di Nanni Salio
Ho avuto modo di conoscere due Renato Solmi. Il primo, che ho frequentato saltuariamente, è la figura più nota e ricordata dello studioso, abilissimo traduttore, germanista, intellettuale di sinistra attivo nell’ambiente culturale einaudiano degli anni 1950-1970.
Il secono Rentato Solmi è quello, meno noto, ma a me più caro e importante, dell’attivista per la pace e la nonviolenza. Un interesse sorto sin dai tempi dei lavori di Günther Anders sulla minaccia di sterminio nucleare, ma maturato lentamente e più in profondità man mano che si avvicinò al Movimento Nonviolento, fondato da Aldo Capitini, sino a diventare un assiduo frequentatore e sostenitore del Centro Studi Sereno Regis.
In questa seconda parte della sua vita continuò a dare il suo contributo con la traduzione di articoli di autori importanti come Jonathan Schell (noto per il best seller degli anni ’80 Il destino della Terra, Mondadori, Milano 1982, e più in generale per la sua opera di denuncia e divulgazione della minaccia nucleare) e di altri come Jan Oberg, direttore della TFF (Transnational Foundation for Peace and Future Research) e ricercatore della rete Tanscend fondata da Johan Galtung, noto per i suoi lavori di peace research.
Nelle riunioni, nei seminari e nei convegni del Movimento Nonviolento, Renato portava la sua carica di indignazione, simile a quella di Stéphane Hessel, per la follia della guerra e in particolare delle tecniche di bombardamento aereo che si sono imposte a partire dalla seconda guerra mondiale. La sua radicale proposta di un bando dei bombardamenti non solo non fu mai presa in considerazione a livello istituzionale, ma gli sviluppi successivi hanno portato a progettare una tecnologia ancora più distruttiva e feroce, quella dei droni.
Un ricordo di Renato mi è particolarmente caro: veniva ai momenti convivivali che spesso seguono le nostre riunioni, portando il suo contributo, felice di partecipare perché, come mi disse una volta, “nel movimento nonviolento ho trovato degli amici”.
Negli ultimi tempi mi parlava delle sue ultime traduzioni che avrebbe voluto pubblicare. Una nuova edizione dell’opera di Clausewitz, a suo parere non tradotta correttamente, e soprattutto l’enorme impresa di tradurre integralmente le poesie di Emily Dickhinson, una passione per la poesia ereditata dal padre.
Lo faremo sicuramente felice e lo ricorderemo nel modo più significativo se riusciremo a pubblicare, postumi, questi suoi ultimi lavori.