Oltre ad essere punto di riferimento per la spiritualità orientale, l’India è conosciuta per le sue medicine tradizionali e il suo sistema d’educazione, chiamato gurukulam. La colonizzazione inglese fece “tabula rasa” delle antiche pedagogie indiane e impose il modello educativo occidentale. Dal XVIII secolo e nei successivi 200 anni di dominazione britannica dell’India, avvenne la soppressione dello studio e della pratica dei suoi sistemi educativi, ritenuti antiquati, superati e ridicoli. Solo nel XX secolo grazie all’avvento del movimento rivoluzionario nonviolento per l’indipendenza guidato dal Mahatma Gandhi, l’educazione indiana venne nuovamente portata alla ribalta e il suo sapere riconosciuto fondamentale all’interno del Paese. Di questo ne parliamo con Gloria Germani, ecofilosofa, attivista nonviolenta nei movimenti deep ecology, grande studiosa di Gandhi e tra gli eredi intellettuali del pensiero di Tiziano Terzani. Praticante della scuola induista dell’Avdaita Vedanta (Via della Non-dualità), per sette anni è stata attivista nelle scuole steineriane e dal 2017 al 2021 è stata funzionaria coordinatrice del Progetto Alice Universal Education School per un’educazione non-dualistica, ecocentrica ed olistica su cui ha scritto il libro “A scuola di felicità e decrescita: Alice project”[1] edito da Terra Nuova con prefazione di Sua Santità XIV Dalai Lama.
Come nascono e si diffondono i sistemi di educazione dell’India?
Innanzitutto grazie per questa intervista su un tema che ritengo veramente fondamentale perché oggi si dà per scontata una sola ed unica educazione, mentre non è affatto così. Credo infatti che per guardare al nostro futuro sulla Terra sia assolutamente necessaria una pedagogia ecologica, come abbiamo forse avuto in passato e in altre civiltà. Sebbene gli inglesi l’avevano definita hinduism, come è noto la cultura dell’India definisce se stessa come Sanathana Dharma, la “legge, la via eterna”. In questo ambito, anche interrogarsi riguardo alla sua origine, significa – come diceva Raimond Pannikar- rimanere prigionieri di una visione lineare del tempo che oggi anche la fisica quantistica sconfessa, come anche i famosi libri di Carlo Rovelli.
La “Legge eterna” si fonda su ciò che i Rishi, gli antichi saggi, i veggenti, avevano visto ed udito riflettendo sull’essenza della realtà. Queste verità si ritrovano condensate e trasmesse nei quattro Veda e nelle Upanishad, testi trasmessi oralmente che costituiscono continue interpretazioni e reinterpretazioni. Il nome stesso Upanishad significa “sedersi vicino o ai piedi” del maestro, il cosiddetto guru: “Colui che dissolve le tenebre”. Gli ossessionati dalla storia collocano le più antiche delle oltre 108 Upanishad intorno al IX secolo a.C ( i.e. prima di Cristo, ma perché questi riferimenti cosi autoreferenziali?) ma probabilmente la loro storia è molto più antica se si pensa che nella civiltà di Mohenjo- Daro ( metà del IV millennio a.C.) c’era già raffigurato un uomo in posizione yogica che medita. I giovani andavo a vivere nella casa del guru per un periodo di tempo considerevolmente lungo ( dai 10 ai 25 anni di età circa) . Imparavano da lui le verità delle Upanishad, recitate a memoria, il sanscrito, la grammatica, oltre a praticare tutta una serie di mansioni pratiche tipiche della vita in comunità.
Il fine non era quello di dare informazioni o nozioni, ma piuttosto far si che il discepolo (shisha) sperimentasse accanto al maestro un processo di trasformazione interiore. Conoscere il proprio vero Sé, attraverso i testi e attraverso la meditazione era infatti la condizione necessaria per capire anche l’essenza non-duale del Mondo. Essa è chiamata Brahman, Tat, Ishvara, il sacro potere che tiene in vita l’universo che è ritenuto identico al Sé (atman) che sta all’interno di ogni uomo o donna o bambino. “Tu sei Brahman”, “Tu sei quello”, dicono le grandi verità dell’India. Il sistema educativo indiano (gurukulam) implicava un rapporto gratuito di devozione e di affetto nei confronti del maestro e di fatto la relazione tra maestro-discepolo era considerata sacra e fondamentale per la trasmissione della cultura indiana. Si pensi che ancor oggi esistono lignaggi millenari, cioè catene ininterrotte di maestro- discepolo che tengono vive specifiche tradizioni spirituali. Gli Shankaracharya, a partire dal massimo filosofo indù, arrivano alla 94ma /97ma successione ininterrotta, chiamata jagadguru, cioè “maestro del mondo” e tengono viva la tradizione del Non dualismo ( advaita) .
