Scene di un caos oltre il limite della ragione visibile: migliaia e migliaia, 15, 20mila seguaci dell’ex presidente Jair Bolsonaro hanno invaso domenica pomeriggio la piazza dei Tre Poteri a Brasilia, centro istituzionale del maggior Paese latinoamericano e centinaia di loro hanno preso d’assalto Parlamento, Presidenza della Repubblica e Tribunale Supremo. Sono penetrati nell’emiciclo del Legislativo e nell’aula magna del Tribunale danneggiandoli vistosamente, vetrate e mobilia, scanni e pareti, mentre altri gruppi irrompevano contemporaneamente fin sul tetto della Presidenza, razziandone numerosi uffici al passaggio. Un’azione non priva di incongruità, ma con ogni evidenza pensata da tempo.
Da una quarantina di giorni erano accampati sotto enormi tende davanti al comando generale dell’esercito, una zona periferica aperta e scarsamente controllata: i militari non hanno funzioni di ordine pubblico, la polizia sorvegliava a distanza per evitare incidenti.
Cosi come, in assenza del presidente Lula impegnato in una visita ufficiale alla megalopoli di San Paolo danneggiata da un’alluvione, ha accompagnato con ridotti contingenti i cortei estremisti che hanno attraversato la città. Con una manovra convergente, percorrendo a tratti lentamente e in altri invece con improvvisa rapidità diverse avenidas, i bolsonaristi hanno raggiunto i palazzi delle istituzioni in pratica sguarniti di fronte a una simile invasione, temuta e nondimeno paradossalmente imprevista. Tanto che Lula ha già ordinato il commissariamento delle autorità comunali e un’inchiesta sulla gestione della sicurezza; affermando: “Questi episodi di sovversione e teppismo sono senza precedenti e violano l’integrità della Repubblica; nell’assoluto rispetto delle leggi tutti i responsabili saranno perciò perseguiti e puniti con il necessario rigore”. Sono almeno 200 gli arrestati tra gli assalitori, solo nella nostra serata sgombrati a forza.
Piccoli incendi e fumogeni hanno contribuito a rendere surreali numerosi momenti e situazioni della capitale brasiliana, che solo lentamente ha preso coscienza di quanto stava accadendo nel calore estivo della pausa domenicale, senza tuttavia sentirsene coinvolta e manifestando più complice passività che ripudio. Numerosi manifestanti dei cortei diretti alla piazza dei Tre Poteri si fermavano del resto per inginocchiarsi e improvvisare preghiere che in pochi istanti diventavano corali, evocando Gesù Cristo e invocando il castigo dei peccatori (dunque -va inteso- di quanti a loro si oppongono). Creando un’improvvisata e tuttavia frequente osmosi politica-religione, tra sacro e profano, generatrice di un sincretismo che caratterizza in senso settario più di una chiesa, in cui fino a oggi i bolsonaristi hanno trovato generoso appoggio. Sebbene nell’esorbitante arcipelago dei pentecostali e neo-pentecostali l’attivismo proselitista trovi spazio per tutti.
Meno ecumenica, la politica entra invece in aperta convulsione. Si spaccano i bolsonaristi, tra il silenzio di quanti sono presumibilmente dietro la sortita di domenica, sulle cui finalità reali non appaiono certezze e le distanze solo ora espresse esplicitamente da coloro i quali tentano di porsi a riparo da rischi giudiziari e politici. Si avvertono attriti tra i massimi comandi militari, fino a ieri di fatto muti sodali di Jair Bolzonaro, a sua volta fuggiasco in Florida, dov’è riparato all’indomani della sconfitta elettorale che non ha mai riconosciuto formalmente. Ma una simile bufera non lascia indenne neanche il governo: “Bolsonaro, generali e autorità del Distretto Federale di Brasilia hanno stimolato il terrorismo; il governo nazionale è stato debole”, scrive Vinicius Torres Freire, editorialista tra i più autorevoli e misurati della Folha di San Paulo. E i giudizi che s’incrociano nell’ampia coalizione che ha eletto Lula sono ben più caustici, a cominciare da quelli usciti dal PT, il partito fondato dal Presidente.
A Brasilia, dov’è rientrato d’urgenza, Lula ha intanto ricevuto la solidarietà di Joe Biden e di quasi tutti gli altri presidenti americani, dal cileno Boric all’argentino Fernandez al colombiano Petro e al messicano Lopez Obrador. Tra i parlamentari che hanno rimesso piede nel Congresso, si discute sulle responsabilità di Jair Bolsonaro e come formalizzarle, tenendo conto che un gruppo di rappresentanti democratici alla Camera di Washington ne ha proposto l’estradizione. L’attenzione maggiore è rivolta però all’identificazione dei finanziatori materiali del tentativo golpista: poiché se più d’uno si è finto ostentatamente distratto, c’è anche chi si è coinvolto fino a sostenere i costi di trasferimento, vitto e alloggio di decine di migliaia di persone e l’organizzazione dei loro referenti, pur sapendo che le possibilità di fallimento sovrastavano ampiamente quelle di successo. Sono in corso varie analisi degli scossoni subiti nelle ultime settimane dalla parità della moneta nazionale, il real, contro il dollaro, e dalla borsa di San Paolo. Mirano a identificare gli sconosciuti beneficiari di quelle multimilionarie oscillazioni, determinate dalla stabilità o meno delle istituzioni e dell’economia nazionali.