Tre decenni fa ho sostituito la mia passione per i viaggi e le gite con il servizio sociale nelle campagne e foreste del Sud America. Non volevo più esplorare la montagna solo per respirare aria fresca e fare esercizio; ero determinato a vivere tra le comunità indigene per cooperare nei loro compiti, imparare dal vivo la loro cosmogonia ed in particolare il legame che hanno con la natura. Questa svolta ha preso forma nel settembre del 1993, quando nel garage di mia madre abbiamo fondato il Centro di ricerca e informazione ecologica. Abbiamo realizzato decine di reportage sulla stampa nazionale venezuelana ed alcuni contributi sui media internazionali, con diverse linee di ricerca e divulgazione.
Uno degli ambiti di ricerca che abbiamo intrapreso con più entusiasmo è stato quello relativo al problema della distruzione della foresta amazzonica e del suo impatto sui modelli climatici regionali e globali che, all’epoca, era poco discusso in ambito pubblico, perché i cambiamenti erano appena percettibili, anche se cominciava già a delinearsi una tendenza futura. Trent’anni fa già parlavamo di ciò che sta accadendo oggi in Europa, ma ancora oggi non si comprende la correlazione tra la distruzione della foresta pluviale sudamericana, l’instabilità delle correnti atmosferiche atlantiche ed il crescente arrivo di “fenomeni” climatici devastanti verso il Nord America e l’Europa con sempre maggiore frequenza, maggiore virulenza e maggiore portata territoriale all’interno di queste masse continentali.
L’Europa sta attraversando un profondo cambiamento nelle sue condizioni meteorologiche e molti dei suoi leader politici non ne sono consapevoli; non ascoltano la scienza o non sono in grado di affrontare e comprendere queste alterazioni.
Le coste portoghesi, galiziane, asturiane e cantabriche risultano erose delle sempre più intense tempeste atlantiche generate dalle “deformazioni” degli uragani tropicali. La stessa preoccupazione sta crescendo in Irlanda, isole britanniche, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Norvegia e Danimarca. Temporali sempre più intensi si stanno addentrando nel territorio tedesco, alimentati dall’instabilità atlantica che non smette di crescere e di avanzare. Questi sistemi atlantici hanno raggiunto l’Austria e l’Italia, qualcosa di mai visto prima.
L’Europa non si aspettava questo dramma climatico
Venticinque anni fa i segnali di questa crescente instabilità atmosferica erano già percepibili. L’Europa, come possiamo comprendere, aveva altre priorità, ecco perché non ha prestato maggiore attenzione a questo cambiamento. Tuttavia, questo continente e la sua economia subiscono ora un forte choc per gli eventi climatici estremi che vanno dai prolungati periodi caldi a raffiche di vento ed inondazioni che hanno distrutto intere zone urbane, causato ingenti perdite di preziosi raccolti agricoli, nonché una significativa riduzione della funzionalità idrografica, con impatti sull’attività turistica ed eventualmente industriale.
Tante le ondate di caldo arrivate dall’Africa sotto forma di anticicloni che ora attraversano il Mediterraneo e avanzano fino a diventare inarrestabili, proprio come le inondazioni che si verificano nel cuore dell’Europa, in entrambi i casi risulta necessario un radicale riorientamento di tutta la politica pubblica.
È un dramma che ha permeato un ampio spettro socioeconomico, a tal punto che si sono accelerati importanti accordi normativi per decarbonizzare le attività economiche e creare incentivi in grado di incoraggiare la “transizione verde”. Ad esempio, attraverso la Tassonomia europea delle attività considerate investimenti ambientali, molte aziende possono realizzare la riconversione industriale puntando alla decarbonizzazione e, allo stesso tempo, investire in compensazioni ambientali, grazie a centoundici gruppi di attività che permettono loro di ottemperare direttamente e indirettamente a questi scopi, includendo una parte importante di quei centosettanta scopi correlati ai diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile sottoscritti in ambito ONU.
Nonostante questi tentativi, l’instabilità climatica continua a colpire sempre più l’Europa e, paradossalmente, le misure europee continuano ad allontanarsi dalle cause profonde del problema. L’Unione Europea dovrà cercare soluzioni più efficaci per neutralizzare o mitigare la virulenza di questi “fenomeni” derivati, sul versante del caldo e della siccità, “dall’incapacità” della ridotta foresta tropicale africana di “raffreddare” o regolare il clima del Nord Africa, e questo spinge con violenza l’avanzata del fronte sahariano. Mentre la maggior parte dei nuovissimi uragani e le inondazioni in Europa si originano, come detto, nella riduzione della foresta amazzonica nel “lontano” Sudamerica.
