Si è conclusa il 30 gennaio nella città di Shrinagar, capitale dello Stato del Kashmir, la lunga marcia che Rahul Gandhi aveva iniziato quasi 5 mesi fa, il 7 settembre scorso, con lo slogan Bharat Jodo Yatra, che letteralmente significa “Marcia (Yatra) per l’Unità (Jodo) dell’India (nominata nel modo tradizionale come Bharat)”.
Un epico, incredibile, lunghissimo pellegrinaggio di riunificazione di tutta l’India, dall’estrema punta-sud del subcontinente a Kanyakumari, fino a quei territori dilaniati dalla più feroce repressione in Kashmir, dopo aver attraversato da nord a sud 12 Stati della Confederazione Indiana. Ma già si parla di una seconda Yatra che dovrebbe toccare da ovest ad est i non pochi Stati che sono rimasti ‘fuori’, a cominciare dal Gujarath da sempre feudo di Narendra Modi, passando per il popoloso (e fanaticamente pro-Modi) Bihar, e poi gli Stati a prevalenza tribale del Jharkhand, Orissa, Chattisgarh, per attraversare poi il Bengala occidentale e poi l’Assam, il Nagaland… Un bel po’ di India in affanno è rimasta fuori da questa Bharat Jodo Yatra e non mancherà di rispondere all’appello alla prossima occasione.
Un’anziana coppia di ex freedom fighters
Ma per restare a questa prima ‘prova’: nell’arco di quasi cinque mesi sono stati percorsi oltre 4.000 km alla media di 20/30 km al giorno a seconda dei percorsi e delle condizioni meteo. Inizialmente hanno visto in marcia non più di un centinaio di persone, ovvero i più stretti collaboratori di Rahul Gandhi all’interno del Partito del Congresso, e via via hanno conquistato il favore di un crescente numero di persone, di ogni credo, sesso, orientamento religioso, casta, estrazione sociale, per non dire età: non pochi gli ultra ottuagenari che si sono aggregati, memori di quelle gloriose marce dei loro anni migliori, quando si trattava di conquistare l’indipendenza dalla corona britannica, e che in questa occasione hanno potuto rinnovare la speranza in un’India di nuovo unita e anzi finalmente “Patria” delle diversità, come era stato il sogno del Mahatma Gandhi e come era stato il progetto del Partito del Congresso alla guida del Freedom Movement e nei decenni immediatamente successivi la conquistata indipendenza.
Una marcia insomma che giorno dopo giorno, città dopo città, benché inizialmente snobbata dai canali mainstream, ma puntualmente documentata e molto condivisa sui social, ha pian piano conquistato quella parte dell’India che non si è mai arresa al maggioritarismo su cui fa leva il regime di Narendra Modi e ha ritrovato nella semplice determinazione di Rahul Gandhi, e di quanti marciavano con lui, una rinnovata possibilità di credere in una via d’uscita da quel clima di polarizzazione e vera e propria “fabbrica dell’odio” che è stata la cifra del Governo Modi in tutti questi anni.
Perché sarà pur vero che il Partito del Congresso ha clamorosamente perso le due ultime tornate elettorali (del 2014 e del 2019) che hanno visto massicciamente vittorioso il BJP, solidamente supportato dagli interessi economici di cui è portavoce. Ma non c’è dubbio, come molti commentatori hanno ribadito anche ieri, che questa Bharat Jodo Yatra è riuscita a rilanciare quell’appello di unità e compattezza nella diversità, che è stata come si è visto la forza del Movimento contadino fino all’abrogazione di quelle tre leggi che avrebbero dovuto sancire la svendita di un intero settore produttivo all’agro-business – e che potrebbe creare le condizioni di aggregazione in un solido Fronte di Opposizione per quella miriade di partiti minori in tutta l’India, in vista dell’appuntamento elettorale del prossimo anno.
E in ogni caso la data sin dall’inizio programmata per la conclusione della marcia, non poteva essere più significativa: il 30 gennaio di 75 anni fa (1948) vide la morte di Mohandas Gandhi a New Delhi, per mano di Nathuram Godse, un estremista indù che gli si fece incontro mentre saliva la breve scalinata di Birla House (dove il Mahatma abitò nei suoi ultimi anni) e gli sparò addosso tre colpi, ferendolo al petto e all’addome.
Erano le 5 del pomeriggio; alcuni seguaci erano lì per la preghiera quotidiana, fecero appena in tempo a trasportarlo all’interno della casa che era già morto. E quel che è peggio, anzi terribile, è il revival di consensi che a distanza di decenni sta crescendo intorno alla figura di Nathuram Godse, sapientemente attizzato da legioni di seguaci del suprematismo su base religiosa indù (l’Hindutva) su cui fa leva il governo Modi per garantirsi una sicura maggioranza in termini di elettorato.
“Ho visto la violenza, conosco il dolore della perdita di persone care. L’India non andrà avanti in questo clima di odio, ma con rinnovata unità e amore” sono state le parole di Rahul Gandhi di fronte alla folla che si è accalcata intorno al suo podio nonostante la fitta nevicata. Vale la pena ricordare che tra le tante tappe attraversate dal pellegrinaggio una delle prime è stata Sriperumbudur nello Stato meridionale del Tamil Nadu, dove nel 1991 venne ucciso suo padre Rajiv, vittima di un attentato delle Tigri Tamil, un gruppo terroristico dello Sri Lanka,
E ancora: “Questo pellegrinaggio non l’ho fatto solo per me stesso, e neppure per il Partito del Congresso. Questo pellegrinaggio lo abbiamo fatto in tanti, nel nome del popolo indiano.”
Rahul Gandhi con Medha Paktar
Ed ecco dunque che il giorno del martirio di Bapu (come Gandhi viene chiamato affettuosamente in India), è tornato ad essere in Kashmir, lo Stato dell’India più dolorosamente segnato dalla violenza e dalla repressione, un giorno all’insegna della rinascita, contro il dilagare dell’odio su base religiosa che da troppo tempo sta dilaniando l’India.
Insomma un successo, come i media indiani (persino quelli che avevano inizialmente bollato l’iniziativa del Bharat Yodo Yatra come una velleitaria “trovata”) non hanno potuto fare a meno di registrare a reti unificate. Ma già dalla trionfale accoglienza di Delhi, poco prima di Natale, si era percepita la portata anche politica di questa “trovata”, che nel giro di pochi mesi era riuscita a galvanizzare una larga fetta dell’India che si percepiva come sconfitta, gettando le basi per quella larga coalizione di opposizione che si spera possa scalzare il Governo Modi alle prossime elezioni.
E in ogni caso, appunto, ha ridato forza, voce, visibilità, protagonismo, a quella miriade di movimenti sociali, ambientali, che si battono in nome dei più fondamentali diritti e che fin dall’inizio si sono fisicamente uniti all’appello, con piccole delegazioni a staffetta, in quella che indubbiamente è stata anche una straordinaria opportunità di riconnessione tra i movimenti, un rinnovato ‘fare rete’. “L’inizio di un’ampia mobilitazione politica contro l’egemonia del BJP e la sua agenda”, come sinteticamente commentava ieri la BBC.