“Il capo di accusa sull’Espionage Act… è su terreno solido”. Così Bill Barr, ex ministro di Giustizia di Donald Trump, mentre commentava alla Fox News i 37 capi di accusa annunciati dal procuratore speciale Jack Smith nel caso dei documenti top secret. “Anche se solo la metà è vero lui è rovinato”, ha continuato Barr. L’ex ministro di Trump era è stato fedelissimo fino alle ultime settimane dopo l’elezione del 2020, quando la sua onestà sul risultato ha rotto il loro rapporto. Barr ha anche messo a nudo la condotta irresponsabile dell’ex presidente, contrastandola con quella professionale e appropriata dell’attuale ministro di Giustizia Merrick Garland e del procuratore Smith.

Nel suo brevissimo discorso, Smith ha spiegato che Trump è accusato di violazioni alla sicurezza nazionale e di avere partecipato a una cospirazione per ostruire la giustizia. La violazione di queste leggi, ha continuato Smith, “mette a rischio il nostro paese”.

Trump si è dichiarato innocente e ha traghettato la vicenda in campo politico, attaccando direttamente l’individuo che lo ha sconfitto nel 2020 e che potrebbe di nuovo essere il suo rivale nel 2024—Joe Biden. “Questa ridicola incriminazione da parte dell’amministrazione di Biden non ha nessun fondamento”, ha tuonato l’ex presidente in un recente comizio nello Stato della Georgia. Secondo Trump, Biden ha “strumentalizzato il sistema giudiziario e diventerà il più orribile abuso di potere nella storia del nostro Paese”.

Spostare l’incriminazione in campo politico aiuta Trump a raccogliere fondi dai suoi sostenitori. Cerca anche di descriversi come vittima, costringendo la leadership del suo partito a prendere le sue difese. Difatti non pochi repubblicani di spicco hanno anch’essi echeggiato la falsariga della strumentalizzazione del ministero di Giustizia. Parecchi parlamentari come Jim Jordan (Ohio) hanno detto che è un giorno triste per l’America, divenuta, secondo questi, una repubblica delle banane in cui gli ex presidenti vengono perseguitati. Anche parecchi senatori come Ted Cruz (Texas), Josh Hawley (Missouri), Ron Johnson (Wisconsin), Tommy Tuberville (Alabama), Shelley Moore Capito (West Virginia) e Marco Rubio (Florida) hanno espresso la loro mancanza di fiducia nel ministro di Giustizia. Altri però hanno espresso cautela, suggerendo che bisogna aspettare per vederci chiaro, benchè alcuni abbiano espresso la loro preoccupazione. Mike Pence, l’ex vicepresidente di Trump, la cui vita fu messa in pericolo durante gli assalti al Campidoglio il 6 gennaio 2021, ha detto che “la legge è uguale per tutti”. Più sensato il messaggio del senatore Mitt Romney (Utah) il quale ha difeso la credibilità del ministero di Giustizia poiché ha concesso a Trump “tempo e opportunità per evitare” le accuse criminali, che non sarebbero concessi a un cittadino comune. Secondo Romney, se “le accuse sono serie e se verranno provate sarebbero coerenti” con altre azioni inadeguate di Trump da presidente, ad esempio la “mancata difesa del Campidoglio da assalti violenti e insurrezione”.

Questa violenza potrebbe ripetersi. Il linguaggio incendiario di Trump nel suo ultimo comizio in Georgia è stato ripreso in maniera apocalittica da Keri Lake, candidata perdente a governatore in Arizona nel 2022, che come l’ex presidente non ha accettato la sconfitta, strillando all’elezione truccata. La Lake, parlando a un gruppo di repubblicani in Georgia, ha detto di avere un messaggio per Merrick Garland, Jack Smith, Joe Biden, e per i media delle fake news. Ha minacciato che nessuno potrà toccare Trump perché lei e 75 milioni di americani lo difenderanno. Per calcare la minaccia ha aggiunto che lei e la stragrande maggioranza dei suoi sostenitori hanno “la tessera della NRA” (National Rifle Association), ossia sono tutti armati.

Il ministero di Giustizia negli ultimi due anni è riuscito a far condannare 600 individui che hanno commesso reati il 6 gennaio 2021 negli assalti al Campidoglio. Persino i leader degli Oath Keepers e dei Proud Boys, le due milizie di ultra destra che hanno partecipato agli assalti al Campidoglio, sono stati recentemente condannati per sedizione. Oltre al caso dei documenti riservati in questione, il ministero sta indagando sulle possibili responsabilità di Trump negli eventi del 6 gennaio. Quindi, mentre l’ex presidente e i suoi sostenitori continuano a fare il loro gioco in campo politico, Garland e Smith si concentrano sui fatti che conducono alla giustizia.

“Abbiamo un insieme di leggi in questo Paese e si applicano a tutti” ha chiarito Smith. Trump nella sua lunga carriera è stato coinvolto in questioni legali, riuscendo quasi sempre a farla franca. Questa volta però sembra essere diverso. Subito dopo l’annuncio dell’incriminazione criminale due dei legali di Trump hanno rinunciato a rappresentarlo. Le prospettive di incappare in una condanna criminale, la prima nella storia americana per un ex presidente, non sembrano affatto remote.

Nell’udienza del tribunale federale di Miami, Trump è stato preso in custodia. Dopo avere sbrigato le solite pratiche di ogni accusato —impronte digitali, presentazione del numero di Social Security (codice fiscale), ma non foto segnaletica— i 37 capi di accusa gli sono stati formalmente presentati. Trump, per voce del suo legale, si è dichiarato “non colpevole”. Secondo i cronisti presenti, durante i quarantasette minuti in aula l’ex presidente è rimasto con le braccia incrociate e visibilmente irritato. Subito dopo l’udienza Trump si è recato al ristorante Versailles, noto locale cubano a Miami, per incontrarsi con un gruppo di sostenitori e fare campagna elettorale. Lui crede di avere le migliori chance in campo politico per proteggersi dall’ambito giudiziario. Al momento sembra poter facilmente ottenere la nomination del suo partito, ma potrebbe anche essere condannato. Farebbe dunque la campagna politica con un braccialetto elettronico?