Straordinario, rumoroso, impossibile da ignorare l’evento che ha avuto luogo a Venezia nel week end appena concluso, per ricordare una volta di più l’ingiustizia che da 47 anni tiene in prigione il nativo americano Leonard Peltier, accusato di un crimine di cui non si hanno prove (come i suoi stessi accusatori hanno poi ammesso).
Una vicenda di cui questa testata si è occupata tante di quelle volte che possiamo permetterci di dare per scontato che i nostri lettori sappiano l’essenziale, o possano attingere da un tale e aggiornato Pressenza-archivio da fare invidia a Wikipedia, nel caso abbiano bisogno di rinfrescarsi la memoria.
E comunque di una cosa possiamo essere certi: che ciò che è successo tra sabato e domenica a Venezia è diventato talmente virale sul web, da valere decine di articoli pubblicati, decine di presidi più o meno riusciti in passato. Un vero e proprio happening, un living theatre che ha visto chi c’era da Milano e da Brescia, chi era già lì a Venezia e i tanti-tantissimi che non potevano fare a meno di assistere, con lo striscione fotografato da chissà quanti cellulari e condiviso in rete da migliaia di turisti. Mai prima d’ora il nome di Leonard Peltier è stato più virale sui social.
Ma andiamo con ordine: sono le undici di sabato mattina quando il piccolo (poco più di venti persone) Comitato Milanese per Leonard Peltier arriva alla stazione Santa Lucia di Venezia e subito si srotola lo striscione: arancione, lunghissimo, lo stesso che pochi giorni prima era stato immortalato dai turisti a Milano con lo sfondo del Castello Sforzesco, per il 79imo compleanno di Leonard Peltier (e l’inizio del 48imo anno di prigione).
Qui però siamo a Venezia, i turisti sono una folla, tutti a caccia di click da postare su Instagram – e il lungo striscione è fotografatissimo. Parte Andrea De Lotto, che la storia di Peltier l’ha recitata al megafono chissà quante volte, ma ogni volta (chissà come fa) è come se la raccontasse per la prima volta, ogni volta con incipit e snodi diversi, mai che si permetta una scorciatoia, o un cedimento di voce che denunci la stanchezza… In tanti gli abbiamo detto che sarebbe perfetto per il teatro, e il teatro è proprio adesso ed è un Living Theatre: a differenza di tante piazze precedenti questa di Venezia è affollatissima. Bingo!
Nel frattempo sono arrivati gli agenti della Digos, cortesi, collaborativi: “Potete fare così e così, non potete andare colì e colà, se ce la fate a chiudere per le 14 ci fate un favore…“ mentre dalla piazza si levano le note di un paio di Ottoni a Scoppio. Solo un paio? Sì, perché il resto degli strumenti è dentro il camper che avrebbe dovuto arrivare ben prima di noi – senonché è scoppiata una gomma, cose che capitano, bisognerà aspettare.
Ma la cosa più bella è scoprire che non siamo soli, perché ad accoglierci alla stazione di Venezia Santa Lucia sono venuti altri Leonard Peltier Supporters che chissà quando avremmo incontrato. Per esempio Mauro Marra da Pordenone, traduttore del poeta cheyenne Lance Henson (che tra l’altro vive a Bologna: tantissimi i libri tradotti in italiano). E non pochi da Venezia, che in rete potete trovare come Il Cerchio del Popolo e anche quest’anno sono andati fino in Nord Dakota per unirsi al ricordo di quella sparatoria che il 26 giugno del 1975 causò la morte di due agenti dell’FBI e portò all’incriminazione di Peltier.
Rapidamente si supera la mezza, il lungo striscione si è spostato di fronte alla stazione, con sfondo di vaporetti e antichi palazzi perché sia chiaro che siamo a Venezia. A riempire i cali di attenzione in attesa che arrivi il camper con gli ottoni ci pensa Filippo Borella, artista-musicista-performer quotatissimo e per l’occasione trampoliere. Ed eccolo che scorrazza avanti e indietro per la piazza, mentre sventola la bandiera dell’American Indian Movement: uno spettacolo anche da solo, figurarsi con il Free Leonard Peltier che tutti noi intoniamo al ritmo del tamburo!
A un certo punto arriva anche una coppia di nativi veri ed è pura emozione. Non credono ai loro occhi, sono commossi. Sono turisti, dalla California: mai avrebbero immaginato di fotografare la bandiera dell’AIM in quel di Venezia, con tanto di megafono e concertar di trombe per Leonard Peltier. Perché nel frattempo è arrivato anche il camper, la banda è al completo per cui: Allons Enfants! In men che non si dica il lungo striscione arancione viene sostituito da un più maneggevole striscione da passeggio, tale per cui la scritta Free Leonard Peltier possa procedere tra le calli, su e già tra salite e ponticelli, negoziando lo spazio con quelli che arrivano in senso opposto con le valige e magari non gradiscono, però sono in tanti a chiedere il volantino, e c’è persino qualche american* che applaude e saluta a pugno chiuso. Bingo!
