In questi giorni sui media mainstream assistiamo, da parte delle case farmaceutiche, degli annunci in previsione di nuovi e modernissimi “vaccini anti-cancro”. A fare annunci in tal senso è stata BioNTech rilanciando il suo vaccino anti-cancro ad m-RNA .
Le tecnologie vaccinali a m-RNA erano state già sperimentate nel 2011 proprio come terapie anti-cancro e furono un fallimento conclamato. La tecnologia m-RNA applicata al campo oncologico non ha goduto del successo sperato perchè il cancro è un insieme di malattie complesse e in continua evoluzione. I trial clinici sui vaccini anti-cancro sono falliti principalmente a causa dei numerosi meccanismi che le cellule tumorali scovano per eludere il nostro sistema immunitario. Alcuni tipi di cancro infatti, sono in grado di esprimere proteine che ingannano le cellule immunitarie, convincendole a non attaccare. Queste tecnologie ad m-RNA fallirono nelle terapie anti-tumorali perchè con il cancro non esiste un obiettivo universale e comune a tutti. Essendo fallite in funzione anti-tumorale, sono state riproposte come soluzione in funzione anti-virale durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, di cui oggi non è ancora chiara l’efficacia nella prevenzione dal contagio.
A tal proposito da anni Cuba, “arsenale biotecnologico” rafforzatosi proprio con il bloqueo USA, fa ricerca da anni nell’ambito dell’immunoterapia oncologica ed ha recentemente annunciato il suo vaccino terapeutico contro il cancro del polmone, Cimavax-EGF, risultato di oltre vent’anni di ricerca, con risultati soddisfacenti in persone con stadi avanzati di cancro del polmone. Cimavax-EGF non è un vaccino a m-RNA, ma a sub-unità proteiche . Detto ciò, credo che questa scalata verso i soluzionismi tecno-medici in sanità non sia tra le migliori, riproponendo sempre più metodi riduzionistici ed allontanandosi da quelli olistici. Ad oggi, di fronte a progressi tecno-scientifici di questo tipo, serve domandarsi dove siano finite le ricerche sui metodi naturali di prevenzione e di cura contro i tumori. Pensiamo al vischio, proposto dalla medicina antroposofica , che per anni è stato visto come “cura alternativa” al cancro, per poi finalmente entrare nelle terapie complementari riconosciute (non in tutti gli Stati) usata in associazione alla chemioterapia. La sua attività è legata alle viscotossine e leptine presenti nel frutto e nelle foglie della pianta. Il vischio era già noto alle arti druidiche celtiche come “rimedio universale” e sono molti gli studi scientifici che hanno mostrato come queste molecole interagiscono con la neoplasia e il suo uso modifica e migliora la qualità della vita e riduce molto gli effetti indesiderati dei farmaci antitumorali, soprattutto se assunto principalmente per via parenterale e per diversi cicli di trattamento. È stato osservato che il suo estratto stimola la risposta del sistema immunitario e per questo motivo è stato utilizzato dai malati affetti da tumori della mammella, del polmone, del rene, della vescica, dell’intestino, dell’utero, dell’ovaio, della cute, soprattutto in Germania, Austria e Svizzera, dove il vischio viene utilizzato abitualmente all’interno di preparazioni impiegate come adiuvanti nella terapia antitumorale convenzionale. Numerosi studi clinici hanno confermato che la sua somministrazione innalza il livello dei globuli bianchi. Un recente studio condotto in vitro su cellule tumorali del seno ha dimostrato come la somministrazione concomitante di un antibiotico antineoplastico (doxorubicina) e di lectina estratta dal vischio generi un grande effetto sinergico, inibendo maggiormente la crescita delle cellule maligne rispetto a quanto non avvenga a seguito della somministrazione separata . Dove sono finiti gli studi scientifici a riguardo che ne certifichino la validità? Sono stati terminati, sono stati fermati o sono caduti nel dimenticatoio?
In effetti molti sono andati nel dimenticatoio insieme al vischio, come per esempio il Metodo Gerson (che per primo parlo di cancerogenicità della carne nel 1951, cosa ammessa anche dall’OMS solo nel 2015), il Metodo Essiac, la Terapia Hoxsey, l’Aloe Arborescens di Padre Zago, il Laetrile e molti altri non divulgati, demonizzati, criminalizzati, perseguitati intellettualmente e messi all’angolo dalle case farmaceutiche, ma che continuano a curare nonostante le narrazioni mainstream. Molti anni fa si parlò come cura anti-cancro anche dell’iperico, conosciuto come Erba di San Giovanni.
Nel 2009 una ricerca finanziata dall’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) e dalla Compagnia di San Paolo in collaborazione con le Università di Padova, di Varese e del Centro Biotecnologie Avanzate di Genova confermarono che l’iperforina combatte la neo-vascolarizzazione inibendo le cellule epiteliali stimolate dal cancro, confermando anche quanto la fitoterapia possa essere utile in queste gravi malattie degenerative. Il team di ricercatori era guidato da Adriana Albini, Responsabile Ricerca Oncologica dell’IRCCS MultiMedica, scoprendo che l’iperforina, principio attivo presente nell’olio estratto dalla pianta, ha proprietà anti-angiogeniche , ovvero combatte le cellule che formano i vasi sanguigni dei tumori. Lo studio venne stato pubblicato nel numero di maggio 2009 dell’European Journal of Cancer.
“Abbiamo scoperto – spiegava Albini – che l’iperforina, inibendo le cellule endoteliali stimolate dai tumori, combatte la neo-vascolarizzazione. Il meccanismo passa attraverso l’inibizione della molecola NFkB, un interruttore principale dei circuiti di infiammazione e angiogenesi infiammatoria. Blocca inoltre la migrazione dell’endotelio in risposta a citochine infiammatorie”.
“Questo risultato – prosegue Albini – potrebbe suggerire l’uso dell’iperico nella prevenzione del cancro. Il concetto di ‘prendere i tumori per fame’ dell’anti-angiogenesi è alla base delle strategie attualmente utilizzate in combinazioni terapeutiche contro quasi tutti i tumori”.
Quasi in parallelo al team di Albini, ricercatori tedeschi hanno rivelato che l’iperforina e l’omologo aristoforina agiscono anche sull’endotelio linfatico. I due studi, usciti in contemporanea a conferma l’uno dell’altro, evidenziarono il grande potenziale di impiego di iperico e iperforina come principi attivi di origine naturale in anti-angiogenesi. Nonostante ciò, ulteriori studi di sicurezza erano necessari, anche se non si è più saputo nulla a riguardo. Dunque che fine hanno fatto, ad oggi, gli studi sull’iperico?
http://www.farmacista33.it/l-iperico-entra-nella-ricerca-oncologica/politica-e-sanita/news-10927.html