« Ogni individuo ha diritto alla vita …». Compie sabato 74 anni la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” adottata dall’ONU, dove all’articolo 3 campeggia il primario diritto alla vita.
La vita è un bene indisponibile; protetta cioè da una possibile azione ad opera di terzi ma anche da se stessi ( divieto di eutanasia e di aiuto al suicidio sanciti in Italia dall’articolo 579 e dall’articolo 580 del Codice Penale ). Insomma nessuno ci può uccidere, neanche se lo volessimo noi.
Ma cos’è la vita?
E’ solo biologia? Per considerare una persona viva è sufficiente che respiri, abbia un battito cardiaco ed un’attività celebrale?
Il 41 bis è vita o è morte?
Tra semplice vita biologica, sopravvivenza e vita piena scorre tanta differenza.
Quindi la domanda da porci sarebbe non se la vita sia un bene indisponibile, ma quanta vita sia un bene protetto, e, in particolare, quanta morte sia possibile assegnare ad un eventuale criminale.
Lo stare chiuso in una celletta, praticamente senza vita sociale, culturale, senza quasi rapporti con la famiglia, è vita?
L’ergastolo è vita?
L’ergastolo “ostativo”, ovvero di fatto la galera a vita, è vita?
Il trattamento penitenziario denominato 41 bis è vita?
Per Cesare Beccaria, la schiavitù perpetua è peggio della morte!
« Non è l’intensione della pena che fa il maggior effetto sull’animo umano, ma l’estensione di essa », ci faceva sapere Cesare Beccaria nella sua opera principale, “Dei delitti e delle pene” [1].
Beccaria poi spiegava: « Chi dicesse che la schiavitù perpetua è dolorosa quanto la morte, e perciò egualmente crudele, io risponderò che sommando tutti i momenti infelici della schiavitù lo sarà forse anche di più, ma questi sono stesi sopra tutta la vita, e quella esercita tutta la sua forza in un momento; ed è questo il vantaggio della pena di schiavitù, che spaventa più chi la vede che chi la soffre; perché il primo considera tutta la somma dei momenti infelici, ed il secondo è dall’infelicità del momento presente distratto dalla futura ».
La dottrina – ben illustrata da Alexandr Berkman [2] – che consente ad uno stato « di vendicare i torti subiti dai cittadini attraverso la punizione dei colpevoli » è civiltà o inutile barbarie ?
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Fonti e Note:
[1] Cesare Beccaria (1738-1794), “Dei delitti e delle pene” (1764).
[2] Alexandr Berkman (1870-1936), “Le prigioni e il crimine” (1906).