Spesso descritta come un’utopia, la pace è, in realtà, un itinerario sociale, politico, culturale, tutto da costruire. Non si tratta, solo, di una nobile aspirazione; si tratta, soprattutto, di una costruzione sociale e politica, un percorso lungo il quale muoversi sia per la prevenzione dei conflitti, sia per la cessazione delle guerre in corso, sia per la definizione di un futuro positivo. In un’attualità segnata da crisi e conflitti e dal ritorno della guerra in Europa, vale la pena interrogarsi se la pace sia sempre possibile, se le alternative alla guerra siano comunque praticabili, se il nesso tra pace, diritti umani e giustizia sociale possa avere, e quale, un senso.
È questa la cornice all’interno della quale si svolgerà il laboratorio di formazione organizzato presso il Centro Studi Sereno Regis a Torino, il prossimo 18 ottobre 2023, peraltro alla vigilia della Giornata delle Nazioni Unite del 24 ottobre: proprio questa concomitanza può costituire uno spunto utile per il workshop, non solo al fine di riflettere insieme sulle prospettive e l’impegno concreto, sul campo e non solo, per la prevenzione della guerra e la costruzione della pace, ma anche per interrogarsi sul ruolo e sui limiti dell’impegno delle Nazioni Unite per la pace, sull’attualità dei contenuti, dei principi e dei valori raccolti nella Carta delle Nazioni Unite, sugli strumenti del peacekeeping, del peacebuilding e del peacemaking delle Nazioni Unite.
Ciascuna di queste tematiche può costituire uno spunto per la riflessione e una chiamata all’impegno, in base alle possibilità di ciascuno e ciascuna, per diffondere attenzione e consapevolezza intorno al ruolo delle forze della pace e all’impegno per la cessazione delle guerre e per la soluzione politica ai conflitti. Primo fra tutti, il tema, grande e impegnativo, per quanto ancora troppo poco frequentato e studiato, della prevenzione della guerra. La prevenzione è infatti la condizione essenziale, non solo per evitare il ripetersi della guerra e della escalation, ma anche per l’apertura di spazi e possibilità per il dialogo e la convivenza. Come ha ammonito qualche tempo fa Jan Oberg, direttore della “Transnational Foundation for Peace and Future Research” (TFF), «nel mondo, non c’è quasi nessuna capacità nel fare ciò che sarebbe ben più produttivo: la prevenzione della violenza (sì, non del conflitto ma della violenza). Per decenni si è parlato di allerta precoce (in inglese, early warning), ma se funziona, l’ascolto precoce è scarso o nullo e l’azione precoce lo è ancora di più».
Investire nella prevenzione della guerra e nella diplomazia, in particolare nella «diplomazia dei popoli», è essenziale per fornire possibilità, concrete, per la pace. In Italia, la questione è stata ripetutamente sollevata, tra gli altri, da Alberto L’Abate, fondatore di IPRI – CCP (l’Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace), che, tra le altre cose, ricordava come «un noto studioso belga, che opera da anni nel settore della prevenzione dei conflitti armati, suggerisce … di “adottare un conflitto”: studiarlo a fondo, e cercare, con la stessa popolazione in questo coinvolta, le possibili soluzioni per risolverlo, o per lo meno superarlo, o ridurlo». È un compito che, evidentemente, non si può improvvisare, che richiede formazione e preparazione del personale, risorse e finanziamenti, impegno delle istituzioni e iniziativa da parte della società civile.
Legato al tema della prevenzione della guerra è quello della promozione della pace. Un compito essenziale è svolto in tal senso dai Corpi Civili di Pace, intesi come «azione civile, non armata e nonviolenta, di operatori professionali e volontari che, come terze parti, sostengono gli attori locali nella prevenzione e trasformazione dei conflitti. L’obiettivo degli interventi è la promozione di una pace positiva, intesa come cessazione della violenza, ma anche come affermazione di diritti umani e benessere sociale». I CCP intervengono «solo su “richiesta leggibile” della società civile locale, interessata dal conflitto»; «possono attivare relazioni di collaborazione con altre ONG, agenzie di organizzazioni internazionali, istituzioni pubbliche, solo se tali rapporti non minano l’indipendenza e l’imparzialità della missione»; mentre, «con attori armati – regolari e non regolari – non sono ammesse forme di collaborazione o sinergia, né scorta armata».
Sono, queste, solo alcune, sebbene tra le più importanti, tracce di riflessione intorno alle quali interrogarsi nella prospettiva della pace positiva, vale a dire, seguendo Johan Galtung, che «qualcosa di buono scorre tra le parti, che si comportano in maniera positiva, l’una con l’altra»; «alla base della pace c’è la “con-dizione”, definita come convivialità e compatibilità di obiettivi; la creazione di con-dizioni (in contrapposizione alle contra-dizioni) è fondamentale per costruire sempre più pace», basata su «tutti i diritti umani per tutti e per tutte» e sulla giustizia sociale. Non solo assenza di guerra, ma anche costruzione di una prospettiva più avanzata. Traccia per il laboratorio in programma presso il Centro Studi Sereno Regis, a partire anche dai contenuti qui accennati, sarà, in particolare, il libro, recentemente pubblicato da Multimage, con il titolo: Fare pace, Costruire società. Orientamenti di base per la trasformazione dei conflitti e la costruzione della pace, uno strumento, appunto, di formazione a supporto delle iniziative di «costruzione della pace con mezzi pacifici».