Sulla scomparsa accelerata delle api in varie parti del mondo, si sono fatte diagnosi più o meno scientifiche che indicano possibili cause: l’uso di fitofarmaci soprattutto erbicidi e pesticidi, la coltivazione di organismi geneticamente modificati, l’assenza di rotazione e associazione di diverse specie vegetali, l’aumento della presenza di patogeni in questi imenotteri, il sovrasfruttamento degli alveari e dei loro derivati, le piogge acide sulle piante che forniscono nettare e polline, la vicinanza di forti campi elettromagnetici e luminosi. Vi parlerò però di un’altra causa molto particolare, che mi ha portato a percorrere molte zone agricole del mondo e prendere nota di alcune osservazioni.
Si è detto molto spesso che grazie alle api possiamo migliorare e aumentare la biodiversità dell’ambiente, ma cosa accadrebbe se invertissimo l’ordine dell’equazione? Supponiamo che, agendo sulla diversità delle piante da fiore, sarebbe maggiore o minore la popolazione di api nell’ambiente. Ancor di più, si tratta di sperimentare la presenza stabile e permanente della maggior varietà possibile di alberi nativi nell’ambito dei grandi lotti boschivi dove si pratica l’apicoltura.
La risposta sta nei popoli indigeni
I popoli indigeni e molti contadini sono depositari di una conoscenza che si perfeziona e si accumula da secoli, trasmessa di generazione in generazione e tra vicini o colleghi produttori, la cui costante osservazione della natura permette loro di affermare che la presenza ravvicinata di foreste naturali conferisce alle api una dieta varia, la presenza di microrganismi benefici, una diminuzione dello stress e, di conseguenza, un sistema immunitario più efficiente.
In Sud America c’è ancora una natura esuberante che ci mostra le prove in modo molto evidente. Ma come dimostrare e quindi confermare questa deduzione logica e intuitiva in altri spazi dove la scomparsa delle api è più grave, ad esempio, in Europa? Gli specialisti italiani basano i loro studi sulle ipotesi già esposte nel primo paragrafo di questo articolo; quindi, ho rivolto il mio sguardo verso una possibile causa che in alcuni scenari viene meno trattata, mi riferisco alla sistematica scomparsa dei boschi nativi.
Prima il bosco biodiverso e poi le api
Negli ultimi millenni, l’Europa ha visto nel legno la principale fonte di approvvigionamento per l’industria navale, edilizia ed energetica, con un preciso momento storico, quattrocento anni fa, quando in Italia e in altre parti dell’Europa si è stabilita la politica di sostituzione quasi assoluta delle foreste autoctone mediante la coltivazione di poche specie di conifere. Da più di dieci generazioni gli europei sono abituati a credere che le foreste omogenee di conifere siano naturali, qualcosa che sfugge alla realtà originaria e organica di questo continente, soprattutto negli ambienti mediterranei.
Questa è forse la causa della pronunciata siccità in molte parti dell’Europa occidentale e della disfunzione di alcuni bacini idrici nel catturare e regolare il deflusso dell’acqua piovana. Allo stesso modo, il degrado o la quasi scomparsa della fertilità del suolo si osserva in molte di queste estese pinete, che non possiamo considerare boschi e nemmeno foreste funzionali. La desertificazione dei suoli, apparentemente protetti dalla presenza di lotti forestali omogenei, avanza a ritmi spaventosi in queto continente e, a quanto pare, le soluzioni che prevedono la trasformazione di queste monocolture forestali in boschi biodiversi non vengono intraprese.
Più correlato di quanto immaginiamo
Cosa c’entra questo con la scomparsa delle api? Forse è più correlato di quanto immaginiamo. Per avvicinarci ad un possibile monitoraggio basta mettere entusiasmo e concentrarsi sull’individuazione di segni che alla fine sembrano controintuitivi. In Italia ho deciso di percorrere alcuni parchi nazionali, ambienti montani e lotti boschivi vicini ad aree agricole, le cui indicazioni mi hanno portato ad ampliare ulteriormente le osservazioni, per cui ho deciso di percorrere tutta la Francia e parte della Spagna. In tre anni, sono arrivato vicino ad una conferma del posizionamento dei fattori all’interno dell’equazione simbiotica tra la presenza di foreste native biodiverse e le corrispondenti popolazioni locali di api.
Gli ambienti boschivi che ho visitato mi hanno permesso di verificare che in quelli più omogenei o costituiti solo da pinete osservavo un minor numero di api nei prati adiacenti, mentre la maggiore presenza di api si localizzava nella prossimità di foreste autoctone biodiverse, molte di queste in Francia. Non a caso, la Spagna e l’Italia mantengono l’errata monocoltura forestale, le cui caratteristiche ecologiche mi hanno fatto dedurre che è a causa di questa cattiva pratica agroforestale che non solo ci sono suoli meno fertili e più siccità, ma anche una minore presenza delle api.
Per recuperare la popolazione di api, nonché la fertilità del suolo, e quindi avere un miglioramento funzionale di molti bacini idrografici (ricordiamo le abbondanti alluvioni accadute in Italia), è necessario cooperare con la natura aumentando il più possibile la biodiversità forestale. La sostituzione delle foreste monocolturali con foreste ad alta biodiversità, compresi i corridoi forestali e le siepi che separano migliaia di appezzamenti agricoli, come ha già fatto la Francia con l’utilizzo delle migliori pratiche in questo settore, renderà l’Italia e la Spagna esemplari con territori sempre più lontani dalla siccità, dalla desertificazione e dall’insicurezza alimentare.