“Un abbraccio prigioniero. Le ragazze di Torino”
Si firmano così le ragazze della sezione femminile del carcere delle Vallette di Torino, col loro caratteristico saluto con cui concludono le loro lettere e i gli appelli. E ne hanno scritti negli ultimi anni di lettere e appelli: ai parlamentari, ai ministri che si sono susseguiti al Ministero di Grazia e Giustizia, alla società civile, al presidente Mattarella, ai giornali, a chiunque abbia voglia di ascoltare la loro voce.
Non semplice, in realtà, far uscire la propria voce dal carcere, soprattutto se voce collettiva che rivendica diritti e denuncia inefficienze. C’è il rischio di essere “prese di punta” dalle guardie carcerarie più refrattarie ai cambiamenti, quelle che ormai interpretano da troppi anni il sistema descritto da Nicoletta Dosio [1] : “ … il fine esplicito e istituzionale del carcere è quello di ridurre all’obbedienza cieca, contro qualsiasi coscienza critica e ogni autonomia: a questo sono finalizzati lo stravolgimento dei tempi e degli spazi, l’irrazionalità degli ordini, la sistematica repressione di ogni obiezione, la violenza psicologica …”
Ma le “ragazze di Torino” hanno le idee chiare e soprattutto tanto coraggio e tanta determinazione, hanno deciso di intraprendere la strada dell’attivismo nonviolento: nessuna rivolta, nessuna ribellione, anzi, agiscono sempre con attenzione scegliendo le loro strategie in modo da non esasperare gli animi, per non rischiare di innescare scintille che alla fine danneggerebbero chi è recluso. E individuano obiettivi concreti, realizzabili, richiedono diritti esigibili che sono riconosciuti dall’ordinamento giudiziario.
Marina Iadanza è una di loro: uscita dal carcere a gennaio ma ancora sottoposta all’affidamento in prova, la incontro nei pressi del negozio Freedhome in cui lavora. Le chiedo di raccontarmi delle attività delle ragazze di Torino per cui, anche ora che vive all’esterno, si impegna anima e corpo: Marina ha appena promosso assieme ad un’altra ex detenuta, Lunina Casarotti, una petizione su Change.org per chiedere che si porti alla discussione parlamentare la proposta di legge avanzata dall’onorevole Giachetti in merito alla Liberazione anticipata.
“Le nostre prime battaglie erano tutte interne ed erano richieste pertinenti all’andamento della sezione femminile in particolar modo all’inesistenza di percorsi lavorativi esterni al carcere, o per accedere a misure tipo l’articolo 21 e la semilibertà, e anche per il fatto che al femminile non venissero destinate risorse né per le ristrutturazioni nè per i corsi formativi o la scuola. Essendo le donne una forte minoranza numerica dentro al carcere le risorse maggiori sono destinate agli uomini, quindi l’unica scuola era quella di alfabetizzazione o le 150 ore per la terza media.
E poi noi donne abbiamo bisogno diversi dagli uomini e nella lista del sopravvitto non c’erano beni adatti né ad un alimentazione varia e più sana né per la beauty routine. Tutto ciò che abbiamo portato avanti lo abbiamo fatto col sostegno della garante delle persone private della libertà del comune di Torino, Monica Gallo, e del garante regionale Bruno Mellano che portavano all’attenzione del direttore o del provveditore le nostre richieste.”
E’ stato difficile in un ambiente come il carcere creare un gruppo di lotta? Come ci siete riuscite?
“Purtroppo è molto difficile coinvolgere le persone infatti si parte sempre in poche e le altre si accodano pian piano, per il rischio di essere denunciate e trasferite è obbligatorio non essere né violente né oltraggiose. Quindi la scelta di proteste pacifiche nonviolente. Sinceramente, per quanto non siano di effetto immediato, danno molto più fastidio al sistema gli scioperi della fame, gli scioperi del carrello [2], le petizioni, specie se rese pubbliche in modo da attirare l’attenzione sul carcere. Quando si è unite in sezione e si va avanti con richieste ragionevoli le cose si ottengono, difatti col tempo avendo visto dei cambiamenti e alcune richieste soddisfatte è stato molto più facile organizzarsi.
Il nome “le ragazze di Torino” è nato per caso: avevamo scritto una lettera per vari giornali ed associazioni e non sapevamo come chiuderla e così abbiamo optato per questo, anche se le età erano differenti però ci piaceva dare di noi un immagine fresca e combattente come sono le giovani e i giovani quando si uniscono. Anche l’abbraccio prigioniero è nato così per caso, ascoltando una puntata di radio carcere che va in onda su radio radicale ogni martedì e giovedì, avevamo mandato una mail e Riccardo Arena l’aveva letta e ci ha salutate via radio con “un abbraccio prigioniero a tutte voi” e quindi lo abbiamo lasciato come chiusura per le altre petizioni perché sono due parole che descrivono benissimo ciò che manca dentro: il calore di chi amiamo e il fatto di essere prigioniere e non poterlo neanche donare quel calore.”
