La prima parte dell’intervista a Juana Antieco, infermiera ed educatrice Mapuche/Tehuelche, si può leggere qui.
Chi ha preso le vostre difese dopo le accuse e gli arresti delle autorità?
Abbiamo bisogno di avvocati che ci difendano dagli abusi del governo. Dico questo perché quando si arrestano delle donne ci sono protocolli da rispettare, soprattutto laddove ci siano dei bambini: non c’è stato rispetto per queste persone, era presente una donna incinta alla 38esima settimana di gestazione e c’erano dei minori. Non sono stati rispettati i diritti di questi soggetti deboli, né è stata attuata la Legge n. 26160 che proibisce gli sgomberi delle comunità da tutto il territorio argentino. Sono stati violati i diritti umani basilari, come quello che garantisce di informare le persone sui motivi delle accuse a loro rivolte, o di consentirgli di chiamare i famigliari e il loro avvocato difensore. Questo non è avvenuto e le donne sono state detenute per quasi una settimana senza poter parlare con i loro avvocati.
Solo dopo la lotta della Lega per i diritti umani, delle mobilitazioni del popolo Mapuche, di molte organizzazioni e del popolo argentino solidale, che tutti insieme hanno fatto pressione sull’autorità, siamo riusciti a far sì che gli avvocati potessero verificare la situazione delle detenute e scoprire i capi d’accusa.
È importante precisare che ci sono stati venti giorni di segreto investigativo sui motivi di accusa: solo il 21esimo giorno dopo l’arresto gli avvocati sono riusciti ad accedere agli atti per capire quali fossero le imputazioni. In realtà i motivi di accusa sono ancora incerti: il pretesto è che avrebbe preso fuoco una postazione della Gendarmeria e che ci sarebbero state aggressioni mediante pietre e armi.
Al momento tre donne sono state liberate, mentre altre quattro sono ancora detenute insieme ai loro figli, ma al contempo gli uomini sono rimasti nello stesso territorio e lo difendono; sono terre che conoscono meglio del palmo della loro mano, anche in piena oscurità.
I mezzi di comunicazione argentini hanno dato risalto a questi eventi?
I mezzi di comunicazione si dividono tra quelli che fanno capo alle forze capitaliste, ai latifondisti e al governo e i media alternativi che si fanno carico della situazione, cercano le fonti e le diffondono. I media egemonici, che sono i grandi mezzi di comunicazione, continuano solo a propinare il discorso della RAM e raccontano che i Mapuche attentano alla sicurezza nazionale. Dietro a questo discorso, finalizzato a generare odio razziale, si nasconde il piano di negoziazione di queste nostre terre, poiché c’è un grande interesse del governo nel venderle e scambiarle. I media alternativi sono stati minacciati dalla Polizia, diversamente dai grandi media che sono stati facilitati a scattare foto e ad ispezionare queste terre al fine di descriverci di fronte alla società, che si alimenta di questo tipo di comunicazione dell’odio, come usurpatori da allontanare e terroristi che meritano di subire la distruzione delle proprie abitazioni.
Puoi parlarci di questi interessi stranieri che tentano di dominare la Patagonia?
La Patagonia, che è divisa in province, è un territorio molto ricco di risorse e famosa in tutto il mondo per la diversità di paesaggi naturali. Quando parlo di ricchezza territoriale non mi riferisco a una prospettiva economica, ma ai boschi, ai laghi, alle fonti d’acqua. Una cosa è vederla in fotografia e un’altra è venire qui e toccare con mano quello che sto descrivendo. Ma la Patagonia è quasi tutta espropriata dai latifondisti stranieri. La proprietà terriera di Benetton è localizzata a pochi km dagli insediamenti della mia comunità. Benetton detiene 900.000 ettari ripartiti tra le Province di Chubut, Santa Cruz e Rio Negro, fino a lambire il sud della Provincia di Buenos Aires. L’Azienda Benetton, oltre a essersi appropriata del territorio Mapuche Tehuelche, ogni 5/10 anni espande i propri confini andando a conquistare porzioni sempre maggiori del territorio, ma siccome i possedimenti terrieri sono sterminati, nessuno controlla perché è impossibile controllare un’azienda con questo potere economico.
C’è poi un altro personaggio, un inglese amico di Mauricio Macri, che possiede addirittura un lago intero e una pista di atterraggio dentro la sua proprietà e che ha messo le mani su zone di frontiera invendibili. Da 15 anni si conduce una battaglia giuridica, che ancora non si riesce a vincere, per difendere quel territorio e per garantire al popolo argentino il libero accesso al lago. Alla fine è il sistema capitalista che domina l’economia del mondo: gli ultimi tentativi di usurpazione arrivano da esponenti del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti.
Lo Stato lo dipinge come un investimento, ma per noi è una vera usurpazione con la quale si espropria la fonte di un unico fiume che attraversa tutta la Provincia e che, considerando gli effetti del cambio climatico, ci priva di quell’acqua, ovvero di quel bene che sta diventando il più costoso e difficile da trovare.
