La Shell, multinazionale britannica operante nel settore petrolifero, pagherà alle comunità contadine della Nigeria un risarcimento di 16 milioni di dollari per i danni ambientali causati dalle perdite dei suoi oleodotti nella zona sud-orientale, nel Delta del Niger, nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2007.
È quanto stabilito dall’ultima sentenza di un processo che in realtà va avanti da 14 anni, quando quattro abitanti dei villaggi di Goi e Oruma, situati proprio nel Delta, trovarono il coraggio, con l’appoggio della ONG olandese Friends of the Earth, di denunciare la Shell, accusandola di aver distrutto intere aree strategiche per pesca e coltivazione, e per questo fondamentali per la sussistenza di chi le abita.
La multinazionale petrolifera, pur accettando di pagare un indennizzo alle comunità come stabilito nel 2021 dalla Corte d’Appello dell’Aja (anche se l’ammontare del risarcimento è stato pattuito poco tempo fa), ha sempre negato di essere responsabile di quanto accaduto, attribuendo piuttosto la colpa delle fuoriuscite ad atti vandalici e di sabotaggio compiuti da terzi sui suoi oleodotti. L’accordo monetario “non prevede l’ammissione di responsabilità, risolve tutti i reclami e pone fine a tutte le controversie pendenti relative alle fuoriuscite”, ha tenuto a sottolineare Shell in un comunicato. La sentenza inoltre prevede che la multinazionale si doti al più presto – e obbligatoriamente – di un sistema di sorveglianza che monitori i suoi oleodotti, per evitare, sia nel caso di sabotaggi (come dice l’azienda) che di fuoriuscite accidentali, che episodi di questo tipo si verifichino ancora.
Non è la prima volta infatti che Shell finisce nei guai per questi motivi. Se ne parla praticamente dalle sue prime estrazioni di petrolio in Nigeria, intorno agli anni ’50, quando i problemi legati alla scarsa sicurezza degli oleodotti e ai mancati controlli periodici erano già piuttosto evidenti. E negli anni non sono stati risolti e anzi si sono accumulati a quelli di tutte le altre multinazionali. Basti pensare che solo nel periodo compreso tra il 2020 e il 2021, la National Oil Spill Detection and Response Agency (NOSDRA) della Nigeria ha registrato sul suo territorio 822 fuoriuscite di petrolio, per un totale di 28.003 barili riversati nell’ambiente. Fra gli episodi più gravi che hanno invece visto protagonista esclusivamente Shell, se ne ricordano in particolare due: quello del febbraio 2003, quando ci fu un’esplosione nel giacimento petrolifero abbandonato di Shell a Yorla, che provocò una grave fuoriuscita di petrolio e quello dell’agosto del 2008, quando un guasto all’oleodotto Trans-Niger riversò sulla comunità di Bodo 4.000 barili di greggio. In realtà di incidenti di questo tipo, negli anni, ce ne sono stati moltissimi (si possono leggere qui), ma l’espansione di Shell in Nigeria non si è mai realmente fermata: ad oggi, come riporta Altreconomia, la multinazionale conta 50 pozzi, più di seimila chilometri di oleodotti e gasdotti e ricavi totali derivati dall’estrazione (nel 2019) pari a circa 4,5 miliardi di dollari.
Ci sono tuttavia degli esempi positivi. Shell ad esempio non potrà più cercare giacimenti di gas e petrolio al largo della “Wild Coast”, un’area rurale ed incontaminata facente parte della costa della provincia sudafricana Eastern Cape. Con una sentenza, l’Alta Corte di Makhanda ha stabilito che le esplorazioni in questione – effettuate generando onde sismiche con cui analizzare i fondali – erano state concesse dal governo in maniera illegale. Nel suo piccolo anche il caso del delta del Niger può essere considerato una piccola vittoria. È vero, la cifra accordata (destinata totalmente alle comunità di Oruma, Goi e Ikot Ada Udo) non ridarà agli abitanti del posto quanto perso, non ripulirà le loro terre e neppure le falde acquifere, contaminate da decine di sostanze cancerogene. Almeno non totalmente. Ma, come ha scritto la BBC, “questo traguardo è come una pietra miliare”. Si tratta in effetti del primo riconoscimento che piccole comunità agricole ottengono da un colosso petrolifero per compensare i danni ambientali provocati.