Sono passati trent’anni esatti dal giorni in cui, alla piccola stazione di Štrpci, presso Višegrad, i paramilitari serbo-bosniaci rapiscono e poi fucilano 20 passeggeri del treno Belgrado-Bar. Nei mesi scorsi, la Corte della Bosnia Erzegovina ha condannato a 15 e 13 anni il capitano e otto ex soldati dell’esercito della Republika Srpska, responsabili diretti di tale crimine di guerra. Altri quattro soldati sono stati condannati a febbraio in Serbia a pene dai 5 ai 10 anni.
Il massacro di Štrpci, così come il massacro di Sjeverin dell’ottobre 1992, fu parte di una campagna di pulizia etnica condotta contro i bosgnacchi nell’area del Sangiaccato in Serbia, organizzata e condotta sotto la copertura della guerra in Bosnia.
Il massacro
Il 27 febbraio 1993, il treno che dalla capitale Belgrado porta a Bar, sulla costa montenegrina, viene fatto fermare alla stazione di Štrpci, nel breve tratto (9 km) in cui la ferrovia attraversa territorio bosniaco presso Višegrad. La milizia paramilitare serba dei Vendicatori (Osvetnici), comandata da Milan Lukić, fa scendere dal treno 20 civili: il controllore, passeggeri musulmani e croati, oltre a una persona di origine araba.
Le vittime sono trasportate via camion al comando del Primo Battaglione della Seconda Brigata “Podrinje” dell’Esercito della Republika Srpska (VRS), presso la scuola di Prelovo. Nella palestra, gli viene intimato di spogliarsi; i miliziani quindi li pestano a sangue e legano loro le mani col fil di ferro. Nudi e sanguinanti, vengono trasportati presso una casa distrutta a Mušići, vicino al fiume, dove vengono fucilati. I loro corpi, gettati nella Drina, non saranno mai più ritrovati. Solo i resti di quattro vittime vengono in seguito recuperati dal lago Perućac.
Le vittime e i testimoni
Un testimone, Hadija Mujević, era sul treno e ha visto i soldati entrare a Štrpci e controllare l’identità dei passeggeri maschi. “Li ho visti portare via le persone e caricarle su un camion. Ho visto un uomo in uniforme postale o forse ferroviaria barcollare e soldati che lo colpivano con il calcio dei fucili e lo scortavano al camion”, ha detto Mujević. Altri passeggeri le hanno detto che i bognacchi venivano fatti scendere dal treno. “Alcuni hanno urlato: ‘Lascia in pace quegli uomini‘, mentre altri dicevano: ‘Prendi i balija‘ [termine dispregiativo per i musulmani bosniaci, ndr]“, ha affermato Mujević durante il processo.
Djordje Vujović ha saputo del rapimento da un amico. Suo nipote minorenne, Senad Đečević, era tra i passeggeri. Si è recato subito a Visegrad, dove ha organizzato un incontro con Milan Lukić, poiché sospettava fosse coinvolto nell’azione. “Ho parlato con Milan Lukić. Il loro quartier generale era in un ex caffè vicino al ponte… Ha negato di averci avuto a che fare, dicendo che era opera dei Garavi Sokak [un’altra unità paramilitare]”, ha ricordato Vujović.
Nel dicembre 2014, Koviljka Buzov ha dichiarato alla procura serba per crimini di guerra che suo marito Tomo Buzov, ex ufficiale dell’esercito jugoslavo, si stava recando a Podgorica per visitare il figlio, che prestava servizio nell’esercito. L’ha informata che il treno era in ritardo; solo più tardi suo figlio le disse che Tomo non era mai arrivato. Koviljka venne a sapere del rapimento a Štrpci dal telegiornale, il giorno dopo.
Sempre nel 2014, Misin Rastoder ha testimoniato che suo padre Jusuf Rastoder era in viaggio dal suo posto di lavoro a Belgrado a Bijelo Polje per il suo congedo. Misin non sapeva che suo padre era sul treno, quando ha sentito del rapimento. Successivamente ha ricevuto lo stipendio di suo padre da un collega. Il corpo di suo padre Jusuf è stato recuperato dal lago Perućac.
Il processo in Montenegro
Il soldato Nebojša Ranisavljević, di Despotovac, arrestato nell’ottobre 1996, è subito condannato a 15 anni di carcere nel settembre 2002 dalla corte di Bijelo Polje, verdetto confermato dalla Corte Suprema del Montenegro nell’aprile 2004. Ma secondo Amnesty International, Ranisavljević è stato soltanto un capro espiatorio, fors’anche lui stesso torturato durante la detenzione per costringerlo a rilasciare dichiarazioni incriminanti.
