Gli inaccettabili limiti posti dal governo Meloni alle operazioni delle navi umanitarie nel Mediterraneo per la ricerca e salvataggio dei migranti
Finisce l’anno con una operazione che unisce, propaganda, tentativo di riaffermare autorevolezza sul controllo dei confini, dopo gli schiaffoni presi in sede Unione europea soprattutto dalla Francia e infine, raffinato modo per tramutare in legge ciò che di fatto non era ancora stato normato. Leggendo la bozza del testo del “decreto immigrazione” del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto di Matteo Salvini, si intuisce come le spinte provenienti dal Viminale siano state ammorbidite tanto per non irritare ulteriormente le autorità Ue quanto per non cadere sotto le pressioni del Quirinale. In definitiva quello che cerca di attuare il nuovo governo è estremamente semplice: riportando tutte le responsabilità degli arrivi di migranti e richiedenti asilo sulle spalle delle navi umanitarie delle Ong, che in realtà nel 2022 hanno portato in salvo poco più del 14% delle persone partite per giungere in Europa, si rende loro, questa volta per legge, la vita più complicata.
Si tratta, con le dovute differenze, di rendere legge il Codice di condotta redatto nel 2017 da Minniti e che quantomeno aveva un carattere “consensuale”, ovvero le Ong che lo ratificano hanno il diritto di operare nel Mediterraneo centrale. Il testo definitivo non è stato ancora presentato, probabilmente sarà anche fonte di discussione con la Presidenza della Repubblica visti i numerosi appigli di incostituzionalità, ma in sintesi stabilisce alcuni concetti chiave. Le navi delle Ong, potranno, di fatto, effettuare una sola operazione di soccorso per volta – fermo restando il divieto, tranne che per casi di comprovata emergenza, di entrare nelle acque libiche – e di questa dovranno informare l’Imrcc (Italian maritime rescue coordination centre), Centro nazionale di coordinamento del soccorso, che assegnerà all’imbarcazione un Pos (Place of safety), porto sicuro in Italia verso cui dovranno recarsi. Le ultime scelte operate ancora in assenza del decreto, il porto di Livorno e quello di Ravenna, danno già l’idea di quello che è l’obiettivo principale del provvedimento. Portare le navi Ong fuori dal Mediterraneo centrale, costringere naufraghi ed equipaggio ad una lunga navigazione per poi rallentare i tempi di ritorno in mare della stessa.
La bozza del decreto diviene molto più severa rispetto alle caratteristiche a bordo che dovranno rispettare le navi umanitarie: chiede, ma non impone che chi soccorre, sottragga anche i natanti su cui erano presenti i migranti partiti (misure anti inquinamento o per rallentare le operazioni e impedire il riutilizzo degli stessi?) Si chiede che le navi umanitarie abbiano i requisiti di idoneità tecnico – nautica alla sicurezza della navigazione nelle acque territoriali. In questa maniera si compie uno dei tanti atti d’imperio e di discriminazione verso dette imbarcazioni. Agli altri natanti in mare per turismo o per motivi commerciali, tali certificazioni non vengono richieste e questo costituisce un abuso verso lo Stato di cui l’imbarcazione batte bandiera.
Ai soccorritori è poi chiesto di avviare tempestivamente e a bordo, iniziative per acquisire le intenzioni di richiedere protezione internazionale. L’obiettivo di Piantedosi era quello di ottenere che chi viene soccorso da navi con bandiere di altri Stati dovesse poi trovare protezione presso gli stessi. Già in sede di Commissione europea su questo era stato espresso parere negativo. Prima era prassi che il comandante della nave poteva solo accettare manifestazioni di volontà di chiedere protezione. Ma né il comandante né i naufraghi possono essere obbligati ad ottemperare a tale richiesta. Ad escludere tali prassi sono le stesse linee guida dell’Unhcr.
La nave umanitaria che va ad effettuare “soccorsi non casuali” è poi tenuta a richiedere all’autorità della zona Sar (Search And Rescue), soccorso e ricerca, competente, l’assegnazione del porto di sbarco. Qui sorge il problema legato al fatto che gran parte dei soccorsi operati dalle Ong avvengono nelle zone Sar di Libia, Tunisia e Malta. Questo si può tradurre nell’invito alle autorità dei Paesi di competenza di riprendersi le imbarcazioni dei fuggitivi? Libia e Tunisia non sono considerati “porti sicuri”, Malta spesso non interviene. Già è depositata una denuncia alla Corte Internazionale per le violazioni connesse a quelli che sono considerati respingimenti indiretti verso la Libia. Si vuole reiterare l’ipotesi di reato? Intanto col “decreto Piantedosi” si attuano, vedremo poi in che termini, intimidazioni verso le ong, chiedendo ai comandanti delle navi umanitarie di compiere operazioni che violano numerose convenzioni internazionali relative alla necessità di portare in salvo le persone. Il modo attraverso cui si tenta di impedire una completa attività di soccorso è riassumibile in due concetti a) il porto di sbarco individuato dalle autorità competenti (italiane) va raggiunto senza ritardo per il completamento delle operazioni di soccorso. Della serie che se la nave Ong si trova nei pressi di Lampedusa e il porto assegnato fosse Venezia, non ci devono essere deviazioni nella rotta da seguire. b) se si dovessero effettuare operazioni di soccorso plurime, quelle successive alla prima devono essere effettuate in conformità agli obblighi di notifica (richiedere autorizzazione per emergenza) e non devono compromettere l’obbligo di raggiungimento, senza ritardo, del porto di sbarco assegnato. Viene da domandarsi come verrà considerato un “ritardo” dovuto al fatto che, ricevendo una richiesta di soccorso, la nave Ong, si ritrovi a dover scegliere se proseguire per il tragitto segnato o deviare – quindi impiegando del tempo – per effettuare ulteriore soccorso.
