Il Kosovo è tornato al centro dell’attenzione internazionale, a partire dallo scorso primo novembre, con una gravissima escalation di tensione a seguito della controversa decisione delle autorità kosovare di non consentire l’ingresso nella regione alle auto con targa serba, limitando così la libertà di movimento dei serbi del Kosovo. Dopo diverse pressioni internazionali, nel contesto di uno scenario di tensioni e proteste, che hanno ora come protagonisti non solo opinione pubblica e società civile, ma anche autorità pubbliche e istituzionali delle comunità serbe del Kosovo, l’autogoverno kosovaro ha deciso di posticipare l’implementazione della decisione riguardante l’obbligo di sostituire le targhe serbe con le controverse targhe della “Repubblica del Kosovo”. La decisione sarà dunque applicata con gradualità, fino al 21 aprile 2023, non cambiando tuttavia, nella sostanza, i termini della questione, dal momento che i conducenti dei veicoli con targa serba dapprima subiranno, a partire dal prossimo 21 novembre, una multa, poi, a partire dal 21 gennaio, saranno costretti ad apporre “targhe di prova”.
Sebbene apparentemente secondaria, la questione porta con sé implicazioni di estrema gravità, non solo in relazione alla questione della libertà di movimento, ma anche rispetto alla tenuta del processo negoziale incardinato nel cosiddetto «dialogo tra Belgrado e Prishtina» e ai diritti della minoranza serba in Kosovo. Il regime di validità delle targhe è infatti legato agli accordi approvati nel processo negoziale mediato dall’UE. Belgrado e Prishtina hanno firmato l’accordo sulla libertà di movimento nel 2011: tale accordo prevede che i cittadini possano attraversare la linea di transito amministrativa tra la Serbia centrale e il Kosovo con una semplice carta d’identità e un documento di «ingresso/uscita» rilasciato al punto di transito; che i cittadini di ciascuna parte acquistino un’assicurazione del veicolo per viaggiare nel territorio dell’altra parte; che le patenti di guida siano reciprocamente accettate; che la validità delle targhe KS sia prorogata per un periodo iniziale di cinque anni e le targhe RKS siano sostituite con quelle temporanee all’ingresso in territorio serbo. Nel 2016 è stato poi introdotto un «regime degli adesivi» con cui coprire le diciture delle targhe non riconosciute, appunto, con adesivi.
Grave crisi politico-istituzionale
La protesta, come accennato, ha portato anche a una vera e propria crisi politico-istituzionale nella regione: i serbi hanno infatti rassegnato le dimissioni dalle istituzioni dei quattro comuni del Kosovo del Nord a maggioranza serba (Leposavić, Zvečan, Zubin Potok e Kosovska Mitrovica); le dimissioni sono arrivate dopo un incontro organizzato, a Zvečan, dal principale partito serbo del Kosovo, la Srpska Lista. A questo punto si è giunti, due giorni dopo la sospensione del direttore regionale della polizia del Kosovo del Nord, Nenad Djurić, per aver dichiarato l’intenzione di resistere agli ordini delle autorità kosovare di Prishtina. Si è tenuta inoltre una protesta di massa a Kosovska Mitrovica, la città principale abitata a maggioranza dai Serbi del Kosovo, e si sono registrate ulteriori dimissioni, anche da parte di personale della polizia. Nel corso di queste iniziative, peraltro, diversi agenti di polizia si sono simbolicamente tolti le divise, in segno di disobbedienza e di protesta.
Alludendo a un tentativo, da parte della Serbia, di destabilizzazione del Kosovo, il primo ministro dell’autogoverno kosovaro, Albin Kurti ha affermato, nel corso della giornata di domenica, che il tentativo «non avrà successo perché il nostro Stato è forte perché democratico e allineato con la UE, gli Stati Uniti e la NATO». «È possibile che non intendano impegnarsi in modo costruttivo nel dialogo e abbiano deciso di scegliere questa strada. Ma saranno presi in considerazione dalle strutture illegali, non dai cittadini di etnia serba del nostro Paese». A proposito delle questioni di giustizia internazionale, il Kosovo, la cui posizione internazionale è disciplinata dalla Risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di Sicurezza e dal parere della CIG del 22 luglio 2010, non è uno Stato riconosciuto dalla comunità internazionale in quanto tale e, oltre a non essere riconosciuto, insieme con la Serbia, da Russia e Cina, non è riconosciuto neanche da cinque Paesi UE, quali Spagna, Romania, Slovacchia, Grecia e Cipro.
Nello svolgimento delle proteste, il presidente della Srpska Lista, Goran Rakić, ha sottolineato che i serbi stanno lasciando tutte le istituzioni politiche, a partire dal parlamento kosovaro, così come i quattro comuni del Kosovo del Nord, nonché la magistratura, la polizia e la pubblica amministrazione. Come è stato annunciato, tali decisioni saranno mantenute fino a quando non sarà ritirata la decisione unilaterale sulle targhe e non sarà avviato il processo di costituzione della Comunità dei Comuni serbi, il punto centrale degli accordi di Bruxelles, già approvati da entrambe le parti, la cui implementazione è stata tuttavia bloccata dalle autorità dell’autogoverno kosovaro.
La NATO pronta a intervenire
Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha respinto le affermazioni secondo cui i serbi del Kosovo del Nord avrebbero lasciato le istituzioni «per ordine di Belgrado» aggiungendo tuttavia che «se pensano che gli albanesi del Kosovo verranno a organizzare la vita nel Kosovo del Nord – e non hanno il diritto di farlo, né secondo l’accordo di Bruxelles né secondo la volontà del popolo – temo che ciò porterà a un disastro». La tensione resta alta, con una minaccia di escalation che rischia di portare alla destabilizzazione della regione. Il vice segretario generale della NATO Mircea Geoană ha affermato che la KFOR è pronta a intervenire se la stabilità sarà minacciata e ha invitato Belgrado e Prishtina a «prevenire l’escalation».