Cosa avviene con la colonizzazione inglese? Quale è stato l’impatto sulla popolazione e sulla cultura indiana?
La colonizzazione inglese impose alla grande cultura dell’India il sistema moderno educativo che si basa sulla trasmissione razionale delle varie nozioni relative alle varie materie – ragioneria, matematica, geografia, storia, chimica, inglese – con il fine di formare dei bravi funzionari e burocrati prima della Compagnia delle Indie e poi dal 1858 del Governo britannico.
Dovrebbe essere conosciuto meglio il celebre discorso che l’Onorevole Macauly che tenne nel 1835 riuscendo ad imporre i finanziamenti per l’educazione occidentale in India. Diceva: “Non conosco né il sanscrito né l’arabo, Ma non n è possibile negare che un solo scaffale di una buona biblioteca europea valga l’intera letteratura indigena dell’India e dell’Arabia. La superiorità intrinseca della letteratura occidentale è del resto pienamente ammessa”.
Quanto arroganza razzista e coloniale! Oggi al contrario, assistiamo al grande diffondersi delle dottrine orientali proprio in occidente dove buddhismo, induismo, yoga hanno sempre più entusiastici seguaci. Durante il colonialismo, la potenza militare ed economica degli occidentali impressionò moltissimo gli animi candidi e formati alla nonviolenza degli indiani e creò una folta classe subalterna. L’educazione occidentale fini per sgretolare le profonde conoscenze della “Legge Eterna”. Magnifici esempi di questo processo di disgregazione sono forniti dal massimo scrittore indiano attuale Amitav Gosh, nei sui romanzi storici in cui sottolinea i retaggi del colonialismo in India.
In cosa divergevano le epistemologie della pedagogia indiana da quelli occidentali?
Questo è davvero il punto focale della questione. Dopo anni di studi e ricerche, sono pervenuta alla conclusione che le due epistemologie o teorie della conoscenza sono completamente diverse, e questo incide profondamente anche nella nostra realtà quotidiana. La tradizione occidentale – fin dalla cultura giudaica e dalla Bibbia – si è sempre basata sul dualismo io- mondo, Dio-creazione. E’ una cultura molto antropocentrica con una innata fiducia nella capacità umana della parola e nel linguaggio logico-razionale. Da Aristotele -che fonda il principio di non contraddizione – fino a Hegel, tutto quello che è reale è razionale e questi principi pervadono anche la religione cristiana che ha combattuto guerre feroci per stabile i suoi dogmi, cioè le verità canoniche espresse in parole. Tutto diverso in Oriente, dove non ci sono mai stati scismi oppure roghi dell’Inquisizione per stabilire le verità. In generale in Oriente la parola ha un valore limitato. L’apparato logico linguistico non è preso per fondamentale, serve tra gli uomini come strumento, simbolo, allusione (vedi gli studi di H.Zimmer ) In generale tutto “l’ambito dei nomi e delle forme” ( nama-rupa e) è considerato come realtà molto parziale, per non dire illusione. Si perviene alla realtà ultima, andando oltre la mente, oltre l’io psicologico, oltre le parole. Acquietare la mente è il fine di tutte le tradizioni sia indù, che buddhiste o zen. Pensiamo al principio dello Yoga che dice “Lo Yoga è il volontario acquietamento delle agitazioni mentali”. Andare oltre la mente è l’obiettivo dell’Oriente, senza il quale non si capiscono davvero civiltà fondate e finalizzate alla meditazione e allo yoga. Il fine ultimo è l’illuminazione ( uno stato di perfetta libertà e gioia) a cui perviene il samnyasin, il sadhu, che la cultura indiana pone al vertice della società, sopra ai re e agli governanti – come ha sottolineato il sociologo L. Dumont. Anche i grandi autori della fisica quantistica quando scoprirono la realtà come impermanenza e interconnessione, trovarono che le parole non riuscivano più ad esprimere tale visione sistemica e complessa. Al contrario l’epopea della modernità è dominata dalla razionalità logico-linguistica che ha creato il collasso climatico e l’attuale ubriacatura per il digitale non è che la sua massima e pericolosissima espressione.
