“Alcune sevizie e torture riservate ai bambini indigeni canadesi le ho trovate praticamente identiche a quelle vissute personalmente sulla mia pelle.”
Nel suo viaggio apostolico in Canada, che egli stesso ha definito “penitenziale”, il Papa ha finalmente risposto alle sollecitazioni di molti esponenti delle First Nation, che gli chiedevano di portare direttamente le sue scuse alle famiglie delle vittime indigene internate, abusate e decedute, spesso in maniera cruenta, nelle residential school cattoliche canadesi.
“Chiedo umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene” ha detto il pontefice, aggiungendo che “le scuse non sono un punto di arrivo, ma costituiscono solo il primo passo, il punto di partenza per condurre una seria ricerca della verità sul passato e aiutare i sopravvissuti delle scuole residenziali a intraprendere percorsi di guarigione dai traumi subiti.
Parole che suonano amare e sincere, pronunciate dal capo di una Chiesa da sempre insincera fino al midollo, di cui comunque è sempre bene non fidarsi troppo. Nel ripido, faticoso percorso di riconciliazione, rispetto alle scuse e all’auspicato perdono, non tutte le vittime sono però disposte a concederlo, almeno se alle scuse teoriche non seguiranno azioni concrete e coerenti da parte della Santa Sede.
Se i crimini più orrendi ci sono stati e sono stati pubblicamente ammessi, ciò significa che esistono anche i criminali (sia mandanti sia esecutori) che li hanno compiuti e se quei lager avevano dei registri, quei registri devono saltar fuori e messi a disposizione delle autorità giudiziarie e dei media. Quindi è necessario sapere nomi e cognomi di chi ha gestito quelle scuole, così come è necessario sapere quanti bambini indigeni sono entrati e quanti sono usciti vivi dagli istituti religiosi. Poi andranno contati tutti quelli che, tra gli oltre 150mila internati, non risulteranno nelle carte. Quelli che mancheranno all’appello bisognerà considerarli come vittime uccise e fatte sparire da quel sistema criminale.
“Il Vaticano non può nascondere il genocidio”
Le scuole residenziali religiose hanno però una doppia responsabilità. C’è un prima, ma anche un dopo che consegue alle politiche di assimilazione forzata delle popolazioni indigene. I traumi delle vittime continuano a manifestarsi anche attraverso le generazioni successive e le ferite non curate non rimarginano, semplicemente vanno in putrefazione. È come una cancrena che continua a colpire intere comunità native, vittime anche di un neo-razzismo che le disprezza, giudicandole scarti della società, persino parassiti della democratica e generosa nazione canadese.
Una nazione che però dimentica di essere la responsabile della loro miseria e malessere sociale. Dimentica che su quelli che considera “scarti” ci ha speculato e che, come ogni altra potenza coloniale, li ha sterminati e spossessati delle loro terre, li ha rinchiusi nelle Riserve come prigionieri di guerra, li ha inquinati coi suoi oleodotti, li ha avvelenati col suo alcol e le sue droghe, li ha discriminati con le sue leggi razziali, li ha ingannati con le sue religioni e i suoi modelli di sviluppo, imponendo loro una civilizzazione che è costata lo scalpo della loro storia e dei loro retaggi.
Persino Papa Francesco ha ben chiaro tutto questo e l’ha ammesso, affermando: “È necessario ricordare come le politiche di assimilazione e di affrancamento, che comprendevano anche il sistema delle scuole residenziali, siano state devastanti, emarginando sistematicamente i popoli indigeni. Attraverso il sistema delle scuole residenziali le vostre lingue e culture sono state denigrate e soppresse, i bambini hanno subito abusi fisici e verbali, psicologici e spirituali. Chiedo perdono per i modi in cui molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni. Sono addolorato.”
Nel reportage sulle residential school intitolato Purgatorio Canada, firmato da Raffaele Manca e Irene Sicurella, andato in onda su Rai3 proprio durante la visita del Papa in Canada, è emersa nelle sue enormi proporzioni tutta la tragedia del genocidio canadese, dove a un passato negato e a un presente calpestato, si aggiunge anche un futuro negato per le nuove generazioni indigene. Molti degli abusi inflitti ai bambini nelle residential school visti nel documentario non erano dissimili da quelli regolarmente attuati in altri collegi e orfanotrofi religiosi in altre parti del mondo, anche quelli italiani, incluso l’orfanotrofio Mater Dei di Castelgandolfo, dove persino il sottoscritto che sta scrivendo, cioè io stesso, sono stato rinchiuso, assieme a mia sorella maggiore, per sei anni (dai tre ai nove anni), dopo la morte di mio padre.
Lia e Marco nell’orfanotrofio Mater Dei di Castelgandolfo.
La cosa inquietante è stata vedere che alcune sevizie e torture riservate ai bambini indigeni le ho trovate praticamente identiche a quelle vissute personalmente sulla mia pelle, come le percosse davanti agli altri bambini, dopo essere stati denudati, per umiliarti ancor più. Oppure come essere costretti a mangiare cibi nauseabondi, compresi quelli che vomitavi per il disgusto. Tutt’oggi quei traumi mi impediscono di mangiare qualunque tipo di pesce, dopo essere stato sistematicamente obbligato a mangiare palombo lesso vomitato. Poi, oltre a violenze che lasciavano segni e lividi, anche altre insopportabili umiliazioni, come quando venivi messo alla gogna se facevi pipì a letto e ti facevano fare il giro del dormitorio con in testa il lenzuolo inzuppato delle tue urine.
Per non parlare del terrore del diavolo che ti veniva inculcato. Altro che percorso di fede, in realtà si trattava di un percorso di paura che ti faceva temere di finire tra le fiamme dell’inferno, esattamente come testimoniato da un ex “ospite” nativo delle scuole residenziali, nel reportage Purgatorio Canada. Tutte queste sevizie, alcune delle quali inenarrabili, facevano parte di un menù disumano e sistemico che la Chiesa ha inflitto per troppo tempo a troppi bambini nel mondo. Se poi questi bambini, oltre a essere poveri erano anche indigeni, allora potevi persino permetterti di ammazzarli senza incorrere in problemi giudiziari.
In ogni caso, penso che sia buono e giusto credere alla sincerità del dolore espresso da Papa Francesco nel suo viaggio penitenziale, ma forse sarebbe il caso che questo stesso dolore venisse provato anche da tutti i vertici vaticani, nonché dai vertici politici, economici, militari, giudiziari, mediatici, medici e da tutta la società civile canadese, cioè da tutti coloro che continuano a chiamarsi fuori dalle responsabilità collettive di una nazione, coloro che si credono o si sentono estranei al male procurato. Senza una vera elaborazione di questo dolore da parte di tutta la società civile, difficilmente il Canada e la Chiesa cattolica potranno auspicare un percorso di guarigione e, di conseguenza, di una vera riconciliazione con le nazioni indiane.