Come previsto il governo Meloni ne sta combinando, e ne combinerà, di tutti i colori. Assoluta continuità con la “agenda Draghi” in politica estera, che prevede supina accettazione della guerra e dei comandi della NATO e dell’Europa, ma al contempo una politica interna caratterizzata da un attacco, che si annuncia senza precedenti nella storia della Repubblica, alle libertà e ai diritti umani e civili.
E’ necessario che i movimenti e la sinistra radicale ribattano colpo su colpo, a difesa delle nostre garanzie costituzionali, contro l’azione di fatto “eversiva” da parte dell’esecutivo. Ma attenzione a non cadere in quella che definirei “la trappola dei diritti”. Che significa?
La logica della governance neo liberista si fonda sulla netta separazione tra economia e politica. L’economia viene regolata (almeno in apparenza) esclusivamente dal libero mercato senza ingerenze da parte della politica, a cui spetta invece di occuparsi dei diritti (e ovviamente, e soprattutto, dei doveri) dei cittadini. Questa logica va ribaltata! La sinistra radicale e i movimenti devono essere capaci di coniugare libertà e uguaglianza, difesa dei diritti e lotta per la difesa dei salari e del reddito, in una sintesi non sempre facile, e raramente riuscita nel passato più o meno recente.
Credo che il programma a breve debba essere fondato su tre fondamentali parole d’ordine: Difesa dei diritti; No alla guerra; Difesa dei salari e del reddito. E’ su quest’ultimo punto che vorrei brevemente soffermarmi, dando provvisoriamente per scontati i primi due.
Battersi per l’uguaglianza sociale significa oggi sostenere alcuni fondamentali obiettivi come il “salario minimo orario” e la lotta al caro bollette. C’è tuttavia una questione di cui si parla pochissimo e che è invece, a mio parere, la questione principale: Il ripristino della scala mobile. La ragione di questa dimenticanza sta probabilmente nella idea del mainstream dominante per cui l’inflazione è il peggiore dei mali e va combattuta col rialzo dei tassi d’interesse, mentre adeguare redditi e salari all’aumento dei prezzi non farebbe che agevolarla e farla crescere. Menzogna! L’inflazione è un terreno di scontro sociale, in cui si ridefinisce la distribuzione della ricchezza. Da una parte governi e banche centrali che bloccando redditi e salari e provocando, attraverso l’aumento dei tassi d’interesse, spinte fortemente recessive, si pongono l’obiettivo di fare pagare gli effetti della crisi esclusivamente ai ceti sociali più poveri e de-privilegiati. Dalla parte opposta la lotta, come minimo, dovrebbe essere quella della difesa ad oltranza del potere d’acquisto dei lavoratori e delle famiglie. Ma immettendo liquidità non cresce ulteriormente l’inflazione? No! Se come nel caso attuale l’inflazione non nasce certo da un eccesso di domanda.
Un’ultima questione, ma di vitale importanza. La scala mobile classica (quella sancita negli anni settanta) metteva al centro il recupero del potere d’acquisto dei salari. Oggi è venuta meno la centralità del lavoro salariato contrattualizzato, a causa dell’aumento del lavoro precario e irregolare, insieme al crescere della disoccupazione, permanente o saltuaria, e all’aumento della povertà e dell’esclusione sociale. Date le attuali condizioni, la nuova scala mobile non dovrebbe mettere al centro il recupero salariale ma una più equa distribuzione basata sul reddito. Questo significa pensare una scala mobile sociale ed egualitaria. Significa che il recupero completo dell’inflazione non va fatto su base individuale, rispetto al proprio salario, ma distribuendo a pioggia una cifra calcolata sulla base del reddito medio disponibile degli italiani. Esempio (approssimativo nelle cifre): considerato che il reddito medio è intorno ai 25.000 euro e l’inflazione intorno al 12%, a fine anno andrebbero distribuiti a pioggia 3000 euro nelle tasche di tutti i cittadini, poveri e disoccupati compresi. Se la cifra totale vi pare troppo grande, si può sempre pensare ad una patrimoniale sulle grandi ricchezze, o ad una tassa sui super profitti delle multinazionali, o anche pensare che la cifra di 3000 euro sia progressivamente ridotta per i redditi più alti, fino ad essere azzerata, per esempio per i redditi superiori a 50.000/60.000 euro.
Al di là delle cifre (date qui per puro esempio), ciò che conta è l’idea guida, per cui la lotta all’inflazione, da lotta puramente difensiva può trasformarsi (almeno in linea ipotetica e dati i giusti rapporti di forza da creare) da momento puramente difensivo a battaglia d’avanguardia per una radicale redistribuzione della ricchezza a favore dei lavoratori e dei ceti più poveri.