Mancano pochi giorni ai Mondiali di calcio in Qatar, un evento per la cui organizzazione sono stati messi in atto in questi anni discriminazioni e sfruttamenti a danno dei quasi 40mila migranti che nell’emirato hanno realizzando 7 stadi, un nuovo aeroporto, una nuova metropolitana, nuove strade e quasi 100 alberghi. Lavoratori che spesso hanno pagato con con la propria pelle, lavorando e vivendo in condizioni molto dure e con temperature estive superiori ai 42 gradi. Chi sa se qualcuno il prossimo 20 novembre al fischio d’inizio della partita inaugurale del torneo si ricorderà di questi sconosciuti lavoratori che hanno perso la vita per apparecchiare lo spettacolo: secondo un’inchiesta del Guardian del febbraio 2021, in Qatar sarebbero morti ben 6500 lavoratori dal 2 dicembre 2010, anno in cui il piccolo e ricco stato della penisola araba ottenne l’assegnazione dell’evento sportivo. Un Paese, il Qatar, non estraneo neppure alle discriminazioni. L’associazione internazionale Stonewall quest’anno, per la campagna annuale “Rainbow laces” contro la discriminazione e la persecuzione delle persone LGBTQ+ (dal 19 al 31 ottobre), ha infatti richiamato l’attenzione proprio sui Mondiali di calcio in Qatar, ove le relazioni omosessuali tra uomini sono perseguite per legge, così come il sesso fuori dal matrimonio.
Ma le discriminazioni nel mondo dello sport non mancano neppure da noi. Discriminazioni di genere (ad esempio, nei confronti delle donne) o riferite all’orientamento sessuale (nei confronti di atleti omosessuali); discriminazioni razziali (nei confronti -per esempio-degli sportivi stranieri); discriminazioni territoriali (nel caso, ad esempio, di discriminazioni tra atleti del nord e del sud Italia). Discriminazioni che si evidenziano in varie forme: con insulti, con atti di violenza, con soprusi. Qualche giorno fa è stato presentato a Roma il rapporto “Le discriminazioni nel mondo dello sport”, frutto della collaborazione tra Unar, UISP APS e Lunaria, nell’ambito dell’Osservatorio Nazionale contro le Discriminazioni nello sport, nato nel 2020 con l’obiettivo di monitorare le discriminazioni in ambito sportivo, dedicando una particolare attenzione allo sport di base, e promuovere attività di sensibilizzazione per prevenirle. Il rapporto dell’Osservatorio raccoglie i risultati di un’attività di monitoraggio condotta tra il giugno 2021 e il giugno 2022, grazie al lavoro congiunto di dieci antenne territoriali di UISP, l’osservatorio di Cronache di Ordinario Razzismo curato da Lunaria e il servizio antidiscriminazioni gestito da Unar. L’obiettivo è stato quello di far emergere le discriminazioni in ambito sportivo, anche quelle che spesso rimangono sottotraccia. E’ stato ideato e testato un nuovo sistema di monitoraggio e di archiviazione dei casi di discriminazione in ambito sportivo, tenendo conto delle esperienze e dei sistemi di monitoraggio e di classificazione dei tre enti coinvolti. La formazione degli operatori locali UISP ha preceduto la raccolta dei dati e la loro elaborazione.
Complessivamente sono stati rilevati e analizzati 211 casi, classificati in discriminazioni, violenze fisiche, violenze verbali e danni alle cose. Gran parte delle discriminazioni tendono a rimanere nell’invisibilità e i curatori del rapporto evidenziano il carattere sperimentale del lavoro svolto, condotto in una fase in cui le attività sportive di base sono state ancora fortemente condizionate dall’evoluzione della pandemia da Covid 19. I moventi più ricorrenti delle discriminazioni documentate fanno riferimento alle origini nazionali o ‘etniche’ (40,3 %) e ai tratti somatici delle vittime (37,9%). Tra gli altri moventi rilevati: il genere (10%), lo stato di abilità (3,8%), l’appartenenza religiosa e l’orientamento sessuale (1,4%). Per quanto riguarda gli autori delle discriminazioni, è emersa la prevalenza di gruppi di tifosi (36,5%), giocatori (31,8%), altri (10%), dirigenti sportivi (9,5%). Rispetto alle denunce delle discriminazioni subite, va detto che il 20% ha deciso di non denunciare, il 66% ha denunciato alle autorità competenti, il 14% ha deciso di denunciare pubblicamente l’accaduto.
Il Rapporto avanza alcuni suggerimenti di lavoro, proponendo: di introdurre una sorta di “obbligo” di segnalazione delle discriminazioni all’UNAR da parte degli operatori sportivi, di sviluppare iniziative culturali e sportive contro le discriminazioni, di adottare una riforma della legislazione sulla cittadinanza e delle norme di diritto sportivo che escludono gli atleti e le atlete privi di cittadinanza italiana dalle competizioni internazionali, di promuovere ampie campagne di sensibilizzazione che coinvolgano il mondo dell’informazione e della scuola: https://www.unar.it/portale/documents/20125/0/Rapporto+UNAR+-+OSSERVATORIO+SPORT.pdf/e7756055-9081-4e7c-9d94-946bd27a28e6?t=1666283300263 .