Il più delle volte, alle richieste della gente i decisori pubblici non rispondono contestandone la sensatezza, ma con uno sconsolato sospiro di impotenza: “Sarebbe bello fare ciò che chiedete, ma non si può. Altrimenti…”. Che suona come una minaccia. Non si possono riconvertire le industrie che inquinano, altrimenti dove vanno a lavorare gli operai? Non si può istituire un reddito di sussistenza universale, altrimenti nessuno accetterebbe di svolgere i lavori che le aziende richiedono. Non si possono tagliare i ticket sanitari, i biglietti dei mezzi di trasporto, le spese per frequentare la scuola… altrimenti servirebbero più tasse e gli “investitori” scapperebbero all’estero. Non si possono concedere gratuitamente vaccini e medicine salvavita ai paesi in difficoltà, altrimenti nessuno farebbe più ricerca scientifica. Non si possono ridurre le spese militari, altrimenti chi ferma i nuovi Hitler alle porte di casa? Insomma, c’è sempre qualcosa o qualcuno al disopra e più potente della nostra volontà che impedisce di fare le cose buone e giuste. Non sono loro, i governi e i politici, a volere inquinare, mettere in difficoltà le persone indigenti, scatenare guerre… Per carità! Sono “le cose” che girano da sole in una certa maniera. E nessuno può fermarle, altrimenti: recessione, inflazione, disoccupazione, razionamenti e miseria.

E se fosse vero esattamente il contrario? Se le difficoltà che il sistema economico di mercato sta incontrando in ogni parte del mondo nel dare risposte alle esigenze e alle speranze delle popolazioni non dipendessero da malvagi fattori esterni incontrollabili, ma esattamente dalla sua stessa logica di funzionamento? Ecco una affascinate ipotesi su cui la politica potrebbe utilmente cimentarsi, prima che le crisi sistemiche in atto non si intreccino in una tempesta perfetta climatica, sociale, geopolitica e di civiltà. Per evitarla servirebbe ricorrere ad un “freno di emergenza” (come quello ipotizzato da Walter Benjamin, di fronte al nazismo) per interrompere il viaggio, apparentemente inevitabile, della locomotiva della storia universale verso una nuova catastrofe (Michael Löwy, La rivoluzione è il freno di emergenza, Ombre corte 2020).

In attesa che i partiti politici aprano i loro orizzonti programmatici sul destino del pianeta, da vent’anni i movimenti sociali altromondialisti – da Seattle 1999, per intenderci – hanno indicato nella globalizzazione neoliberista, nell’estrattivismo, nella competizione selvaggia tra imprese, aree geografiche e persino tra gli individui i “virus” di un modo sociale di produzione, distribuzione e consumo che genera più danni che benefici.

Una di queste correnti di pensiero ritiene che sia proprio l’ossessione moderna per la crescita economica (quella che si misura esclusivamente con il valore monetario delle merci vendute, il Pil) la ragione delle nostre sofferenze. Sfondati i limiti geo-bio-chimici dell’ecosistema planetario, i cicli vitali smettono di rigenerarsi. Tutto ciò mentre continua ad aumentare l’apporto richiesto di lavoro umano “necessario” a far funzionare la mega-macchina tecnoindustriale. C’è chi la chiama: società del burnout. Insomma, non dico la promessa della felicità e tantomeno quella della libertà dal bisogno, ma nemmeno quella di una esistenza dignitosa per tutti e tutte sembra essere mantenuta dal sistema socioeconomico e politico oggi esistente. La “mano invisibile” di Smith e, nel suo piccolo, il “pilota automatico” di Draghi hanno perso l’orientamento. Che fare? Un gruppo di ricercatori, attivisti di movimenti ecologisti, alcune associazioni dell’altraeconoma si sono dati appuntamento a Venezia a settembre (vedi qui sotto) per capire come poter iniziare a invertire la marcia seguendo l’idea di una società orientata alla decrescita.

Paolo Cacciari

 


 

DECRESCITA: SE NON ORA QUANDO? Dall’illusione della crescita verde ad una democrazia della terra.

L’incontro si terrà dal 7 al 9 settembre presso la sede dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia e proseguirà il 10 al Lido con il Venice Climate Camp organizzato dal Rise Up 4 Climate Justice e Fridays For Future.

L’incontro è promosso dalle associazioni e dai movimenti per la decrescita e l’economia solidale.

Con il patrocinio delle università di Venezia e di Udine e del Support Group of the International Conferences on Degrowth for Ecological Sustainability and Social Equity. Molte le associazioni partner tra cui Laudato si’ di Milano, Tilt, Bilanci di Giustizia, Co-Energia.

L’incontro si svolgerà attorno a quattro plenarie a cui parteciperanno in presenza Vandana Shiva, Amaia Perez Orozco, Antonia De Vita, Riccardo Mastini, Jean Louis Aillon, Rocco Altieri, Manlio Masucci, Marco Bersani, Mario Pansera, Luigi Pellizzoni, Viviana Asara, Marco Deriu e, da remoto, Silvi Federici, Timothée Parrique, Serge Latouche, Helena Norberg-Hodge. La discussione si svilupperà in parallelo su quindici tavoli di discussione preparati da tracce di documenti di base, frutto di un lavoro collegiale, già disponibili sul sito: www.venezia2022.it. La partecipazione è per iscrizione fino a 250 posti disponibili.

Per informazioni:

 www.venezia2022.it; info@venezia2022.it