Da quasi un anno Oihana Goiriena lotta contro il muro di gomma della giustizia polacca, affinché vengano rispettati i diritti minimi di suo marito, Pablo Gonzalez, detenuto dal 28 febbraio, in regime di carcere duro, senza processo. Gonzalez è un giornalista indipendente spagnolo di origine russe, nipote di uno dei niños de la guerra, i figli dei repubblicani evacuati in URSS durante la guerra civile spagnola. Ha lavorato come reporter di guerra, anche in Donbass, per testate ascrivibili alla galassia di sinistra. A fine gennaio ha presentato una denuncia all’Ombudusman polacco per condizioni disumane e umilianti di carcerazione. Di seguito un estratto della lunga videointervista rilasciata in esclusiva dalla Goiriena, parlando per la prima volta con un media italiano.
Come sta Pablo?
Da quando ha presentato la denuncia all’Ombudsman polacco sappiamo che è arrivato l’interesse del difensore civico spagnolo. Però non sappiamo nulla sulle sue condizioni fisiche. Non abbiamo nessuna novità al momento. Quello che sappiamo è che più o meno dall’inizio di gennaio, quindi da poco, ha i riscaldamenti in cella. Questo è l’unico miglioramento in tutto questo periodo.
In questo anno di carcere duro, quante volte hai potuto vedere tuo marito, parlargli, fargli incontrare i figli o il suo avvocato di fiducia?
Durante quest’anno, che sta per concludersi, l’ho visto solo una volta. Ci hanno dato solo una visita di due ore, che è avvenuta il 21 novembre. Non è stata concessa nessuna telefonata con i figli, nemmeno una. In quasi un anno non ha potuto incontrare il suo avvocato di fiducia Gonzalo Boyé.
Quanto tempo è durata l’incomunicabilità fra di voi?
Sono rimasta senza avere nessuna notizia in assoluto fino al 7 marzo, quando lo ha visitato il console la prima volta e quindi, attraverso il console, abbiamo saputo come stava. Io però non ho parlato direttamente con lui fino al 21 novembre, quasi 9 mesi.
Sei riuscita a comunicare in altri modi con lui?
Noi comunichiamo tramite posta, però le lettere arrivano con due mesi di ritardo. Io gli scrivo oggi, lui leggerà tra due mesi e le sue risposte mi arriveranno tra altri due mesi, perché aprono la corrispondenza, la traducono e la sottopongono a censura. Le lettere mi arrivano con il timbro della censura. Questo è l’unica comunicazione diretta che abbiamo.
Ha un avvocato?
Ha trascorso le prime 48 ore in isolamento totale. Non sapevamo nemmeno dove fosse. Dopo circa due settimane gli è stata assegnata un’avvocata d’ufficio, ma crediamo non l’abbia neanche vista. Nel giro di due settimane si è dimessa dal caso. Poi gli è stata data un’altra avvocata che si è dimessa immediatamente. Dall’inizio di aprile ha un avvocato polacco e dalla metà di ottobre ha un’equipe di diversi avvocati più specializzati in casi di spionaggio e di terrorismo, che è l’ambito del suo caso.
Per quanto tempo è rimasto senza un avvocato stabile?
Un mese. Sappiamo che ha testimoniato e che è stato interrogato dai servizi segreti polacchi senza avvocato.
Ha subito maltrattamenti?
No, non fisicamente, salvo la scarsità di cibo e il freddo. I maltrattamenti sono stati principalmente psicologici, per via dell’isolamento e della mancanza di comunicazione con l’esterno, per la solitudine. Questo è il maltrattamento a cui è sottoposto e che gli sta facendo molto male.
In una recente dichiarazione il Ministro degli Esteri Albarez ha detto che contro Pablo pendono accuse gravissime: vi sono state fornire delle prove di queste accuse?
Non lo sappiamo, perché non ci è stato riferito nulla. Solo all’inizio il Ministro degli Esteri polacco ha detto che al momento dell’arresto aveva con sé due passaporti con identità diverse, che riceveva denaro dalla Russia e che si avvaleva del suo status di giornalista per viaggiare per tutto il mondo, specialmente zone di conflitto.
