Il 2014 è stato uno degli anni peggiori per i palestinesi. Il crimine dell’occupazione della West Bank e di Gaza ha esasperato ogni forma di violenza quotidiana in Cisgiordania e ha reso croniche le carneficine dei cittadini gazawi. In Israele, inoltre, è cresciuto il razzismo fanatico verso i non-ebrei. Il pensiero dominante, visibile ovunque nell’universo sionista, dai partiti israeliani ai siti web italiani, è sempre più orientato verso destra, e vede nella Grande Israele il suo unico punto di riferimento fisso. I “territori occupati”, mai riconosciuti come tali, non sono neanche più chiamati “contesi”, bensì semplicemente Samaria e Giudea. In questo quadro, nessuno nella pubblica opinione mondiale si preoccupa della crescente ebraicizzazione di Gerusalemme Est, che va di pari passo con il numero sempre crescente di case palestinesi demolite.
Questo vicolo cieco si è palesato nel 2015 con la rielezione di Netanyahu, avvenuta grazie a una propaganda di stampo razzista che ha esplicitato chiaramente la non-volontà di Israele di permettere l’esistenza di uno stato palestinese. Il quadro politico, sempre più degenerato verso una non-soluzione di pulizia etnica e apartheid per i palestinesi, ha un corrispettivo a livello di crimini di guerra (ma sarebbe ora di chiamarli contro l’umanità) commessi da Israele contro il popolo palestinese.
Come riporta Amire Hass su Ha’aretz del 27 marzo*, il numero di civili palestinesi uccisi dalle Forze di Difesa israeliane (IDF) nel corso del 2014 in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza ha superato i 1.500: il numero più alto da quando è iniziata l’occupazione nel 1967. Questi dati sono presenti nel rapporto “Vite frammentate” dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, pubblicato giovedì 26 marzo. Nel rapporto si evidenza come, rispetto al 2012-13, sia aumentato il numero di profughi palestinesi, di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane e di palestinesi feriti o uccisi dai coloni israeliani.
Nel 2014 l’IDF ha ucciso 2.312 palestinesi – ferendone oltre 17.000 – di cui 2256 abitanti di Gaza e 56 residenti in Cisgiordania o a Gerusalemme Est. Nella carneficina di Gaza, Israele ha ucciso 2.220 gazawi, di cui 1.492 civili, compresi 551 bambini e 299 donne. Questi numeri sono nettamente superiori rispetto agli anni precedenti e sono correlati al maggior uso di munizioni.
Secondo il rapporto, 85 israeliani sono stati uccisi: 66 soldati durante l’invasione di Gaza e 19 tra civili e soldati in Cisgiordania.
L’anno scorso, inoltre, 5.258 palestinesi (tra cui 185 bambini) sono stati incarcerati in Israele per (presunti) reati legati alla sicurezza, a fronte dei 4.227 del 2013 e dei 4.451 del 2012. La media mensile dei detenuti amministrativi (incarcerati senza processo o ai quali è stato negato il diritto di presentare una difesa) è salita a 327 da 132 del 2013 e 245 del 2012.
A causa di quella che impropriamente viene chiamata “guerra di Gaza”, il numero di profughi palestinesi è aumentato notevolmente e 9.465 case sono state completamente distrutte durante la guerra (contro le 3.425 della carneficina di Gaza descritta da Vittorio Arrigoni nel 2008-09). Gaza ha ancora bisogno della costruzione di circa 100.000 unità abitative, ma il numero continua ad aumentare dal tempo della prima carneficina. C’è stato anche un aumento del numero case palestinesi demolite nell’ Area C (zona della West Bank sotto il pieno controllo israeliano): 1.215 rispetto alle 1.103 del 2013 e alle 879 nel 2012. A Gerusalemme Est 98 palestinesi hanno perso le loro case nel 2014 per le demolizioni del comune di Gerusalemme, circa lo stesso numero del 2013. La pulizia etnica di Gerusalemme Est e della Cisgiordania (considerate Giudea e Samaria) prosegue senza tregua, così come la costruzione di nuovi appartamenti per coloni ebrei, mai fermata da nessun governo israeliano.
Il rapporto dell’ONU, evidenzia Amira Hass al termine del suo articolo, esorta Israele a cambiare la sua politica: “Gli Stati terzi condividono la responsabilità di garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario nei territori palestinesi occupati al fine di promuovere il rispetto degli obblighi in materia di diritti umani”.
E, conclude Hass, “in quello che può essere interpretato come un invito a un’azione diplomatica più decisa contro Israele, il rapporto aggiunge che questi paesi terzi ‘dovrebbero porre in atto tutte le azioni necessarie derivanti da questa responsabilità’.” Ma è tristemente facile prevedere che i paesi terzi non porranno in atto nessuna azione volta a far rispettare i diritti umani dei palestinesi né il diritto del popolo palestinese a essere nazione sulla propria terra.