Con il movimento rivoluzionario nonviolento, Gandhi ridà importanza ai suoi ancestrali sistemi di educazione. Cosa avvenne?
Certamente Gandhi è il più grande sostenitore delle verità della tradizione indiana. Il suo movimento “La forza della verità” allude proprio a questo recupero del Sanathana Dharma, che è d’altra parte molto inclusivo e riconosce le medesime realizzazioni da parte di tante e diverse tradizioni culturali ma non dalla civiltà moderna, che Gandhi riteneva una falsa forma di civiltà che ha fatto del materialismo l’unico Dio. In antitesi con l’educazione astratta tipica del sistema scolastico inglese, il Mahatma auspicava l’armonia tra lavoro e conoscenza e promosse il Nai Talim, l’educazione alle attività manuali come la filatura e la tessitura o la falegnameria che formano un carattere sano e rendevano possibile l’autosufficienza delle piccole comunità. Egli era contro la scuola moderna, e credeva che i bambini imparassero di più dai genitori e dalla società.
“La maestosa bellezza di un albero, la scuola la riduce ad un palo” – è una citazione a memoria del filosofo Silvano Agosti. L’educazione dell’India è fondata sull’ecocentrismo, parte dal presupposto della Terra, della lentezza, del senso ecologico e del vivere la vita come un’esperienza poetica, diremmo noi. In cosa stride questa impostazione, per esempio, con la nostra scuola in cui fatica ad entrare l’educazione ambientale? La Terra e il sentirsi parte di un Tutt’Uno avvicinerebbero i giovani alla cultura e al senso della vita?
Certamente si. Il sentirsi parte di un Tutt’Uno avvicinerebbero i giovani alla cultura e al senso della vita. Al contrario la scuola occidentale moderna è fondata sul paradigma della scienza cartesiano-newtoniana che è basato sul dualismo io- mondo e sulla frammentazione della realtà in discipline sempre più frammentarie e separate. La scienza inoltre è tale perché è “oggettiva” ovvero non ha al suo interno considerazioni etiche o di significato. E’ proprio questo tratto costitutivo che la rende di per se antiecologica.
Come viene vista l’educazione occidentale oggi in India?
Purtroppo ho visto con i miei occhi in India il grande proliferare di scuole con il titolo Science and Technology e ovunque è presente la rincorsa alle nuove professioni industriali. Dobbiamo capire la visione d’insieme (Big Picture, come la chiama Norberg Hodge). L’apparente trionfo della Modernità Occidentale che si traduce nella Globalizzazione è indisgiungibile dal binomio Scienza e Tecnologia che Gandhi criticava radicalmente ( vedi il suo Vi spiego i limiti della civiltà moderna)e con lui anche Schumacher o Terzani.
Dal 2017 al 2021 sei stata funzionaria coordinatrice del Progetto Alice Universal Education School[2] per un’educazione non-dualistica, ecocentrica ed olistica. Su cosa si basa e da cosa sei rimasta affascinata?
Il Progetto Alice è una pedagogia rivoluzionaria ideata da Valentino Giacomin ( maestro elementare e giornalista di Treviso) che in sintesi ha messo al centro i risultati della fisica quantistica, cioè che non esiste una realtà oggettiva indipendente dalla mente. Questo era anche l’approdo del non-dualismo, una visione che sta alla base dell’induismo, del buddhismo, del taoismo, del giainismo e della maggior parte delle molte tradizioni indigene, che sono sempre profondamente ecologiche, intesa come “deep ecology” citando l’ecofilosofo Arn Naess. Giacomin ha spostato l’esperienza pedagogica in India dove attualmente ha tre scuole che ogni anno accolgono almeno 2.000 studenti dall’asilo al liceo. Combinano lo studio della materie curriculari, al Programma speciale si focalizza su meditazione, attenzione della mente, riproposta di racconti tradizionali che sottolineano la maya, o il potere negativo della mente che crea una realtà illusoria. L’armonia e la felicità sono all’interno, nella chiara mente.
Per sette anni sei stata attivista nelle scuole steineriane e, da esperta in pedagogia Waldorf[3] messa a punto da Rudolf Steiner, quali sono le differenze e le similitudini tra educazione indiana, educazione steineriana e l’educazione non-dualistica di Alice Project School?