I crediti di carbonio non saranno mai sufficienti per salvare l’Europa
Data la lentezza nel raggiungere gli obiettivi di riduzione le emissioni di CO2 in Europa, l’unico approccio logico per risolvere il problema è un ripristino massiccio, accelerato e altamente biodiverso delle foreste tropicali africane e americane; non c’è altra via d’uscita per vedere i risultati nel medio termine. Poiché la più grande riduzione della foresta equatoriale africana è avvenuta secoli fa, forse prima degli attuali dati meteorologici più precisi, alla sua deforestazione non viene attribuita un’importanza così sensibile. Al contrario, la più grande devastazione della grande Amazzonia, comprendente i bacini del Paranà, del Orinoco e naturalmente del Rio delle Amazzoni, è stata perpetrata in tempi molto recenti, per cui alle registrazioni riferite all’instabilità atmosferica dell’Atlantico si possono contrapporre la riduzione della massa della foresta amazzonica negli ultimi quarant’anni.
Siamo arrivati alla parte meno comprensibile per i politici e i decisori amministrativi. La funzione più rilevante di queste foreste non è la fissazione o la cattura della CO2, che, senza dubbio, è qualcosa di molto importante. L’impatto maggiore della foresta pluviale è un altro, ci riferiamo al raffreddamento e alla regolazione delle correnti marine e atmosferiche, dovuto a due fattori principali.
Uno è il contributo costante dei giganteschi flussi d’acqua provenienti dai fiumi Congo e Rio delle Amazzoni e da molti altri bacini idrografici che si versano nell’Oceano Atlantico e, l’altro, più importante anche se poco conosciuto, riguarda l’enorme quantità di umidità che la foresta riversa nell’atmosfera: più di venti miliardi di tonnellate annue di vapore d’acqua fresco (soltanto della foresta amazzonica). L’Amazzonia è il più grande regolatore climatico dell’Atlantico e della sua area di influenza, compresa naturalmente l’Europa.
Quindi, la compensazione ambientale che le grandi e medie imprese ottengono acquisendo crediti di carbonio non solo è parzialmente assurda, ma è altamente inefficiente per “pagare” il servizio ambientale che le foreste tropicali producono sul clima europeo e nord-americano.
Oltre la compensazione ambientale
Non si tratta solo di compensare la quantità di CO2 emessa dalle aziende, destinando enormi risorse finanziarie a diverse organizzazioni che indirizzano il proprio talento e la propria logistica alla realizzazione di progetti di piantagione e cura di masse forestali che, a loro volta, possono fissare una parte preziosa di dette emissioni di carbonio. Per mitigare le manifestazioni del cambiamento climatico non è sufficiente compensare l’inquinamento che generiamo.
Devono essere implementate misure radicalmente più ampie, più profonde e di maggior impatto. Se l’Europa decidesse di adottare misure per garantire la propria sopravvivenza climatica, dovrebbe concentrare la propria attenzione sulla generazione di due grandi gruppi di azioni o interventi. Un insieme di micro-azioni, all’interno del continente, consisterà nell’introduzione e nel recupero di foreste altamente biodiverse attraverso la progressiva sostituzione delle monocolture forestali di pinete, che sono abbondanti in Italia e Spagna, e che stanno distruggendo la fertilità dei suoli e la funzionalità dei propri bacini idrografici.
Da un’altra parte, occorre intraprendere un ampio insieme di macro-azioni destinate al salvataggio urgente delle foreste tropicali e alla loro corrispondente espansione, con un contributo finanziario dieci volte superiore a quello stanziato per il mercato dei crediti di carbonio. Stiamo parlando di obbligazioni di compensazione climatica, che includerebbero, oltre alla cattura di carbonio, l’emissione di umidità in grado di regolare il clima nella zona atlantica e, quindi, di mitigare la “violenza climatica” che colpirà sempre più l’Europa fino a quando le foreste tropicali non saranno ripristinate.
Finché ciò non verrà fatto, vedremo l’intera Europa decadere insieme al suo clima in un tempo prevedibile, per la perdita di gran parte della sua capacità produttiva. Abbiamo ancora tempo.