In occasione della giornata del Ricordo 10 febbraio 2023, intervistiamo il Prof. Giorgio Giannini, tra le altre cose presidente dell’associazione pacifista e nonviolenta Centro Studi Difesa Civile, sul suo libro “La Tragedia del Confine Orientale. L’italianizzazione degli Slavi, le foibe, l’esodo giuliano dalmata”, Edizioni LuoghInteriori, Città di Castello (PG) 2019.
Da dove nasce questo libro?
Il libro nasce dal mio desiderio di scrivere un testo che spiegasse, soprattutto ai giovani (sono un docente in pensione), in modo chiaro e semplice la ricorrenza del Giorno del Ricordo (che ricorre il 10 febbraio), istituito con la Legge 92 del 30 marzo 2004, che vuole ricordare solo le foibe del 1943 e del 1945 e l’esodo dei giuliano-dalmati nel dopoguerra, dopo la firma del Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947.
In precedenza avevo scritto due libri sul Giorno della Memoria (che ricorre il 27 gennaio), istituito con la Legge 211 del 20 luglio 2000. Il primo, intitolato Il Giorno della Memoria (Edizioni Associate, Roma 2005), incentrato soprattutto sulla Shoah (lo sterminio di 6 milioni di ebrei da parte dei nazisti). Il secondo libro, intitolato Vittime dimenticate (Edizioni Stampa Alternativa, Viterbo 2011), incentrato sulle “Vittime dimenticate” della barbarie nazista (disabili, omosessuali, Rom e Testimoni di Geova).
Nello scrivere il libro sul Giorno del Ricordo ho ritenuto opportuno raccontare non solo quello che è accaduto con le foibe nel 1943 e nel 1945 e con l’esodo del dopoguerra, ma anche “quello che era accaduto prima”, per far capire ai lettori le cause delle foibe e dell’esodo, senza sminuire però la drammaticità di quanto accaduto. Pertanto, per scrivere il libro mi sono basato sulla Relazione della Commissione mista di storici italiani e sloveni, che ha lavorato dal 1993 al 2000 e che ha analizzato la situazione politica del “Confine Orientale” a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quando all’interno dell’Impero austriaco si sono diffusi i “nazionalismi”, che miravano a costituire entità nazionali, poi create dopo la fine della Grade Guerra. In particolare, c’era il nazionalismo italiano, che mirava a riunificare Trieste e la Dalmazia all’Italia, ed il nazionalismo slavo, che viceversa mirava a costituire uno Stato nazionale slavo. Naturalmente, con i nazionalismi sono sorti e si sono sviluppati anche gli opposti “estremismi”, che miravano a distruggersi tra di loro.
Nel libro racconti come le foibe siano state scatenate anche dalla politica di “assimilazione” e di “italianizzazione” condotta da parte del regime fascista. Puoi spiegarci brevemente quanto accaduto?
Le foibe, secondo la Commissione mista degli storici italiani e sloveni, sono in parte una conseguenza non tanto della politica di “assimilazione”, attuata dal Regno d’Italia dal 1922, subito dopo la fine della Grande Guerra e l’annessione di quei territori, nei quali vivevano circa 500.000 sloveni (un quarto del totale), che dovevano essere “assimilati”, cioè “integrati” con gli italiani, ma soprattutto della politica di “italianizzazione forzata”, attuata subito dal regime fascista, che mirava a distruggere la cultura slava, con il divieto di studiare, ed anche di parlare, la lingua slovena e croata, introdotto dalla Legge Gentile nel 1923. Inoltre sono italianizzati i cognomi ed anche i toponomi (i nomi delle località) e sono sciolte le Associazioni slovene e croate, non solo quelle a carattere politico, ma anche quelle culturali, economiche e perfino quelle sportive. La stessa politica di “italianizzazione” forzata è stata attuata anche in Alto Adige, il cui nome in origine era Sud Tirolo.
Quali sono le principali differenze tra le prime foibe e le seconde?
Le prime foibe ci sono state, soprattutto in Istria, subito dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, quando è sparita l’Amministrazione civile e militare italiana, e sono durate un paio di settimane, fino all’inizio dell’occupazione da parte dei tedeschi. Sono state una “resa dei conti”, attuata dai partigiani sloveni ai danni degli italiani che consideravano fascisti, e quindi indirettamente responsabili della politica di ”italianizzazione forzata” e dei crimi di guerra commessi dalle nostre truppe a partire dall’aprile 1941, durante l’occupazione militare.