Rudolf Steiner parte dalle teorie teosofiche inaugurate alla fine dell’Ottocento da Madame Blavatsky che riconoscevano una forma unificata di spiritualità che comprendeva tutte le religioni. La Società Teosofica aveva sede a Madras e ovviamente traeva molti insegnamenti dall’India. Steiner si stacca dalla Teosofia e fonda l’Antroposofia, che riprende gli stessi temi ma li centra di più sulla superiorità del Cristo, sulla libertà, sull’evoluzione storica, con tratti molto più antropocentrici. La pedagogia steineriana è bellissima, nessun nozionismo ma ricerca dello sviluppo dei talenti innati nel bambino. Parte dalla concezione dei 3 settenni della crescita che vanno seguiti e stimolati a scuola:nel 1° settennio (1-7 anni): il concetto centrale è IL BUONO ( la mamma è buona, tutto il mondo è buono). A ragione secondo me, i bambini non vanno all’asilo fino al compimento di almeno tre anni. 2° settennio (7-14 anni): il concetto centrale è IL BELLO. La scuola deve accompagnare il bambino nella scoperta del bello nel mondo, nella natura, nella musica, nei gesti eroici, nella varie materie ( ma la storia non è insegnata fino alla Sesta classe. 3° settennio (14-21 anni): Il concetto centrale è IL VERO. Inizia qui l’avventura della conoscenza con entusiasmo e coinvolgimento. Inoltre nelle scuole Waldorf sempre contemplata l’attività pratica : dal giardinaggio e orticoltura, alla falegnameria, ai ferri ed uncinetto. Inoltre importantissima è per tutti praticare uno strumento musicale e le attività teatrali che sono l’apice dell’attività scolastica. Quindi i concetti di base sono molto mutuati dall’educazione indiana, dove ciascun bambino è considerato un manifestazione del principio divino ( un avatar in potenza) e quindi amato e curato con estrema attenzione. Anche la parte pratica e manuale è molto presente in India e fu ripresa da Gandhi. Il Progetto Alice forse è più carente rispetto alla parte poetica della pedagogia steineriana, ma a mio avviso è molto più rigorosa rispetto alle vere radici della conoscenza e più in sintonia con i presupposti del pensiero orientale. Giacomin ha infatti ottenuto moltissimi ed importanti riconoscimenti sia in ambito induista che buddhista, oltre che alla benedizione stessa del Dalai Lama.
[1] Il libro è il risultato di numerose visite che l’autrice ha compiuto a Sarnath nel corso degli anni, colpita dalla serenità degli studenti e dall’educazione all’ecologia e alla pace. Nel libro le parole e l’esempio di Giacomin si intrecciano con le voci dei molti pensatori (Terzani, Illich, Latouche) che in questi anni stanno smascherando i limiti e le contraddizioni dei modelli di conoscenza e di sviluppo dell’Occidente industrializzato. Nel volume, capitolo dopo capitolo, si delinea la forza di un progetto che pone l’educazione alla consapevolezza, la nonviolenza, la ricerca di una felicità slegata dai beni materiali e dal consumo, al centro, per cercare di costruire tutti insieme un mondo migliore.
[2] Alice Project è una scuola interculturale e interreligiosa che pone al centro del proprio programma la conoscenza di se stessi e l’amore nei confronti del mondo e di ogni creatura vivente. È stata fondata nel 1994 a Sarnath, in India, da Valentino Giacomin che, dopo aver lavorato come maestro in Italia ha deciso, insieme con Luigina De Biasi, di continuare la propria ricerca educativa e spirituale nel subcontinente indiano. Da allora, molte scuole sono nate dalle iniziative di studenti e “seguaci”, in Italia, Germania, Francia e Taiwan, e il progetto ha ricevuto in più occasioni l’apprezzamento del Dalai Lama, che gli ha conferito il suo patrocinio dal 2006.
[3] La pedagogia Waldorf basa il suo approccio educativo sull’antroposofia (chiamata anche dai suoi seguaci “scienza dello spirito”), una disciplina esoterica sviluppata da Rudolf Steiner, per indagare e riconciliare quelli che ritiene i nessi sussistenti fra mondo fisico e mondo spirituale, concependoli come «un’unica manifestazione divina in continua evoluzione». La prima scuola steineriana fu fondata a Stoccarda il 7 settembre 1919 a seguito della richiesta di Emil Molt, direttore della fabbrica di sigarette Waldorf Astoria, di creare un’istituzione scolastica per i figli degli operai della fabbrica. Il movimento pedagogico deve il proprio nome alla fabbrica di sigarette. Rudolf Steiner assunse l’incarico relativo alla formazione del collegio degli insegnanti nonché di consulta dello stesso e fu sino alla morte, nel 1925, spiritus rector della scuola.