A cosa serve la bellezza? Intendo quella sensibile che emana da ciò che ci circonda: la natura, l’arte, la letteratura… le persone. Educarci al bello è un antidoto per sconfiggere il brutto che cerca di prendere il sopravvento. Se educarci al bello può apparire facile, è sufficiente passeggiare per una nostra città o camminare sulla spiaggia al tramonto, per fare due esempi comuni, far nascere la bellezza ha per me un altro significato e non è poi così scontato.
La bellezza è soggettiva, ognuno di noi ne percepisce una forma anche grazie a come siamo stati educati al bello, a coglierlo per poi riconoscerlo. Platone ci ha insegnato che la bellezza estetica è il gradino più basso, per il filosofo greco la bellezza sensibile è però parte indispensabile di un percorso per giungere alla Bellezza per definizione; la bellezza alta che lui fa coincidere con l’idea del Vero e del Bene. Per dirla con un linguaggio contemporaneo e soprattutto pratico, stiamo parlando della bellezza delle idee che la nostra mente crea, diffonde e applica alla vita quotidiana.
Ma come si formano le idee? Con la cultura, la preparazione, l’educazione alla convivenza… tutte realtà che sembrano sempre più rare e lontane dal nostro vivere insieme nel mondo. Siamo in decadenza, si sentenzia ovunque, ma cosa si fa per invertire la rotta? Poco, a partire dal linguaggio e a come lo si lascia sgorgare dalle labbra, ci siamo dimenticati del suo valore intimo, formativo della mente umana, mentre il piacere della garbata conversazione si è dissolto nel nulla o quasi. È inaccettabile la violenza con cui ogni giorno e a tutti i livelli ci si esprime al solo fine di imporsi sull’Altro per dimostrare che si è i migliori.
La mia proposta concreta è la nonviolenza applicata a partire dalle parole, sappiamo quanto la parola sia un farmakon, ce lo ha detto il filosofo Gorgia cinque secoli prima di Cristo, essa sa essere una medicina efficace ma a dosi errate può diventare un veleno mortale. E allora ripartiamo dalle nostre parole quotidiane. Ad esempio piuttosto di riferirci a qualcuno che sbaglia dicendo “Sei una bestia” che apparentemente può apparire un’espressione solo offensiva invece è violenta perché se ripetuta va ad intaccare la buona considerazione di sé, è un modo per sminuire la persona, per dirle che ha molto da lavorare per diventare umana. Personalmente non ne sarei scalfita per la grande considerazione che ho degli animali, ma detta con un tono duro e accusatorio l’espressione diventa inevitabilmente violenta.
Proviamo semplicemente a far notare che il lavoro svolto non è preciso e andrebbe corretto. Bastano piccoli gesti per risalire la china e direi che sarebbe ora di ricominciare: ognuno di noi può realizzare il miracolo, che è un piccolo evento come dice la parola stessa, per disintossicarsi dal brutto che cerca di imporsi. Liberiamoci dalla sua trappola! La nonviolenza è bella anche nell’uso del linguaggio parlato, non si avvale di parole violente ma belle nel significato più intimo del termine. Un discorso armonico, forbito e attento alle sensibilità di tutti è nonviolento.
Aristotele considera l’arte come mimesis, ma non come Platone che la vede la copia di una copia e quindi svalutandola, bensì come capacità di cogliere nella natura potenzialità nuove che altrimenti non apparirebbero. Credo di non essere troppo fantasiosa dicendo che questa visione della mimesis denota la capacità dell’artista di mettere al mondo, di produrre il nuovo, così accade anche nella poesia, nella musica, nella danza, nella pittura e nella scultura. Produrre il nuovo è mettere al mondo il bello che è libertà, è liberazione, in questo senso il bello è una cura.
Con il termine bello non intendiamo la perfezione dei canoni estetici, ma il bello che piace in quanto si giudica a seconda del gusto e per questo fa stare bene. Il bello è una cura se l’opera che creiamo, e tutti possiamo essere creatori, diventa testimone di una ricerca, di una volontà di impegno, perché solo l’impegno quotidiano della ricerca del bello in ogni sua forma ci tiene lontano dal degrado culturale che si accoppia facilmente con la violenza, la sopraffazione, anche nella comunicazione… il bello è una cura nel suo essere strumento della nonviolenza.