Un’indagine per conoscere la popolazione giovanile nella Casa Circondariale di Torino
L’Ufficio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, in occasione della recente Conferenza stampa di fine anno del Consiglio Comunale, ha tenuto ad evidenziare, ancora una volta, i profili critici che connotano il sistema penitenziario, territoriale e non. Le cronache delle ultime ore confermano, se mai ce ne fosse stato bisogno, il cronico stato di sofferenza in cui versa l’intero apparato, difficoltà da cui non si discosta il mondo degli Istituti Penali per Minorenni. L’episodio del Cesare Beccaria di Milano ripropone in maniera plastica i ritardi non solo di natura organizzativa e operativa, ma di visione e impostazione dell’esecuzione della pena, soprattutto nei confronti della fascia più giovane della popolazione detenuta.
Ma l’opinione pubblica è in larga parte assuefatta ad approcciare questi temi in un registro di superficialità, nel quale finisce per risultare interessante solo l’episodio della fuga, con le sue più o meno rocambolesche modalità, e non la realtà delle vite costrette in una recinzione che spesso si limita a escludere, dimenticando per strada gli obiettivi di recupero dei ragazzi verso una nuova e consapevole esperienza di cittadinanza. E sempre più spesso questa superficialità lascia il posto all’indifferenza, alla disattenzione e all’acquiescenza, stati di torpore civile interrotti, purtroppo, in occasione di episodi ad esclusivo appannaggio della cronaca nera. La liturgia che ne segue – è facilmente verificabile – si ripete in questi casi con poche varianti: dichiarazioni di principio delle autorità, promesse di rigorosi interventi e rinvio a responsabilità di altri, in altri tempi, in altri luoghi istituzionali. Il frequente succedersi di sostituzioni ai vertici dei vari ruoli competenti a un’ipotetica, responsabile, buona gestione del sistema carcerario fa il resto.
Buona parte dell’anno che si sta per concludere ha visto l’Ufficio Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Torino e la Clinica Legale Carcere e Diritti I del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino impegnati insieme nella stesura della ricerca “Giovani dentro e fuori. Un’indagine per conoscere la popolazione giovanile nella Casa Circondariale di Torino”.
Il lavoro si è posto l’obiettivo di approfondire la conoscenza della componente più giovane della popolazione reclusa presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. Una ricerca attraverso cui gli studenti e le studentesse dell’Università di Torino offrono un quadro oggettivo delle condizioni sociali e detentive dei giovani reclusi, per andare oltre uno sguardo superficiale sul carcere. L’analisi fotografa una detenzione oggi più che mai inadeguata e può rappresentare uno strumento utile a superare i profili di superficialità sopra evocati, muovendo possibilmente dalla messa in campo di politiche di prevenzione e di sostegno per i giovani e per le loro famiglie.
Per dar conto del livello di integrazione maturato nel corso del lavoro, per l’elaborazione dei dati raccolti è stato utilizzato un apposito programma basato sulla social analysis fornito dal Reparto di Investigazioni Tecnologiche della Polizia Municipale, già impegnato con altre città europee in un progetto di osservazione e approfondimento della devianza giovanile volto a elaborare e attivare strumenti di prevenzione della devianza prima che si strutturi ed assuma profili penali. I fattori che sono stati oggetto di approfondimento sono relativi alla condizione socio-economica dei giovani detenuti, alle loro situazioni precedenti l’ingresso in carcere, alla posizione giuridica, alle caratteristiche della vita attuale in cella. Dalle parole raccolte dalle persone emerge un quadro esperienziale in cui la detenzione finisce per costituire una parentesi di vita, più o meno lunga, trascorsa nell’inattività e nella solitudine, concentrata esclusivamente sul passato, con un percorso di costruzione dell’identità interrotto perché privo di esperienze dotate di senso. Il lavoro non tralascia di riferire in ordine a un tema particolarmente delicato quale quello della salute dei ragazzi, soprattutto per quanto riguarda l’assunzione e la dipendenza da psicofarmaci, e lo fa accogliendo un opportuno intervento di due esperti del settore come i dottori Filippo Pennazio e Vincenzo Villari.
Il report si arricchisce inoltre di un intervento di Franco Prina, già giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Torino, sociologo della devianza e attuale Presidente della Conferenza Nazionale Universitaria dei Poli Penitenziari. Nel suo intervento si evidenzia come il mero compimento dei diciotto anni non può garantire il superamento delle fragilità giovanili e che tale considerazione dovrebbe strutturare e informare le azioni di chi opera nel sistema carcerario a contatto con ragazzi che sono maggiorenni il più delle volte solo da un punto di vista anagrafico. Un ulteriore punto sottolinea la collaborazione tra l’Ufficio del Garante e l’Università mettendo in evidenza come sia importante che della realtà carcere non si faccia carico, in solitudine, esclusivamente l’amministrazione penitenziaria, ma che in tale attività siano coinvolte le espressioni del territorio chiamate a esercitare la propria responsabilità sociale. La relazione non manca infine di fornire alcune indicazioni che, a giudizio degli estensori, possono tornare utili per avviare, se non un cambio di paradigma operativo, opportune modifiche all’attuale modus operandi.