“Combattiamo per l’intera classe lavoratrice e per i poveri”. Con queste parole Shawn Fain, presidente di UAW (United Automobile Workers), il sindacato che organizza 146.000 metalmeccanici delle Big 3, le tre grandi imprese automobilistiche statunitensi (Ford, GM General Motors e Chrysler, oggi in Stellantis), ha dichiarato l’inizio dello sciopero. In 88 anni di storia di UAW, per la prima volta, avviene contemporaneamente contro le tre imprese. La scelta sindacale è quella di scioperi mirati, iniziati oggi con i 12.700 operai GM di Wentzville, Missouri (camion e furgoni); Ford di Wayne, Michigan (pick-up e SUV) e Stellantis di Toledo, Ohio (Jeep).

Il blocco della produzione si estenderà ad altri impianti in rapporto all’andamento dei negoziati, con scioperi articolati che crescono progressivamente. UAW lo definisce uno sciopero “in piedi” (stand up strike) e ne ricorda le origini nelle grandi lotte sindacali del 1934. I lavoratori che non sciopereranno inizialmente (lavorando con un contratto scaduto) faranno manifestazioni esterne agli stabilimenti e nelle comunità (e potranno essere tentati da un’applicazione rigorosa dei propri compiti).

Negli USA il contratto è a livello aziendale (non esiste, se non in pochi casi, quello nazionale di categoria). Le trattative separate con le Tre Grandi per il rinnovo, iniziate tra il 13 e il 18 luglio, non hanno raggiunto un’intesa entro ieri, 14.9, data di scadenza del precedente contratto.

L’opinione dei lavoratori è che non sono stati risarciti dei sacrifici imposti loro per salvare le imprese automobilistiche nella crisi del 2008-2009 (arretramento dei diritti contrattuali, livello contrattuale separato e minore per i neo assunti, aumento degli orari e dei carichi di lavoro, ecc.).

Nell’ultimo decennio, le Tre Grandi hanno realizzato profitti di 250 miliardi di dollari (21 dei quali nella prima metà di quest’anno), investiti per lo più in azioni proprie, per aumentarne il valore, e in gratifiche per i dirigenti (i 3 amministratori delegati hanno guadagnato ciascuno nel 2022 dai 21 ai 29 milioni di dollari) Per abbattere i diritti e le retribuzioni, hanno continuato a praticare sia i trasferimenti di lavorazioni in Messico, sia, negli Stati Uniti, le “finte” esternalizzazioni e le chiusure di impianti (ben 65 nell’ultimo ventennio). Nel 2001 occupavano negli USA 408.000 operai, oggi 146.000. Nelle fabbriche rimaste crescono gli infortuni e i carichi di lavoro (anche oltre i limiti di sicurezza e fino a orari di 12 ore al giorno), mentre le paghe, in particolare quelle dei neo assunti, sono risibili: Stellantis USA impone turni di 10 ore (anche per 6 giorni la settimana) e una paga oraria iniziale di 15,78 dollari.  Malgrado ciò, la quota di mercato di auto vendute negli USA è solo del 41% (alla metà degli anni Sessanta era l’85%).

Come premesso su Pressenza dello scorso aprile, UAW ha da marzo 2023 una dirigenza di maggioranza appartenente al caucus (tendenza interna) Unite All Workers for Democracy (UAWD), la quale ha vinto l’elezione degli organismi sindacali nazionali, la prima avvenuta direttamente da parte dagli iscritti, con lo slogan “Nessuna corruzione, nessuna concessione, nessun livello (di differente retribuzione a lavoro uguale)”. L’esautorata leadership di UAW, in sella dal 1946, è crollata non solo per i “contratti di restituzione” a perdere, concessi alle imprese negli anni della crisi auto USA, ma soprattutto per la corruzione delle tangenti Fiat-Chrysler di Marchionne.

Nel 1979 UAW aveva un milione e mezzo di iscritti. Oggi, anche a causa della chiusura di molti stabilimenti, tessera 580.000 pensionati e 391.000 in produzione. Poco meno della metà dei metalmeccanici USA e neanche tutti operai: lo sciopero di 48.000 lavoratori delle università californiane, il più grande degli USA nel 2022, è stato organizzato da UAW. Nel 1983 il 60% dei metalmeccanici USA erano iscritti; oggi meno del 16%. Non sono sindacalizzati gli stabilimenti di quasi tutte le imprese straniere che operano negli USA e quelle dei veicoli elettrici (come Tesla).

Il dissanguamento di occupazione potrebbe continuare: agli operai sulle linee di montaggio delle attuali auto a carburante ne subentreranno via via altri, occupati nelle nuove fabbriche di auto elettriche, che saranno costruite entro fine decennio (soprattutto nel sud USA poco sindacalizzato) e che occuperanno meno manodopera. Lavoratori che le Tre Grandi vorrebbero assunti in appalto e con un nuovo contratto mediocre.