Durante il processo Ranisavljević, il comandante della Seconda Brigata “Podrinje” della VRS, Luka Dragićević ammette che l’unità dei Vendicatori faceva parte della VRS. Dragićević stesso dopo il conflitto era stato trasferito a una posizione nell’esercito jugoslavo. Risulta inoltre agli atti che altri funzionari serbi e jugoslavi fossero stati allertati del piano dei Vendicatori, ma che non abbiano agito per prevenirlo. Polizia e ufficiali giudiziari avrebbero inoltre ostacolato i procedimenti giudiziari contro Milan Lukić.
Lukić condannato all’ergastolo all’Aja
Nel luglio 2009, Milan Lukić è condannato all’ergastolo dal tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità compiuti nei dintorni di Višegrad. Per la strage di Sjeverin, Lukić riceve altri 20 anni di carcere, assieme a Dragutin Dragićević e Oliver Krsmanović. Milan Lukić non è mai stato processato per la strage di Strpci, anche se è stato incriminato per tale crimine dalla procura bosniaca nel 2019.
Il processo in Bosnia Erzegovina
Nell’ottobre 2022, sette ex soldati della Seconda Brigata “Podrinje” della VRS sono stati giudicati colpevoli del massacro, in primo grado, dal tribunale della Bosnia ed Erzegovina dopo un processo di alto profilo durato sette anni. Obrad e Novak Poluga, Petko Inđić, Radojica Ristić, Dragan Šekarić, Oliver Kršmanović e Miodrag Mitrašinović sono stati condannati a 13 anni ciascuno come coautori del massacro. L’ottavo, Mico Jovičić ha ammesso la sua colpevolezza ed ha patteggiato 5 anni di reclusione. Il nono, Vuk Ratković è morto prima della sentenza.
Il giorno prima della sentenza di primo grado, Obrad e Novak Poluga, Radojica Ristić e Petko Inđić sono stati arrestati a Višegrad per timore che potessero attraversare il fiume Drina e passare alla latitanza in Serbia, come altri criminali di guerra prima di loro. E come ha fatto un altro degli imputati, Miodrag Mitrašinović, che ha fatto perdere le proprie tracce dall’ospedale di Foča.
Il loro capitano, Boban Inđić, è stato condannato a 15 anni dallo stesso tribunale il 19 gennaio 2023. Il comandante della Seconda Brigata “Podrinje”, Luka Dragićević, viene invece assolto dall’accusa di aver ordinato il sequestro e l’uccisione. L’indagine è stata condotta congiuntamente dai procuratori statali serbo e bosniaco sulla base del protocollo di cooperazione del 2013. Indjić ha annunciato che farà appello, così ha già fatto appello la procura contro l’assoluzione del comandante Dragićević.
Dalle sentenze traspare anche la responsabilità diretta di Milan Lukić. Nella sentenza dell’ottobre 2022, la giudice-capo Vesna Jesenkovic ha affermato che Lukić ha partecipato all’uccisione di 18 delle vittime, mentre le ultime due sono state uccise mentre cercavano di fuggire – una di loro da Nebojša Ranisavljević, già condannato a 15 anni da un tribunale montenegrino, e l’altro da un soldato ignoto.
Il processo in Serbia
Dal 2019 è in corso un processo in Serbia contro altri cinque paramilitari serbo-bosniaci per il massacro di Štrpci. Il procedimento è stato afflitto da ritardi, con un imputato che è morto e un altro la cui salute è troppo compromessa per poter sostenere il processo. Nonostante il tentativo della difesa di discreditare le capacità mentali dei testimoni e di scaricare ogni responsabilità solo su Milan Lukić, la corte ha infine riconosciuto colpevoli gli imputati.
Il 7 febbraio, l’Alta Corte di Belgrado ha condannato Gojko Lukić (fratello di Milan), Duško Vasiljević e ba 10 anni di carcere ciascuno, e Dragana Djekić – l’infermiera di campo dei Vendicatori, minorenne al tempo dei fatti – a 5 anni. Un altro imputato, Ljubisa Vasiljević (fratello di Duško), è morto nel luglio 2021. Il testimone-chiave Mitrasin Glisic era aiuto cuoco presso la scuola di Prelovo dove i passeggeri catturati venivano trattenuti prima di essere uccisi, e ha riconosciuto gli imputati, affermando di averli visti partecipare al pestaggio delle vittime.
Marina Kljajic, avvocata delle famiglie delle vittime, si è detta sorpresa e delusa. “Ci aspettavamo una condanna, ma questo livello di pena è vergognoso per lo stato e per la magistratura serba”. L’accusa ha annunciato che ricorrerà in appello.
Anche la ONG Humanitarian Law Centre di Belgrado, che monitora i processi per crimini di guerra, ha criticato la sentenza, considerata troppo indulgente, “in particolare considerando che tutti i passeggeri rapiti erano civili, e cittadini jugoslavi che sono stati rapiti perché bosgnacchi, quindi torturati, e uccisi con le mani legate dietro la schiena”. Il tribunale di Belgrado ha così segnalato ai familiari delle vittime che, nonostante 30 anni di attesa per la giustizia, il loro dolore non ha avuto importanza, ha concluso la ONG.