“Amo la Turchia, ma non il sistema politico turco che non rispetta i diritti umani e le minoranze.”
La mano lunga del regime turco di Erdogan arriva anche in Sardegna. E’ di pochi giorni fa la notizia dell’arresto del cittadino tedesco di origini kurde Devrim Akcadag, mentre si apprestava a iniziare una vacanza sull’isola, in compagnia della figlia di 11 anni.
Ho conosciuto Devrim: è un uomo di mezz’età, composto e gentile nell’atteggiamento, riflessivo ed acuto nel discorrere. E’ nato in Germania da una coppia di rifugiati kurdi quarantotto anni fa, vive e lavora a Berlino come interprete e traduttore, all’Università e in altri contesti. In precedenza, dal 2005 al 2009, aveva lavorato come giornalista in diversi paesi del medio oriente, fra cui il Kurdistan turco e siriano.
Ora è agli arresti domiciliari, in affidamento presso un’associazione, l’ ASCE (Associazione Sarda Contro l’Emarginazione), con l’accusa di “fiancheggiamento al terrorismo”, in quanto su di lui pende un ordine d’arresto internazionale, diramato dalle autorità turche, con richiesta di estradizione. E’ stato da subito separato dalla figlia, collocata in una comunità. Fortunatamente la bambina è stata tempestivamente recuperata dalla madre, avvisata da Devrim, e riportata a Berlino. Immaginiamo il trauma subito da questa piccola, separata improvvisamente dal padre, in un ambiente sconosciuto.
Chi conosce la situazione del popolo kurdo, sa bene che il regime turco di Erdogan non lascia scampo agli oppositori fuggiti all’estero, cercando in tutti i modi di colpirli o almeno intimidirli. Metter loro paura, rendergli la vita difficile, è un’attività pianificata dal regime, per fiaccare le fonti di opposizione all’estero che possono dare appoggio alla causa kurda e sollecitare l’attenzione dei media.
Resta comunque paradossale che un cittadino tedesco possa essere arrestato in Italia per delle accuse internazionali che in Germania non sono state prese minimamente in considerazione. Come si spiega? Ci sono da tempo problematiche sul rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche fra Unione Europea e Turchia. Forse in Italia non è stata recepita la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che, l’8 febbraio 2022, si è pronunciata a favore del PKK, lo storico partito dei lavoratori dei kurdi, decretando che non può essere classificato come gruppo terroristico. Ma un paese come l’Italia, retto da un governo di destra, con interiora neofasciste, può fregarsene di tenersi aggiornato sul rispetto dei diritti umani. E la Turchia, a sfregio delle libertà calpestate, va riverita in quanto esercito importante in sede NATO. Lo storico servilismo italico? Forse.
Va ricordato che i kurdi in generale e il PKK in particolare hanno abbandonato da tempo le velleità di arrivare all’indipendenza attraverso la lotta armata. Dal 1993 i principali movimenti kurdi ricercano una soluzione politica che porti ad un’ampia autonomia e al rispetto dei diritti del proprio popolo ed un riconoscimento del proprio patrimonio linguistico, storico e culturale. Il regime politico incarnato da Erdogan continua a negare ogni ipotesi di negoziazione e a perseguitare il dissenso sia all’interno del Paese che all’estero. Il popolo è stanco della guerra, dei bombardamenti e dei morti e vorrebbe trovare una via di dialogo. Tuttavia l’opinione pubblica mondiale appare abbastanza distratta e non dà sufficiente appoggio alla ricerca di una soluzione politica del problema kurdo.
Al giorno d’oggi non ha più molto senso pensare di demarcare un confine fra Kurdistan e Turchia: i kurdi devono essere riconosciuti come popolo e rispettati nei propri diritti e nella propria autonomia, all’interno di una Turchia decentrata e democratica.
Nella speranza che un giorno un kurdo che venga in vacanza in Sardegna possa dire: amo la Turchia e apprezzo che il governo turco riconosca pienamente i diritti delle minoranze etniche, politiche culturali e religiose.
Ma questo scenario resta, al momento, ancora enormemente lontano.