Le seconde foibe, invece, ci sono state durante l’occupazione militare delle truppe jugoslave, guidate da Tito (per queste sono chiamate anche “titine”), che sono arrivate a Trieste il 1 maggio 1945, precedendo di un giorno quelle inglesi, e ci sono rimaste fino al 12 giugno. Nelle altre zone dell’Istria e della Dalmazia sono naturalmente proseguite anche dopo. In questo periodo sono state eliminati non solo gli slavi “collaborazionisti”, ma anche gli italiani che svolgevano un “lavoro pubblico” (ad esempio i dipendenti delle Poste ed il personale delle Scuole…) perché per poter essere un “dipendente pubblico” bisognava essere iscritti al Partito Nazionale fascista. Pertanto, ogni impiegato pubblico era considerato un fascista, in modo molto semplicistico. Inoltre sono state eliminati tutti coloro, anche comunisti e componenti del Comitato di Liberazione locale, che si opponevano al Progetto titino di annessione alla Jugoslavia della Venezia Giulia e dell’Istria (comprese le città di Trieste e Gorizia, fino a Monfalcone).
Quali sono stati i maggiori crimini italiani e perché non sono stati puniti?
Durante la guerra contro la Jugoslavia (iniziata nell’aprile 1941) le nostre truppe hanno distrutto almeno 250 paesi e villaggi (solo in Slovenia) e la popolazione, circa 100.00 persone, formata da vecchi, donne e ragazzi (perché gli uomini in età di leva erano “alla macchia” per evitare di essere catturati) è stata deportata nei Campi di concentramento, allestiti anche in Italia (tristemente famosi quelli di Gonars, in Provincia di Udine, e di Anghiari, in Provincia di Arezzo), nei quali le condizioni di vita erano molto dure e le condizioni igienico-sanitarie pessime, quindi con un’alta mortalità, soprattutto nell’isola dalmata di Arbe. I nostri Comandanti militari non sono stati mai processati e condannati dalla Jugoslavia che ne aveva chiesto l’estradizione, con il seguente escamotage: il nostro Governo nel dopoguerra ha rinunciato a chiedere l’estradizione dei Comandanti tedeschi, responsabili delle centinaia di stragi compiute ai danni di migliaia di civili, perchè in questo modo non avrebbe concesso l’estradizione dei nostri Comandanti militari considerati “criminali di guerra” dalla Jugoslavia.
La Giornata del ricordo è stata istituita, giustamente, per ricordare le vittime delle foibe, tuttavia spesso viene strumentalizzata perché da una parte gli esponenti di estrema Destra paragonano questa tragedia al genocidio della Shoah sminuendo quest’ultimo, mentre dall’altra esponenti di estrema Sinistra spiegano che questa giornata non doveva essere istituita poiché è solo un favore fatto ai nostalgici del fascismo. Come evitare quindi le strumentalizzazioni al fine di ricordare le vittime senza politicizzare questa giornata?
Innanzitutto devo precisare che non si può paragonare la tragedia delle foibe alla Shoah non solo perchè i numeri delle vittime sono completamente diversi (poche migliaia di infoibati in confronto allo sterminio di 6 milioni di ebrei), ma anche perché le motivazioni sono state profondamente diverse. Infatti, con la “soluzione finale del problema ebraico” i nazisti volevano distruggere il popolo ebraico. Infine, come ho spiegato all’inizio, la Legge 92 del 2004, così’ come è formulata, riferendosi solo alle foibe ed all’esodo, non racconta tutta la tragedia del Confine Orientale (dalla “italianizzazione forzata” della popolazione slava, della quale si voleva distruggere la lingua e la cultura, ai crimini di guerra commessi dalle nostre truppe nel periodo 1941-1945), ma racconta solo una parte della storia (quella che faceva comodo raccontare alla Destra che l’ha approvata) e quindi si presta, naturalmente, a strumentalizzazioni politiche. Pertanto è opportuno integrare la Legge 92, raccontando tutta la storia del Confine Orientale, almeno a partire dal 1919.