Cosa sa di tutto questo il popolo argentino?
Il popolo argentino è cosciente del fatto che si stanno alienando terre agli stranieri. Si stanno formando gruppi di mobilitazione in molte parti del Paese perché la questione della svendita dei beni comuni non la soffriamo solo nel Sud, ma anche nella zona della Mesopotamia, nel nord dell’Argentina, dove vediamo un indiscriminato disboscamento, nonché a Còrdoba con gli incendi indiscriminati sui monti.
Avete rappresentanti o portavoce nelle istituzioni governative?
Noi abbiamo sempre chiesto un dialogo con i rappresentanti del governo, ma questo dialogo deve essere serio e i funzionari devono essere all’altezza delle circostanze e delle istanze che storicamente perseguiamo: la nostra richiesta principale è la restituzione del territorio e il riconoscimento delle nostre terre come proprietà della comunità, con la garanzia che nessuno venga a privarci di questo diritto. Le relazioni però si sono incrinate per via della nostra pretesa che lo Stato nazionale riconosca il genocidio su cui si è fondato il Paese. Fino a quando non ci sarà riconoscimento del genocidio indigeno che ha determinato lo sterminio di molti popoli originari di questa zona e fino a quando non verrà fatta giustizia, noi continueremo a patire le conseguenze della ‘Conquista del deserto’ perpetrata dallo Stato Nazionale.
Tuttavia, ogni volta che lo Stato vuole trattare manda funzionari che non possono prendere decisioni politiche importanti. Nel 2017 c’è stata una grave aggressione a un giovane Mapuche di nome Rafael Nahuel, che fu attaccato alle spalle e ucciso da un colpo d’arma da fuoco. Allora abbiamo richiesto tavoli di confronto, ma a una condizione: non siamo disposti a retrocedere sui diritti che abbiamo conquistato.
Quando si riconquista un territorio perduto, dove risiedevano i nostri antenati e dove ci sono spazi spirituali e rituali – che come riconosce il Convegno 169 devono essere assicurati senza condizioni ai popoli indigeni – questo territorio va protetto e difeso, anche con la vita.
Quali obiettivi ha il popolo Mapuche per il futuro e come intendete risolvere il conflitto sempre più acceso con lo Stato argentino?
Stiamo chiedendo di iniziare a dialogare seriamente, in accordo con il processo storico del popolo Mapuche, per trovare una soluzione definitiva. Le richieste non possono prescindere da una restituzione delle nostre terre, dal rilascio della Machi Betiana Colhuan, affinché possa ritornare alla sua comunità ed esercitare liberamente la medicina ancestrale Mapuche, così come la liberazione delle altre sorelle Mapuche detenute arbitrariamente da parte del potere politico-giudiziario e con il favore dei latifondisti.
Per questo chiedo agli amici italiani che hanno a cuore queste istanze di interessarsi della vicenda, di coinvolgere l’Ambasciata Argentina in Italia. Sappiamo tutti della gravità della violazione dei diritti umani nel mondo e siamo convinti che possiamo cercare di invertire la rotta attraverso azioni concrete di mobilitazione. Questa è la storia dell’umanità: la conquista dei diritti è avvenuta lottando, manifestando per le strade con il sacrificio di vite umane, è costata dolore e violenza e per questo i diritti ottenuti vanno difesi strenuamente, nel rispetto delle persone che sono morte per la lotta.
Vuoi lanciare un appello agli italiani che ci leggono?
Il terrorismo di Stato oscuro e violento è tornato e in questo momento si sta scagliando contro il popolo Mapuche. Perciò torno a chiedervi solidarietà e se è possibile un aiuto economico per sostenere il costo degli avvocati che, per esempio, non vivendo nella Provincia di Rio Negro, affrontano delle spese di viaggio per muoversi da Buenos Aires. Loro non hanno chiesto soldi alla comunità, ma ci sono comunque costi amministrativi da sostenere.
Vi ringrazio molto per avermi permesso di parlare di quello che accade, della preoccupante violazione di diritti umani del popolo indigeno in Argentina. Sappiamo che non sarà una risoluzione immediata perché non c’è un vero interesse in questo senso da parte delle istituzioni, ma nel mentre noi continueremo a lottare perché non possiamo immaginare una vita che non sia lottando. La lotta ce la portiamo dentro fin dal ventre materno, lo facciamo per i nostri figli, come dimostrano le donne che rivendicano i nostri diritti con tanta dignità e coraggio. Questi sono valori che il mondo capitalista non potrà mai portarci via e noi siamo convinti che, anche se con ritardo, arriveremo a ottenere giustizia.
Ringrazio ancora tutte le persone che manifesteranno interesse per questa intervista e tutti quelli che vorranno aiutarci attivamente, perché ciò che di buono si incontra nel cammino sono le persone solidali.
Vi saluto di nuovo in lingua Mapuche, sperando di tornare presto a dialogare con voi!