Tempi di guerra, tempi in cui la verità è offuscata, o soffocata.
Anche se l’Italia non è direttamente coinvolta nella guerra russo-ucraina, è apertamente schierata con i dettami della NATO che prevedono l’appoggio, con armamenti sempre più offensivi, all’esercito ucraino, in funzione anti-russa. Non sono previsti negoziati.
Conseguentemente la Sardegna diventa il luogo ideale per esercitarsi al possibile coinvolgimento diretto delle forze armate del Patto Atlantico nella guerra. Possiamo prevedere che tale eventualità porterebbe ad una contesa armata globale, in cui sarebbero usate tutte le armi, compresi i missili a testata nucleare.
Il finimondo, ma nel senso letterale del termine. Ovvero addio per sempre ad ogni speranza di futuro, di vita, addio ai figli e ai nipoti, ai bambini che stanno nascendo, alle belle illusioni della vita e a tutta la controversa storia umana sul pianeta Terra. Il rischio di una folle scelta o di un incidente tecnologico sono sempre più alti.
La Sardegna, utilizzata per la preparazione della guerra e della possibile distruzione della vita sul pianeta, si sente coinvolta e reagisce. Un corteo di centinaia di persone che marciano verso l’aeroporto militare di Decimomannu, autorizzate e scortate dalle forze dell’ordine lungo un percorso di più di quattro chilometri. Molti giovani, ma un po’ di tutte le età, tante associazioni della società civile, sindacati di base, movimenti. Per dire no alla guerra, agli armamenti, alle esercitazioni. Prima di arrivare ai muri e ai reticolati di confine della zona militare, senza che ci sia stata alcuna provocazione da parte dei manifestanti, l’imponente schieramento di polizia ha usato gli idranti e i lacrimogeni, per costringere il corteo a disperdersi. Era già successo a Capo Frasca: un uso massiccio di lacrimogeni, con il rischio sulla salute delle persone che manifestano democraticamente.
Stiamo assistendo ad una repressione del dissenso che poco a che a che fare con la democrazia e meno ancora con i diritti umani. E la Sardegna rischia di essere ancora l’isola delle armi e della guerra, non quella del dialogo e della pace nel Mediterraneo, che avremmo sempre voluto.