Gregorio Lombardo è Segretario per la Pace di Servas Italia associazione internazionale che aderisce a Eirenefest, il Festival del Libro per la Pace e la nonviolenza che si svolgerà a Roma dal 26 al 28 maggio.
Nonostante Servas sia un’associazione nonviolenta che esiste da tanti anni ancora molti non la conoscono: puoi spiegare come è nata e di cosa si occupa?
Si, SERVAS nonostante esiste da vari decenni ed è presente in molti stati del mondo, non è conosciuta.” Il pacifismo odierno, legato a Servas, deriva dall’ondata di un sentimento sociale generato a seguito degli orrori della seconda Guerra Mondiale, che ha iniziato a far germogliare l’interesse verso la pace e la giustizia. Sono così nati vari movimenti pacifisti tra cui vi era anche la “Popular High School” di Askov (Danimarca) che possiamo considerarlo precursore della nascita di SERVAS.
Attraverso il movimento denominato “costruttori di Pace” (Peace builders), si cercava di dare le prime risposte alla esigenza di costruire relazioni sociali tra persone appartenenti ai popoli di tutti i Paesi che si concretizzò con il dare avvio all’organizzazione di viaggi che favorissero la conoscenza fra differenti culture.
Servas è nata nel 1949 in America, grazie al suo fondatore Bob Luitweiler è arrivata in Italia negli anni 70.
Nel 1950 c’è stato il primo incontro durante il quale furono redatti i primi statuti sostanzialmente invariati finora.
Nel 1952 questo movimento prese il nome di Servas (proveniente dall’esperanto “ni servas” che significa “noi serviamo”), con il fine che quello che si faceva era un servizio in favore della pace.
Nel 1972, quando il movimento si estese fino in Oceania, America, Africa e Asia, si creò “Servas International” per dare e gestire l’assetto internazionale e identificando ed eleggendo anche le figure rappresentative in questo contesto.
Servas è riconosciuto dall’UNESCO ed è rappresentato all’ONU come organizzazione non governativa a partire dal 1973.
Non siamo un’associazione che svolgiamo delle mansioni di volontariato nel sociale, ma abbiamo, come obbiettivo principale, quello di promuovere la cultura della pace e della non violenza attraverso la “conoscenza dell’altro” che si manifesta con la reciproca ospitalità. Attorno a questo valore poi ruotano altre attività come laboratori, campi estivi, eventi come “Sentierinsieme” o “Servas Bike” per le convivenze legate rispettivamente alle camminate o ai giri in bici… e così via…
Un elemento cruciale delle attività che porta avanti Servas è quello di promuovere un’etica e uno stile di vita nonviolento, puoi spiegarci come?
Dicevo prima, a proposito dell’ospitalità, che è l’elemento cruciale. Ma vi è da aggiungere le attenzioni che cerchiamo di porre in tutte le scelte che facciamo. Ad esempio ogni anno organizziamo un campo estivo in cui lo stile di vita e le attività sono in linea con un’etica che va dal rispetto dell’ambiente alla formazione personale che si pratica attraverso dei laboratori. Abbiamo aspetti pratici e teorici. Abbiano redatto dei vademecum in modo tale da dare uno strumento a coloro che organizzano eventi, come ad esempio le assemblee, che possa essere di supporto nelle piccole scelte quotidiane (es non usare vettovaglie in plastica, tra le strutture che ci ospitano, selezionare quelle che abbiano finalità sociali rispetto a quelle convenzionali… Oppure preferire prodotti sostenibili rispetto quelli ordinari). Sostanzialmente cerchiamo di impostare le nostre scelte in linea con quelli che sono i valori della convivenza in pace con i nostri simili e nel rispetto dell’ambiente.
Servas è indubbiamente una delle associazioni che porta avanti l’idea di un mondo solidale, senza frontiere, di dialogo: ci vuoi fare qualche esempio pratico?
Il solo fatto che la nostra associazione promuove il valore dell’amicizia attraverso l’ospitalità è l’atto pratico per eccellenza, ma promuoviamo anche laboratori sociali e formativi in seno alle nostre attività come ad esempio nell’Assemblea Nazionale di Firenze vi è stato un laboratorio sulla non violenza.
A tal proposito, vorrei parlarvi di guerra. La storia ci insegna che le guerre ci sono sempre state. Forse non smetteranno mai di esserci, però far conoscere che ci può esse un metodo alternativo alla violenza è estremamente importante. Un caso emblematico è legato alla storia della Danimarca e la sua resistenza al nazismo.
Dobbiamo partire dal dato, che, se ci poniamo come obbiettivo quello di una pace giusta, la possiamo raggiungere in due modi: con la guerra, o con la resistenza civile. Sia nell’uno che nell’altro caso bisogna essere adeguatamente formati.