L’Amministrazione Biden ha fortemente incentivato la conversione all’auto elettrica, ma non ha deliberato vincoli per i diritti dei lavoratori, consentendone allo stato attuale una transizione al ribasso. Anche a causa di ciò, UAW non ha (ancora) dato il consueto appoggio alla candidatura presidenziale del Partito Democratico, in questo caso a Biden. E Trump (fiero delle 4 denunce a suo carico, la più grave per cospirazione) si è fatto avanti, chiedendone l’appoggio per le prossime presidenziali, sulla base dell’opinione che le politiche pro-auto elettrica di Biden, che giudica foriere di ulteriori chiusure di impianti, devono essere la questione principale al tavolo delle trattative. Molti lavoratori della regione attorno ai grandi laghi, la cosiddetta rust belt (cintura della ruggine) per il colore delle officine abbandonate, avevano votato per Trump, e non, come storicamente, per il Partito Democratico.

La piattaforma contrattuale presentata da UAW all’inizio di agosto è centrata, oltre che sugli aumenti retributivi del 40% in 5 anni (rapportato all’inflazione, l’attuale salario iniziale è di 18,04 dollari all’ora, inferiore di più di un dollaro a quello del 2007), sul rifiuto di contratti separati per le aziende che producono o produrranno auto elettriche e sull’annullamento delle concessioni al ribasso fatte negli ultimi contratti dalla precedente leadership sindacale. In primo luogo l’abolizione dell’odiato secondo minore livello salariale, pure senza copertura pensionistica e per la salute, per gli assunti dopo il 2007, per i quali è richiesta anche la trasformazione in contratti indeterminati di quelli temporanei. Come noto, negli Stati Uniti assistenza sanitaria e pensione devono essere assicurate a livello aziendale, dato che manca in sostanza un sistema di welfare nazionale, se non per i poveri.

La piattaforma richiede inoltre, in caso di licenziamento, l’inserimento dei lavoratori in attività al servizio della comunità, a spese dell’azienda, fino a quando essi non saranno riassunti; il ripristino dell’adeguamento all’inflazione (cassato nel 2008) di retribuzioni, pensioni e coperture sanitarie aziendali e la riduzione dell’orario a 32 ore settimanali pagate 40, oltre a permessi retribuiti. Un’esigenza fondamentale, vista l’attuale dilatazione degli orari negli stabilimenti.

Le tre imprese avrebbero offerto aumenti economici dal 17,5 al 20% (rispetto al 40% richiesto) e Stellantis non ha perso l’occasione per minacciare provocatoriamente la chiusura e/o la vendita di altri 18 stabilimenti.

Lo sciopero di 40 giorni del 2019 era costato a General Motors 3,6 miliardi di dollari. Uno odierno di soli 10 giorni costerebbe alle tre grandi case automobilistiche almeno 5 miliardi di dollari e per ogni settimana di sciopero una perdita di più di 50.000 veicoli.

Ma costa molto anche ai lavoratori: UAW ha 825 milioni di dollari nel fondo che dovrà sostenere (ma solo con 500 dollari a settimana) le retribuzioni perse con lo sciopero; fondo che non durerà che 3 mesi, nel caso di sciopero di tutte le fabbriche. Per questo la scelta è di uno sciopero articolato e progressivo.

Ford ha accumulato scorte di ricambi e addestrato 1.200 impiegati per rafforzarne la produzione e la distribuzione ai concessionari. Meno chiaro l’impatto che lo sciopero avrà su tutto l’immenso indotto automobilistico, valutato in 4,8 milioni di persone.

Risulterebbe che la presidenza Biden, preoccupata dall’impatto dello sciopero sull’economia (abbondantemente enfatizzato dai grandi media USA, mentre la scarsità delle retribuzioni degli operai lo è molto meno) e contemporaneamente di non smentire la propensione a dimostrare sostegno alla contrattazione sindacale (purché non sbocchi in scioperi!) stia monitorando la trattativa in rapporto stretto con le Parti. E studierebbe anche, in caso di lungo sciopero, un piano di sovvenzioni alle piccole imprese dell’indotto e ai loro lavoratori.

Il sindacato ha denunciato al National Labor Relations Board, l’Ente federale per il rispetto del diritto del lavoro, le “pratiche sleali” delle tre controparti che non attuano la dovuta “contrattazione in buona fede” e preparano sostituti degli scioperanti (cosa che è permessa dalla normativa USA, nel caso di rinnovi contrattuali). UAW ha incassato l’appoggio del Sindacato dei Teamsters, che ha recentemente firmato un sostanzioso contratto col vettore UPS, il quale ha dichiarato che i camionisti che consegnano veicoli saranno solidali con lo sciopero UAW e non oltrepasseranno i picchetti.

Mentre proseguono gli scioperi dichiarati, UAW ha organizzato per il pomeriggio di oggi 15.9 una (prima) grande manifestazione a Detroit, che, seppur molto ridimensionata, continua a essere la città dell’automobile statunitense.

Nella pagina Facebook del sindacato si possono trovare numerosi video e foto delle prime manifestazioni.