Abbiamo già chiarito la questione dei passaporti. E’ il nipote di un esiliato della Guerra Civile Spagnola in URSS. E’ nato lì ed ha il passaporto russo dalla nascita. Quando è venuto in Spagna dopo il divorzio dei genitori ha preso un passaporto spagnolo con il nome spagnolo.
L’identità però è la stessa e questo è stato chiarito. Abbiamo chiarito anche la questione della somma che riceve dalla Russia. E’ il modo in cui suo padre aiuta i nipoti, perché li vede molto poco.
In merito all’avvantaggiarsi del suo status di giornalista per viaggiare nelle zone di guerra, pensiamo che questo debba essere un principio fondamentale del lavoro giornalistico, quello di farsi avanti lì dove sta succedendo qualcosa ed informare dal luogo. Dopo che abbiamo chiarito la questione dei passaporti e del denaro non ho avuto più notizie dalla Polonia.
Il Ministro degli Esteri e il console però dicono che i tempi sono regolari e tutto è dentro la legge. Ritieni soddisfacente i risultati della diplomazia spagnola?
No, non sono per nulla d’accordo, per nulla soddisfatta di queste dichiarazioni, perché io credo che il governo spagnolo abbia perso neutralità e si stia allineando con il governo polacco. Mi sembra molto grave che l’autoproclamato governo più progressista della storia di Spagna stia appoggiando il governo più ultra destra d’Europa.
Cosa pensava Pablo della guerra?
Prima dell’invasione russa dell’Ucraina gli ho chiesto se pensava che la guerra sarebbe scoppiata. Mi aveva risposto di no perché “la guerra non conviene a nessuno”. In Ucraina chiedeva alla gente di strada cosa pensasse di ciò che stava accadendo. Mi diceva: “Mi preoccupa molto che gli ucraini si sentano ignorati. Vogliono che si chieda a loro, che le decisioni si prendano in Ucraina, non nel resto d’Europa”. Riportava queste cose e non era, come invece è stato affermato, molto pro-Putin. Era sì filorusso, nel senso che sente delle affinità con il Paese in cui è nato ed è molto orgoglioso dell’eredità culturale russa, però è una cosa diversa dall’essere a favore delle politiche di Putin. E non lo era. Diceva che era un capitalista.
Il prossimo 28 febbraio sarà un anno che Pablo è in carcere senza processo. Perché credi che la giustizia polacca si sia tanto accanita su di lui?
Io credo che si siano messe tutte queste cose assieme. Un giornalista di qui l’ha definita una tempesta perfetta, che ha travolto Pablo. Da un lato il fatto di essere russo e in Polonia, oltre alla russofobia, sono molto paranoici con la questione delle spie. Dall’altro lato perché è un giornalista indipendente e perché ha lavorato principalmente per media di sinistra. Un giornalista scomodo, perché aveva una formazione sufficiente e offriva un’informazione sufficiente per dare una versione che non è del tutto in linea con la narrazione ufficiale e unica che impera proprio adesso in Europa. E con questo non dico che desse una lettura pro-russa o anti-ucraina, ma che usciva minimamente fuori dalla narrazione ufficiale. E per questo credo che abbia anche influito il fatto di essere un giornalista scomodo.
La Polonia è un paese di estrema destra e Pablo lavorava per giornali di sinistra. Pensi che questo possa aver contribuito al suo arresto?
Non so se questo è stato il motivo, io credo di no, però penso che abbia influito o almeno non lo ha per nulla favorito.
Se per finire in carcere duro preventivo basta un doppio passaporto o aver fatto il reporter di guerra in Donbass o lavorare per testate ascrivibili all’area di sinistra, quello che è accaduto a Pablo potrebbe accadere a chiunque?
Sì, questo è sicuro. Penso che sia un “avviso ai naviganti”, un avvertimento al resto della stampa e ai giornalisti indipendenti che pretendono di essere rigorosi o di poter dare un’informazione che non sia interamente concorde con quella ufficiale.
Quello che vogliono farci capire è che bisogna stare attenti a ciò che si dice, bisogna stare attenti alla provenienza dell’informazione e che se non ti conformi a ciò che viene imposto dall’alto la puoi pagare cara. Io credo che questo sia un avvertimento e che lui sia un danno collaterale.