La guerra dei talebani contro le donne continua: in Afghanistan vengono compiuti ogni giorno crimini contro l’umanità di persecuzione di genere. Amnesty International e la Commissione Internazionale dei Giuristi hanno elaborato e firmato un rapporto finalizzato a fare luce sulla situazione femminile nel Paese finito sotto il giogo dei talebani da oltre due anni.
In Afghanistan donne e bambine sono vittime di una politica di crimini contro l’umanità e di discriminazione
Il segretario generale della Commissione internazionale dei giuristi, Santiago A. Canton, ha accusato il governo dei talebani di avere instaurato in Afghanistan un «sistema repressivo che vuole soggiogare ed emarginare le donne e le bambine», che fin dall’agosto 2021 sono vittime di sparizioni forzate, imprigionamenti illegali, torture e maltrattamenti.
Una politica di restrizione e di discriminazione che fa leva sulle possibilità di autorealizzazione delle ragazze, alle quali, terminato il primo ciclo di istruzione, viene negato l’accesso ai successivi gradi di apprendimento e alla collettività: «sono cittadine di seconda classe, ridotte al silenzio e rese invisibili» – ha dichiarato Callamard, segretaria generale di Amnesty International – e «bandite dagli spazi pubblici, dall’istruzione e dal lavoro, impossibilitate a muoversi liberamente, torturate e fatte sparire per aver denunciato quelle restrizioni e aver opposto resistenza all’oppressione. Si tratta di crimini internazionali: organizzati, massicci e sistematici».
Costrette nei lunghi tragitti ad essere affiancate da un maharram – il maschio guardiano – non è loro concesso di partecipare alla socialità, a meno che non si riveli necessario: secondo Amnesty e la Commissione internazionale dei giuristi, la Corte penale internazionale deve avviare un processo.
Il ritorno della sharia e della sua più brutale applicazione
L’organizzazione per i diritti umani aveva mostrato preoccupazione già nel novembre scorso quando, a seguito della decisione del leader talebano Haibatullah Akhundzada di reintrodurre le leggi della sharia, nella provincia di Logar – a sud di Kabul – dodici persone, tra cui tre donne, erano state pubblicamente punite con l’accusa di furto e adulterio. Le persone in questione sono state fustigate con una ventina-quarantina di colpi: agli spettatori è stato imposto il divieto di scattare foto ed effettuare video.
L’episodio ha rappresentato una violazione dei diritti esistenti e un simbolo di continuità con le politiche discriminatorie e violente realizzate dal governo talebano nel periodo tra il 1996 e il 2001 dove erano frequenti i casi di esecuzioni pubbliche – lapidazioni, sparatorie, amputazioni di arti, flagellazioni – di personalità accusate di aver trasgredito alle regole imposte dal regime.
Nei cinque anni precedenti all’insediamento delle forze Nato nei territori dell’Afghanistan, alle donne non era permesso di frequentare luoghi pubblici se non in compagnia del maharram, di avere libero e pieno accesso ai servizi sanitari, concessi per la maggior parte alla popolazione di genere maschile e che pertanto causava un grave abbassamento della prospettiva di vita femminile – molto spesso le donne non superavano i 44 anni d’età –, e di proseguire gli studi oltrepassati i dodici anni: nacquero le prime scuole clandestine, la cui gestione era affidata alle insegnanti donne, le stesse alle quali il regime aveva imposto il divieto di lavorare.
Oggi come allora – nonostante i diritti conquistati dalle donne e dalle minoranze etniche e religiose siano stati inizialmente tutelati dal gruppo estremista – in Afghanistan è all’attivo un sistema di potere discriminatorio, violento, restrittivo e improntato alla dominazione maschile sulla popolazione femminile, che ha segnato una ripresa delle manifestazioni e delle proteste pubbliche, alle quali seguono arresti arbitrari, prese in custodia illegali, torture e maltrattamenti contro donne e bambine.
Arianna Lombardozzi