Nel buio della sera di San Lorenzo, ci è passata davanti la stella più bella.
Poco prima che si diffondesse la notizia della morte di Michela Murgia, avevo terminato di leggere uno dei diari dello scrittore ungherese Sandor Marai, “Terra, Terra!…”. Secondo Marai, lo scrittore è la sua lingua e la sua lingua è ciò che lo rende unico e indipendente.
Michela Murgia è stata tante cose, ma certamente è stata la sua lingua. Corrosiva, nel senso che il compito di chi scrive è, o dovrebbe essere, quello di corrodere i poteri, di intaccarli, di non starvi sotto né accanto.
La lingua di Michela Murgia è stata una sferzata al patriarcato, al conformismo, al bigottismo, è stata un appello a mobilitarsi per i diritti e le libertà. Lo è stato, quell’appello, anche la sua morte, il modo in cui – di nuovo, con la sua lingua – ha raccontato le sue ultime settimane in un modo emozionante e avvincente.
Se compito di chi scrive è, o dovrebbe essere, quello di indicare una possibile direzione da percorrere, dal punto di vista dell’etica, della cultura e della politica, Michela Murgia quel compito lo ha svolto appieno nella sua vita ma anche nella sua morte.
Dunque, nel buio della sera di San Lorenzo, Michela Murgia non è stata una stella cadente: è stata la stella più luminosa.