La differenza la può fare il numero di morti ammazzati, che nella guerra ci saranno rispetto quelli che, al contrario, nella resistenza civile possono essere strappati alla medesima morte.
A tal riguardo brevissimamente vi sottopongo il fatto storico della Danimarca e della sua resistenza nonviolenta al nazismo. Trattasi di un pezzo di storia unico ma estremamente interessante per chi propone il metodo della non violenza non come semplice utopia ideologica, ma come atto pratico contro il sopruso di un regime tirannico e con capacità superiori rispetto la vittima. Faccio mie e condivido con voi l’idea di Hannah Arendt, la quale, sosteneva che su questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie per illustrare a quali risultati può arrivare una lotta nonviolenta, insieme alla formazione e coesione sociale. (ed io aggiungo leggiamola e rileggiamola e poi promuoviamola).
Il 9 aprile 1940 la Danimarca venne invasa dai Tedeschi nazisti. L’esercito danese in poco tempo si arrese, mentre il governo socialdemocratico danese, seppur in carica, è stato costretto ad assoggettarsi alle intese degli invasori e tra cui ha dovuto acconsentire a limitazioni come la messa al bando dei comunisti, ai vincoli economici con la Germania, diventando così un simbolo di propaganda dei nazisti. A questo punto il senso di intolleranza del popolo danese verso gli invasori, è stato da collante per moltissimi cittadini, che hanno iniziato a dare avvio ad un’attività di “non collaborazione civile” animata e sostenuta sia dal re Cristiano X, che già aveva manifestato le sue contrarietà alle scelte naziste, esternando la sua opposizione all’obbligo per gli ebrei di portare la stella di Davide, che dal governo che già nell’ottobre 1942 era riuscito ad evitare l’introduzione delle leggi antiebraiche, minacciando di dimettersi e dichiarando che ogni attacco agli ebrei danesi avrebbe costituito un attacco alla Costituzione che garantiva l’uguaglianza di tutti i cittadini. In un primo tempo la Danimarca era come uno stato “satellite” dei tedeschi, ma nell’agosto del 1943 è cessata la libertà relativa che era stata concessa alle autorità locali con l’introduzione della legge marziale.
Gli invasori, aspiravano ad una parvenza di normalità, ma il governo danese, a seguito della dichiarazione del proprio autoscioglimento, con conseguente legittimazione della resistenza e con lo svuotamento e delegittimazioni delle istituzioni collaborazioniste, ha fatto fallire l’obbiettivo di normalità che si erano prefissati i nazifascisti.
A questo punto il ruolo del popolo coeso e resistente, ha posto in essere la fondamentale risposta non violenta di resistenza attiva civile che consistette in un piano per assicurare una rete di assistenza e copertura per poter nascondere e gestire i ricercati. Il tutto attraverso la raccolta di denaro e l’organizzazione dell’esodo verso la Svezia.
Queste operazioni di salvataggio, oltre che dal popolo sono sostenute da associazioni della società civile nonché da organi amministrativi, come polizia e guardia costiera. Ovviamente in ballo vi era da pagare con la vita e le deportazioni per il proprio impegno profuso in queste attività. Questa resistenza civile attiva, ha portato al salvataggio di oltre il 90% dei 7.695 ebrei danesi.
Questo sentimento di ostilità verso l’invasore, si allargava a macchia d’olio anche negli altri paesi scandinavi. Molti cittadini sostenuti dalla Chiesa, rifiutavano contesti di aggregazione e iscrizione a corporazioni filo naziste. Infatti in Norvegia, al fine di contribuire ad allontanare i giovani dai nazisti, non sono stati organizzati eventi sportivi fino alla fine della guerra.
Analizziamo e approfondiamo questa storia, consideriamo come la Danimarca sarebbe uscita fuori da una guerra, se avesse optato per una scelta all’invasione dei nazisti, di reagire con metodi violenti e sanguinari, rispetto quelli che invece ha posto in essere e cerchiamo di tirare fuori un bilancio in termini di distruzione di infrastrutture, danni ambientali, di vite umane e di sofferenze e di strascichi per gli anni a venire. Alla fine la Danimarca è tornata libera.
Perché Servas aderisce a Eirenefest, qual è l’aspetto che vorreste sottolineare di questo festival?
Credo che la risposta alle guerre è la consapevolezza che si può formare e far crescere un senso etico di resistenza civile che deve essere tirato fuori nei casi di violenza come insegna la resistenza danese di cui ho parlato sopra e della quale fino a non molto tempo addietro non ne sapevo nulla!!!
Per arrivare a ciò si passa attraverso la comunità fatta da tutti noi, gruppi di associazioni, che dobbiamo conoscerci e crescere insieme. Per raggiungere questi obiettivi di conoscenza e crescita insieme abbiamo deciso di aderire all’ EIRENFEST.