La passeggiata-evento-happening non avrebbe potuto avere conclusione più gloriosa sul Ponte di Rialto e lì facciamo proprio il pieno, perché oltre al ponte affollatissimo di gente, c’è il traffico delle gondole-barche-vaporetti che gli scorre sotto, e noi da sopra fotografiamo loro che fotografano noi, vorticoso corto-circuito di immagini che visualizzano en plein air l’emozione, mentre gli ottoni intonano il più fragoroso Bella Ciao…
Il sabato per Peltier a Venezia si concluderà in serata con la proiezione del filmato Tate Wikuwa che il videomaker Andrea Galafassi ha realizzato attingendo dai materiali d’archivio che documentano quell’epoca di terrore (che alla fine degli anni Settanta il governo americano orchestrò con l’obiettivo di reprimere l’American Indian Movement), alternati alle rievocazioni delle tre native americane Carol Gokee, Lona Knight e Jean Roach, che un anno fa erano in Europa, per quel RiseUp Tour che subito dopo la tappa al Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra, le ha portate anche in Val Susa, e poi a Torino, Milano, Roma…
Un filmato che efficacemente rende la totale coincidenza di ansietà e lotte, quando a essere offesi non sono solo i più elementari diritti, ma anche quelli dell’ambiente, di quella stessa Madre Terra che è fonte di vita per tutti gli esseri viventi, ma sempre più sotto assedio ovunque, per le stesse logiche di sfruttamento.
E proprio su questa esperienza di comune aggressione, che dovrebbe vederci fratelli (mentre così non è, come dimostrano le tante guerre in corso) la serata del sabato è proseguita al Centro Sociale Rivolta di Marghera con un importante contributo dell’attivista tedesco Michael Koch, amico personale di Leonard Peltier, delegato del Tokata-LPSG Rhein-Main (che rappresenta il Comitato internazionale in Difesa di Peltier in Germania) e autore di una corposa pubblicazione dal titolo Una vita per la libertà: Leonard Peltier e la resistenza indiana (titolo originale: Ein Leben für die Freiheit: Leonard Peltier und der indianische Widerstand, Ed. Traumfänger Verlag GmbH) che sarebbe bello veder tradotta anche in italiano.
Ed è stato proprio grazie a Michael che il pubblico di Venezia ha potuto ricevere il testo che segue, scritto da Peltier nel novembre del 2015 come prefazione al libro e più che mai attuale oggi.
… A TUTTI I FRATELLI E SORELLE in Europa e altrove
Mentre sto qui seduto nella mia cella – “la mia casa”, come la chiamiamo in questo sfortunato gulag americano dove tanti miei fratelli e sorelle nativi sono costretti a vivere una vita disgraziata – le ultime notizie mi girano in testa…. L’Europa è in subbuglio, decine di milioni di rifugiati nel mondo, proprio di recente sono state uccise centinaia di persone innocenti a Parigi, in Mali, nel Sinai e in tante parti del mondo… Bombardamenti folli da parte di aerei da combattimento statunitensi, russi, francesi, principalmente su persone innocenti. Sì, bombardiamo gli innocenti! Così impareranno la lezione!
Miei cari esseri umani, cosa stiamo diventando?
Me ne sto seduto qui, sul mio letto di prigione, in questo freddo sarcofago d’acciaio, riscaldato dalla consapevolezza che questo libro che nasce in lingua tedesca troverà la sua strada in molti cuori ricchi di spirito, in molti altri Paesi. Così i lettori potranno farsi un’idea di chi sono io e di chi è la gente della mia nazione… Ma in realtà non si tratta di me, Leonard Peltier, e nemmeno del mio popolo sofferente: si tratta di noi, i membri dell’intera razza umana che, per i più diversi motivi, siamo causa di vicendevole sofferenza, con la paura, il terrore, l’odio e la morte. Che siamo nel giusto o meno, siamo TUTTI colpevoli. Colpevoli per il fatto di non riuscire a vedere l’UNO in TUTTI noi.
Mitakuye Oyasin, come i miei antenati Sioux hanno insegnato: SIAMO CONNESSI TRA TUTTI E A TUTTO. (…) Nel corso della mia prigionia, ho ricevuto il sostegno e l’amicizia – e sì, anche l’amore – di molti, moltissimi europei. Questo amore viaggia dal loro cuore al mio e viceversa. Loro lo sentono, io lo sento, è reale – ed è FORTE. Che ognuno di noi invii e riceva questo amore reciproco, questo rispetto e questo potere spirituale a TUTTA l’umanità, a ogni anima della nostra Madre Terra. Doksha (Grazie).
Di rifugiati e immigrazione si era parlato poco prima al Patronato dei Frari, con Gianfranco Schiavone, Gianni Tognoni, Mohamed Kaba, Tahamina Akter (e ce ne darà relazione Andrea De Lotto). E anche il giorno dopo che era domenica lo spirito-striscione di Leonard Peltier ha continuato a viaggiare per la laguna, appeso al fianco di un’imbarcazione messa a disposizione di Giovanni Cecconi, che di questa magnifico teatro veneziano è stato il co-impresario.
Il nostro più sentito DOKSHA a tutt* quant* hanno contribuito a questa convergenza di energie nel week end appena passato – e un DOKSHA proprio sonoro alla Banda degli Ottoni per esserci sempre con i loro fiati nel senso anche di Good Spirits. Sperando che Joe Biden prima o poi si decida a firmare quella benedetta dichiarazione di clemenza! A quanto pare gli avvocati sono al lavoro, a quanto pare questa sarebbe la stagione giusta, a quanto pare i messaggi in arrivo da fuori USA funzionano – per cui scriviamo tutti al Mister President, ecco di nuovo la pagina web, con tutte le istruzioni.
DOKSHA.