Da Cutro a Riace, dal Messico alla Grecia, dai campi improvvisati ai centri di permanenza: la storia attuale delle migrazioni è costellata di contraddizioni, inefficienze e ipocrisia. Secondo Anna Polo, attivista e giornalista, il primo passo da fare è recuperare un approccio più umano, che metta al primo posto le persone e non le strategie politiche.

I migranti provenienti dalle varie parti del mondo fuggono da guerre, disastri ambientali, povertà, terrorismo, violenze, massacri, genocidi. Cercano in modo legale e sicuro accoglienza, assistenza e solidarietà nei nostri territori, ma il cosiddetto Occidente civilizzato e progressista risponde con una politica feroce di respingimenti e con l’aumento delle guerre e delle spese militari, alimentando il rischio di una terza guerra mondiale e di un’apocalisse nucleare. 

Ne parliamo con Anna Polo, giornalista dell’agenzia stampa internazionale Pressenza, che si occupa di migranti non solo attraverso la pubblicazione di approfondimenti, interviste e comunicati delle Ong del soccorso in mare, ma anche attivandosi in prima persona e organizzando insieme ad altre associazioni campagne ed eventi sulla criminalizzazione della solidarietà e su casi clamorosi come quello di Riace e quello più recente di Cutro.

Da dove si può partire a tuo parere per parlare di un fenomeno ampio e complesso come quello delle migrazioni?

Come hai già detto tu, chi tenta di arrivare in Europa – e anche negli Stati Uniti, cercando di superare la frontiera messicana – fugge da situazioni atroci, che noi occidentali nemmeno ci immaginiamo, o più semplicemente vuole migliorare la sua vita e fare nuove esperienze. E qui veniamo a una domanda cruciale: perché un giovane europeo può muoversi liberamente, cercare possibilità di studio e di lavoro in altri Paesi, e un suo coetaneo africano o asiatico no?

Avere il passaporto sbagliato pregiudica tutta la vita e costituisce una discriminazione inaccettabile. Riflettere su questa disparità può aiutarci ad affrontare il tema delle migrazioni da un punto di vista umano, mettendosi nei panni di chi non ha le nostre stesse possibilità e magari impegnandosi, come nel mio caso, per riparare questa ingiustizia.

Che conseguenze ha la politica di “protezione delle frontiere” perseguita dall’Unione Europea?

Conseguenze tragiche: dal 2014 a oggi tra morti annegati e dispersi nel Mediterraneo centrale si arriva a oltre 25.000 persone. Solo nell’anno 2022 30.000 uomini, donne e bambini sono stati riportati – da motovedette finanziate dall’Italia in base a un infame accordo con la Libia – nell’inferno da cui avevano cercato di fuggire. Migliaia di persone vengono respinte con violenza al confine tra Polonia e Bielorussia e lo stesso succede con la rotta balcanica che arriva a Trieste e a chi cerca di attraversare il confine tra Italia e Francia. Respingimenti illegali avvengono anche in Grecia e tutto questo in aperta violazione del diritto e delle convenzioni internazionali.

Chi riesce ad arrivare in Europa viene confinato in campi simili a prigioni, come nell’isola greca di Samos, dove deve attendere per mesi e anni che la sua richiesta di asilo venga esaminata ed è costretto ad arrangiarsi in accampamenti come la “giungla” di Calais, continuamente sgomberati dalla polizia, o pur non avendo commesso alcun reato finisce in luoghi orribili come i Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) italiani, dove ogni diritto umano viene impunemente violato.

Isola di Samos. Accampamento di migranti. Foto di Gemma Bird

Isola di Samos. Centro per migranti. Foto di Medici senza Frontiere

Accampamento di migranti sgomberato a Calais. Foto di Giacomo Longo. 

L’attualità è una conferma di questo scenario drammatico?

La recente strage di Cutro è un esempio straziante di questa politica: il Governo italiano ha lasciato annegare gente che poteva essere salvata e ora cerca di eludere le proprie responsabilità dichiarando guerra con toni roboanti ai trafficanti del mare e agli scafisti. Viene però ignorato un punto fondamentale: gli scafisti sono spesso giovani migranti costretti a guidare i barchini, l’ultimo anello di una rete molto più ampia, i cui vertici restano nell’ombra.

Questi vertici, i veri trafficanti di esseri umani, sono certamente dei criminali, ma non potrebbero chiedere somme esorbitanti a persone disperate, costringendole a viaggi pericolosi e spesso letali, se ci fossero canali legali e sicuri di ingresso in Europa. Dunque i veri responsabili di queste tragedie sono le autorità europee e quelle nazionali.

Fiori sulla spiaggia di Cutro. Foto di Rete 26 febbraio

E invece chi supplisce ai vuoti lasciati dalle istituzioni viene criminalizzato…

Esatto. Da anni le Ong del soccorso in mare vengono perseguitate con campagne mediatiche basate su calunnie e fake news, processi e provvedimenti come sanzioni e fermi amministrativi. Il vero scopo è svuotare il Mediterraneo di testimoni scomodi e la conseguenza è l’aumento delle morti in mare. Anche difensori di diritti umani e avvocati vengono presi di mira, calunniati e sottoposti a processi basati su accuse assurde, con lo scopo evidente di scoraggiare le loro attività.

Foto di Sea Watch

Qualcosa però si sta facendo per reagire a questo orrore…

Sì, fortunatamente esiste una società civile generosa e solidale – lo abbiamo visto nella manifestazione di sabato 11 marzo a Cutro – che organizza eventi di denuncia e sensibilizzazione per sostenere chi fa vera accoglienza, come Mimmo Lucano a Riace e chi, come le Ong del soccorso in mare, salva vite umane nel Mediterraneo. Un esempio è la campagna “La bandiera ONU per le navi umanitarie”, che come Pressenza stiamo lanciando insieme al Festival del Cinema dei Diritti Umani di NapoliRESQ People Saving PeopleUnimondoASGIPax Christi e Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo.

La campagna si articola in una petizione su change.org e due richieste alle autorità competenti dell’ONU: dotare le navi delle Ong della bandiera dell’ONU in modo da tutelare l’operato di chi dà concreta attuazione al dovere di soccorso in mare previsto dalle norme internazionali e cancellare la cosiddetta zona Sar libica, perché la Libia non garantisce alcun porto sicuro, né il rispetto dei diritti umani.

Vorrei concludere con una citazione del poeta tedesco Friedrich Hölderlin, che a mio parere esprime in forma ispirata e sintetica tutto quello di cui abbiamo parlato finora: “Lì dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”.

 

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