Chi vi è stato di sostegno?
“La svolta per noi c’è stata dall’ingresso di Nicoletta Dosio e poi di Dana Lauriola (attiviste NoTav n.d.r.). Quando è entrata Nicoletta le cose sono cambiate per quanto riguarda la comunicazione con l’esterno perché lei con i suoi contatti e con il movimento a suo sostegno ha potuto fare uscire la nostra voce. I presidi e tutte le iniziative a suo sostegno hanno riportato l’attenzione sulla sezione in cui era chiusa lei e tutte noi.”
Nicoletta Dosio e Dana Lauriola hanno attraversato il carcere nel momento peggiore: il periodo del Covid. Alle già terribili condizioni di detenzione si sommano la chiusura di tutte le attività diurne e dei colloqui con i parenti, la paura del contagio, la mancanza di informazioni chiare e la cronica carenza di materiali per la prevenzione (i famosi disinfettanti e mascherine che la tv tanto raccomandava di utilizzare). A gennaio 2021 Dana aderisce, con altre detenute, ad uno sciopero della fame di una settimana per ottenere alcune migliorie e più ore di videochiamate settimanali ai parenti. Lo sciopero venne ripreso da numerose testate giornalistiche e dalla tv locale.
“Nicoletta e Dana ci hanno regalato i loro contatti: personaggi politici che sono venuti in visita, le Mamme in piazza per la libertà di Dissenso che hanno continuato a sostenerci anche dopo con i loro presidi e diffuso le nostre richieste, giornalisti che hanno continuato a seguire le nostre attività. E’ nato anche un contatto stretto con Rita Bernardini e l’associazione Nessuno tocchi Caino con cui abbiamo condiviso lo sciopero della fame a staffetta nell’agosto 2022 per chiedere misure urgenti per contrastare la strage di suicidi che stava falcidiando le carceri italiane”
E’ proprio durante il periodo covid che viene rilanciato da numerose associazioni ed esperti la richiesta della Liberazione Anticipata Speciale, una misura che era stata già sperimentata dal 2010 al 2015, in seguito alla condanna dell’Unione Europea per le condizioni di cronico sovraffollamento delle carceri italiane, e consiste nel far maturare 75 gg di liberazione anticipata ogni 6 mesi, invece dei 45 che prevede il sistema attuale [3].
Le ragazze di Torino si sono molto attivate per sostenere questa richiesta: uno sciopero del carrello a dicembre ’21, una raccolta firme che ha coinvolto numerose sezioni, una lettera alla ministra Cartabia, una lettera al presidente Mattarella.
Oggi Marina e Lunina, unite dalla comune esperienza e dalla voglia di continuare a lottare per il miglioramento dei diritti delle persone in detenzione, hanno promosso una raccolta firme su Change.org “PERCHE’ DI CARCERE NON SI MUOIA PIU’ “ in cui chiedono che venga discussa la proposta di legge Giachetti https://chng.it/KgSZhvWvz5
“Giachetti propone di ampliare da 45 a 60 giorni la liberazione anticipata e che venga concessa direttamente dagli uffici del carcere senza passare dal Magistrato di Sorveglianza, che in genere ci mette mesi se non addirittura anni a rispondere. Inoltre chiede che si applichi la Anticipata Speciale di 75 giorni dal 2016 al giorno di entrata in vigore della legge proposta.
Io e Lunina chiediamo a quante più persone possibili che si prendano a cuore le sorti delle persone detenute, con la consapevolezza che le carceri italiane non sono assolutamente in grado di garantire al mandato dell’articolo 27 della Costituzione”
Intanto proprio questa settimana il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha esaminato le misure prese dall’Italia per la prevenzione dei suicidi in carcere e evidenzia che “i dati disponibili sul numero di suicidi nelle carceri sono molto preoccupanti, avendo raggiunto un livello senza precedenti nel 2022 [4]“. Per questo si chiede che “le linee guida già adottate e le recenti raccomandazioni del dipartimento per l’amministrazione penitenziaria siano prontamente attuate in ogni carcere e che siano forniti finanziamenti sufficienti a tal fine e che il loro impatto sia monitorato attentamente”.
Note
[1] “Fogli dal carcere” Nicoletta Dosio ed. Redstarpress 2022- pag 73
[2] Lo sciopero del carrello consiste nel non accettare il cibo fornito dal carcere, quindi è realizzabile solamente se si hanno i mezzi per poter organizzare il proprio cibo. Durante gli scioperi del carrello le detenute solidarizzano condividendo i propri beni alimentari.
[3] La liberazione anticipata non è un meccanismo automatico ma deve “essere concessa” dal magistrato di sorveglianza a fronte di una buona condotta. In quasi tutti i paesi europei la liberazione anticipata è di 90 gg (ogni 12 mesi se ne scontano 6)
[4] 85 il numero totale dei morti per suicidio nel 2022. Con un picco di 16 nel mese di agosto
* Nonviolenza Mamme in piazza per la libertà di dissenso
pubblicato anche su SerenoRegis.org