad altre violazioni dei diritti umani, sia nei paesi di transito, che in Europa, nei paesi di arrivo. Per queste vanno organizzate reti diffuse di assistenza legale e di solidarietà sociale. Intanto occorre intervenire sul piano della comunicazione pubblica per impedire che passino altre menzogne, come quella della maggiore efficacia delle operazioni di rimpatrio forzato, o della collaborazione nel blocco delle partenze da parte dei paesi di transito. Di certo la Convenzione di Palermo e i suoi Protocolli allegati non potranno essere strumentalizzati, magari in nome di Falcone e Borsellino vittime di mafia, per legittimare politiche che cancellano i diritti umani, a partire dal diritto al soccorso e dal diritto di chiedere protezione in un paese sicuro, e che chiudono ogni possibilità di ingresso legale per i cd. migranti economici. Una categoria creata per escludere, come si vogliono escludere oggi i richiedenti asilo ed i minori stranieri non accompagnati. Una politica dell’esclusione nei confronti delle persone migranti, una guerra ai poveri, che si rivolgerà in futuro a tutti i cittadini europei in condizioni di disagio sociale.