Le operazioni ricerca e di soccorso, vera ossessione governativa, non devono aggravare situazioni di pericolo a bordo né di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco assegnato. Quindi anche trasbordare profughi in difficoltà o in condizioni di vulnerabilità, per effettuare altri soccorsi richiesti, viene considerato come azione riprovevole. Da ultimo, la nave che operi un salvataggio deve fornire alle autorità Imrcc e, in caso di assegnazione di un porto di sbarco, deve fornire tutte le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata delle fasi dell’operazione di soccorso effettuata. In realtà questo viene sempre effettuato, per interesse stesso dei soccorritori, ma la disposizione serve a ribadire il concetto per cui le Ong sono organizzazioni opache che non hanno (non c’è stato alcun elemento a comprovarlo finora) comunicato con esattezza il proprio operato.
Pur non prevedendo sanzioni penali per chi non ottempera a tale decreto c’è un vasto quanto generico quadro di sanzioni amministrative a discrezionalità dei prefetti, da mettere in campo: si va dal “fermo amministrativo” delle navi di soccorso al sequestro o confisca della nave, alle multe. Non è chiaro (forse verrà regolamentato nei prossimi giorni) il rapporto fra specifica violazione e sanzione in cui si incorre, intanto quello che avverrà andrà contro ogni diritto di difesa. Ad esempio dare ad un prefetto il potere di effettuare anche il sequestro cautelare di un’imbarcazione battente bandiera di un altro Paese, viola apertamente le norme sovrannazionali contenute nelle Convenzioni di diritto del mare e dei regolamenti europei. Il decreto prevede una sanzione al comandante della nave di soccorso che può andare dai 10mila ai 50mila euro, ovviamente la responsabilità anche dell’armatore e del proprietario dell’imbarcazione. Si aggiunge che il fermo amministrativo per 2 mesi della nave, custodia e manutenzione della stessa sono a carico di chi comanda la stessa. Può essere presentato entro 60 giorni ricorso al provvedimento e il Prefetto che ha 20 giorni di tempo per decidere se confermarlo o meno. Se si reitera la violazione scatta la confisca e il sequestro cautelare della nave. Quando non vengono fornite le informazioni richieste rispetto alle modalità dell’intervento di soccorso, la sanzione è contenuta fra i 2mila e i 10mila euro, la nave fermata per venti giorni salvo reiterazione della violazione (2 mesi).
In attesa di vedere se giungeranno segnali dal Quirinale per modificare il decreto, va detto che questo contiene numerosi appigli legali da impugnare anche in Italia. Secondo il prof Fulvio Vassallo Paleologo, oltre alle violazioni di gran parte dei trattati internazionali Piantedosi di fatto non rispetta gli articoli: 2, 3,10, 117 della Costituzione e innescherà uno scontro senza precedenti a livello Ue. Troppe sono le imposizioni che si determinano verso le Ong, in particolare verso quelle di Stati appartenenti all’Unione che dovrebbero attenersi a comandi che il governo italiano e i suoi organi periferici (le prefetture), non hanno autorità per determinare. Comunque il risultato che si intende produrre è una “istituzionalizzazione dell’omissione di soccorso in mare”, l’intimidazione per legge delle organizzazioni umanitarie e della solidarietà e, per forza di cose, l’incremento prossimo delle vittime in mare determinate da tali misure. Ad inizio dicembre, il gruppo parlamentare europeo The Left ha pubblicato una ricerca, commissionata, sulle violazioni dei diritti umani verso i migranti, in 4 volumi. Un testo raccapricciante che riguarda i crimini commessi da governi di 15 Paesi, fra cui l’Italia e che riporta notizie di circa 25mila casi di violazioni. C’è da temere che, qualora il decreto dovesse essere effettivamente applicato, ci sarà presto spazio per un nuovo volume, interamente dedicato all’Italia.