Continuare a evocare lo spavento che ci provoca il neo-fascismo interpretato da Fratelli d’Italia, da domenica scorsa prima forza politica del paese, rischia di inverarlo. Poiché, ritengo, non possano essere riproposte letture che appiattiscono il presente sul passato né si possa omettere che il neoliberismo ha significativamente modificato i rapporti tra politica ed economia, dunque ha stravolto i tratti della gestione del potere, delle catene del comando e degli “equilibri” tra le parti.

Ma è importante soprattutto provare a dire qualche parola sul ruolo rivestito da Giorgia Meloni, la leader di questo partito di fratelli e sui rapporti tra donne e destra nonché su certi equivoci che rischiano di crearsi anche nel femminismo. Si può affermare, infatti, che la destra abbia raggiunto, in questi giorni, una sorta di culmine insopportabile nell’autovalorizzazione di sé come tramite privilegiato della ascesa delle donne al potere.

Credo anche, e certamente mi preoccupa di più, che il femminismo rischi di sbandare facendosi confondere da tali retoriche che altro non sono che provocazioni connesse a sirene emancipazioniste e specialmente a esaltazioni individualiste, incarnazioni del potere personale e delle capacità uniche “della donna forte”, rievocazione en travesti dell’“uomo forte”, che escludono “le altre” e cancellano ogni idea e pratica di politica collettiva. Discorsi, dunque, che rischiano, a mio avviso, di annullare il patrimonio alternativo della politica delle donne. Vengono al pettine ataviche problematiche interne ai femminismi. Visioni che dividono, proprio mentre avremmo bisogno di uno sguardo comune. Come in un ritorno a ritroso mi ritrovo a ricordare quando, anni fa, si notò il lato oscuro della femminilizzazione del lavoro, cioè lo sfruttamento di caratteristiche femminili, che altro non era se non l’estrema forma della precarizzazione esistenziale. Qualcuna preferì sposare un’enfasi di genere che si tradusse in aspettative distorte rispetto a un processo che non ha consentito affatto di esprimere, nel mondo del lavoro, energie e potenzialità femminili differenti, ma le ha imbrigliate in modelli estrattivi workfaristici.

Robin Morgan ne Il demone amante ribadisce che la donna è da sempre profuga: “Per secoli la destra ha accusato le donne di essere pericolosamente radicali mentre la sinistra le ha tacciate di pericoloso conservatorismo”. “La subrealtà patriarcale che le donne vivono è già di per sé una terza politica. La trasformazione che cerchiamo richiede che entriamo nella storia a modo nostro e che, con audacia, ci collochiamo al centro”.

Se non c’è una visione “delle storia a modo nostro” e della propria parte, ma si è solo portavoce di interessi, logiche e ordini patriarcali che soggetti imprevisti si è? Come si può sostenere che una donna al potere sia destabilizzante, che la sua scalata sia un risultato ammirevole, anche qualora essa impersoni interamente l’apparato di pensiero e tutta la simbologia dell’universo valoriale maschile occidentale riferito al femminile? Una donna, madre, cristiana, che si muove in una comunità immaginata eteronormativa per consolidare il sentimento nazionale e probabili politiche razziste e sessiste.

Che Giorgia Meloni sia anche altro, che abbia alle spalle una storia da militante e da protagonista che è parte (forse non abbastanza consapevole) di lei  e che ciò non vada ignorato è già stato egregiamente scritto. Tuttavia bisogna per forza aggiungere che il ricorso al sempre comodo maternage delle istituzioni o il camuffamento donnesco delle medesime, in certi passaggi bui della storia umana, è particolarmente utile, prevedibile, riassorbibile, manovrabile. Potremmo sostenere che Margaret Thatcher abbia rappresentato un modello diverso, nel momento in cui la sua presenza non è bastata a garantire neppure il consolidarsi di un’emancipazione (concetto già assai problematico) diffusa per le sue simili ma esattamente il contrario? Politiche selettive, dispositivi di precarietà, di espulsione che hanno penalizzato amaramente le donne insieme a tutte le classi lavoratrici inglesi. Vogliamo ricordare la figura di Katie, nel film di Ken Loach, Io, Daniel Blake? Una donna che fa le pulizie e non mangia per risparmiare e forse è costretta a scelte che non vorrebbe fare per poter andare avanti con i propri figli. Lei e Daniel Blake, rappresentazione eccellente degli effetti e degli strascichi, sulla carne e nei corpi, delle politiche thatcheriane. Ci ricordiamo di Thatcher in quanto donna o come espressione violenta di un capitalismo che punta ad allargare i gruppi  di consenso, donne e giovani, oppure omosessuali e immigrati, a seconda dei momenti, con l’obiettivo unico e supremo della propria conservazione? Se non solo non si vede, anzi addirittura si nega, la propria parte, avvallando discriminazioni e suprematismi, si diventa esclusivamente un tramite qualunque dell’ordine del discorso imposto dal potere maschile dominante.

Il neoliberismo cerca di includere le minoranze di genere e sessuali per favorire processi di soggettivazione che sostengano il mantenimento delle gerarchie e lo smobilitarsi di ogni istanza conflittuale. Eravamo finalmente arrivate a condividere alcuni snodi, cerchiamo di ricordarci di quanto detto e scritto a lungo riguardo i processi di pinkwashing o sul diversity management.

“All’interno di sistemi di potere e di relazione complessi e mutevoli ci mettiamo dalla parte della mentalità colonizzatrice oppure perseveriamo nella resistenza al fianco degli oppressi, pronte ad offrire il nostro modo di vedere, teorizzare, fare cultura in favore di quella tensione rivoluzionaria […] in cui la trasformazione sia possibile?”, si domanda bell hooks in Elogio del margine.

Vale la pena accennare che il ricorso ai pensieri e alle parole delle donne, a genealogie e lotte che evocano quel nuovo possibile che l’uomo non riesce più vedere, nella crisi totale dell’universo che ha costruito, non è significativo della trasformata sensibilità di molti autori maschi. Essi si mantengono autistici, conferma ulteriore dell’uso strumentale che viene, atavicamente, fatto del femminile. Siamo alla consueta “promessa di riconoscimento”, fatte salve condizioni eterodeterminate, che conferma il ragionamento fino a qui condotto.

In tutto questo “malessere del cuore che rende più reale la nostra passione”, mi pare che le giovani di NUDM che sono scese in piazza il 27 settembre nella giornata internazionale in difesa dell’aborto siano le sole ad avere le idee chiare: vada via, lontano, questa “sinistra” che non ci rappresenta ma grande deve essere la vigilanza rispetto ai danni di cui potrebbe essere portatrice la fratella d’Italia.

Bisogna, insomma, davvero ripensare e riconfigurare la mappa delle nostre resistenze.

 

Pubblicato anche su Effimera