La notizia della morte del Vescovo Luigi Bettazzi è velocemente circolata sui social, suscitando generale commozione, ricordi e parole di stima e affetto. Posso dire della Diocesi di Ivrea, dove è stato Vescovo dal 1966 al 1999 e poi vescovo emerito fino ad oggi; gli volevano bene tutti (o quasi tutti) perché vicino alla gente, simpatico, affabile, umile e impegnato per un mondo migliore, per un’umanità fraterna, che sappia vivere nella pace e nella “convivialità delle differenze”, come diceva don Tonino Bello, suo amico e confratello, successore alla guida di Pax Christi.
Come si può narrare in un articolo una vita lunga quasi un secolo? Lo incontrai per la prima volta quando aveva 53 anni, di cui tredici vissuti come vescovo ausiliare a Bologna poi a Ivrea, aveva già partecipato allo straordinario evento del Concilio Vaticano II ed era Presidente del Movimento Pax Christi. Questi tre impegni, hanno contrassegnato sempre la sua vita, con tutti i valori soggiacenti, a cominciare dalla fede in Gesù Cristo, l’amore per Dio e per il prossimo, la Chiesa, la pace, la vita di ogni essere umano, la giustizia e i diritti di ciascuno. Conoscendo la sua fama di vescovo progressista, io che stavo in una fase di orientamento della mia vita, lo cercai e gli parlai a Roma, dove era per una riunione di vescovi. Mi disse che avrei potuto andare a Ivrea, dove poter fare il servizio civile come obiettore di coscienza presso la Casa dell’Ospitalità, che lui aveva voluto per ospitare persone in difficoltà. Ecco: il Vescovo Luigi non solo parlava bene, ma era uomo di azione. Aveva un carattere dolce e forte, socievole e autorevole, disposto al dialogo e fermo nelle sue convinzioni, pronto a difendere i diritti delle persone e i progetti sociali anche a costo di scontentare qualcuno.
La scelta della giustizia e dei diritti, la scelta dei poveri e degli oppressi, lo portava inevitabilmente a criticare i potenti. Ma cercava di farlo con garbo, tenendo sempre presente che “quando punti il dito contro qualcuno, ne punti tre contro di te”. Questo principio e la responsabilità di pastore di una Chiesa Diocesana lo portava a evitare scelte e critiche dirompenti, anche all’interno della Chiesa Cattolica, lenta e restia all’applicazione delle istanze del Concilio che Lui cercava di attuare. Così quando qualcuno lo sollecitava a prendere posizioni più progressiste, diceva “tengo famiglia”, cioè ho una chiesa, un popolo, con cui devo camminare. Lui davanti, ma non staccato dalla sua gente; vicino, unito al popolo di Dio, al suo servizio, attivo nell’indicare e avviare la strada da percorrere insieme. Talvolta la indicava con gesti clamorosi: mettendosi in piazza con gli operai che scioperavano e con i pacifisti che manifestavano per la pace e l’obiezione di coscienza, contro le guerre, le spese militari e l’energia nucleare. Ha avuto la forza di offrirsi come ostaggio delle Brigate Rosse al posto di Aldo Moro e il coraggio di andare nel 1992 a Sarajevo con 500 pacifisti a chiedere di fermare la guerra.
Ammirava Gesù e i martiri, e come loro non avrebbe disdegnato di dare anche la vita per una causa giusta. Ma stava attento ad avere vicino il suo popolo. Voleva una chiesa partecipata e una società democratica, dove si convive tra diversi e dove si cercano insieme le soluzioni ai problemi. La sinodalità è stato lo stile del suo episcopato: “Cristo ci unisce per pregare e per servire” e “Per una Chiesa giovane al servizio del mondo” sono i testi scritti dalla Diocesi di Ivrea in anni di incontri diocesani. Dopo il primo Sinodo diocesano dell’84-86, fece il secondo nel 95-96 sulla Parola di Dio, indicata come suprema ispiratrice della vita dei cristiani e della Chiesa. Per dire quanto ci tenesse a stare con la gente ha scritto, tra i suoi circa 40 libri, uno intitolato “Farsi uomo” e un altro “Farsi donna, farsi giovane, per la pace”. Mentre con gli adulti generalmente il dialogo gli riuscì bene, con i giovani non ha avuto tanto successo, nonostante vari tentativi mediante le giornate a loro dedicate e i libri come “Ateo a 18 anni?” scritto nel 1982 (che adottai come libro di testo di religione per le classi quinte, con le quali gli organizzai un incontro) e “Egoista a 18 anni?” scritto nel 2019.
In particolare per i giovani scrisse nell’83 il libretto “Il cristiano e la pace”, che ha in copertina un biondo giovane con capelli lunghi, la tuta mimetica e l’elmetto in mano con dentro una bianca colomba. All’educazione alla pace e alla nonviolenza teneva molto. Ha ripetuto ancora “Da sempre sono per la nonviolenza”, lo scorso 7 maggio, in piazza davanti al municipio di Ivrea, in occasione della “Staffetta dell’Umanità”, quando con chiarezza indicò le tre cose da perseguire per arrivare alla pace e far finire la guerra in Ucraina: creare una mentalità nonviolenta, insistere con la diplomazia e i negoziati, creare e inviare forze di interposizione. La violenza, diceva, anche quella dell’invasore, si vince con la nonviolenza, non con una violenza maggiore. Mons. Bettazzi ha molto gradito lo slogan scelto da Papa Francesco per la Giornata della pace del 2017 “La nonviolenza: stile di una politica per la pace”, perché richiamava la necessità di aggiungere alla scelta personale della nonviolenza – da sempre presente nella morale cristiana fondata sull’esempio di Gesù – la scelta della nonviolenza politica, organizzata, istituzionale, che parte dal ripudio della guerra, he è la massima violenza organizzata. Al sostegno del diritto all’obiezione di coscienza personale, Bettazzi univa il disarmo, la riconversione dell’industria bellica, la fine dei blocchi militari (la NATO), la critica al complesso militare-industriale che tanta responsabilità ha nel creare e alimentare le guerre. Si è impegnato in ogni modo per questo: cominciando con il promuovere le marce per la pace con Pax Christi all’ultimo giorno dell’anno, per finire e iniziare l’anno all’insegna della pace. Le ha fatte tutte, fino ad essere presente alla 55ma il 31 dicembre 2022 a Catania. Quante volte è intervenuto a manifestazioni e dibattiti sulla pace! Ricordo ad esempio di avere fatto insieme la manifestazione del 4 giugno 1988 da Caselle a Ciriè, contro la militarizzazione della produzione industriale e del territorio della Valle di Lanzo e del Canavese, quando egli fece il discorso introduttivo citando l’Enciclica Pacem in terris di Papa Giovanni nel 25° anniversario. Un mese fa ricordava ancora questa storica Enciclica nel 60° anniversario della sua pubblicazione. Ora lo immagino insieme a quel Papa buono, a Don Tonino Bello e a tutti gli altri innumerevoli testimoni, profeti, maestri di nonviolenza e di pace. Come loro Beato costruttore di pace.
Pierangelo Monti