Alla notizia di quattro esecuzioni portate a termine dalle autorità militari di Myanmar, le prime dalla fine degli anni Ottanta, Erwin van der Borght, direttore regionale di Amnesty International, ha rilasciato la seguente dichiarazione:
“Queste esecuzioni, che equivalgono a una privazione arbitraria della vita, sono un ulteriore esempio dell’atroce situazione dei diritti umani in Myanmar.
I quattro uomini erano stati condannati da un tribunale militare in seguito a processi segreti e profondamente iniqui.
Si ritiene che più di 100 persone si trovino nel braccio della morte dopo condanne emesse in procedimenti simili, e per questo la comunità internazionale deve agire immediatamente”.
“Ormai da più di un anno le autorità militari di Myanmar portano avanti esecuzioni extragiudiziali, torture e tutta una serie di violazioni dei diritti umani.
I militari continueranno a schiacciare la vita delle persone, se non saranno chiamati a rispondere delle proprie azioni”.
“In un momento in cui sono sempre di più i paesi che adottano misure per abolire la pena di morte, la ripresa alle esecuzioni dopo più di tre decenni non solo è in contrasto con la tendenza globale ma è anche contraria all’obiettivo dell’abolizione sancito dal diritto e dagli standard internazionali dei diritti umani.
L’isolamento di Myanmar non potrebbe essere più evidente.
Esortiamo le autorità a stabilire immediatamente una moratoria sulle esecuzioni come primo cruciale passo”.
La notizia delle quattro esecuzioni è stata data dall’organo di stampa statale di Myanmar, Global New Light.
Phyo Zeya Thaw, ex membro della Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, e il noto attivista per la democrazia Kyaw Min Yu, conosciuto anche come Ko Jimmy, erano stati condannati a morte da un tribunale militare a gennaio, per reati riguardanti esplosivi, attentati e finanziamento del terrorismo ai sensi della legge antiterrorismo, accuse che Amnesty International ritiene politicamente motivate.
Gli altri due uomini, Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw, erano stati condannati per il presunto omicidio di una donna ritenuta informatrice delle forze armate a Hlaing Tharyar a Yangon.
I procedimenti, di fronte a tribunali sotto il controllo militare, si sono tenuti in segreto e sono stati profondamente iniqui.
In seguito all’istituzione della legge marziale all’inizio del 2021, l’autorità di processare i civili è stata trasferita a tribunali militari speciali o a quelli già esistenti, nei quali le persone vengono processate attraverso procedimenti sommari che non prevedono il diritto di appello.
Questi tribunali sovraintendono a un’ampia gamma di reati compresi quelli punibili con la pena di morte.
Secondo il diritto e gli standard internazionali, le esecuzioni che seguono un processo iniquo violano il divieto di privazione arbitraria della vita, nonché il divieto assoluto di tortura e altre punizioni crudeli, inumane o degradanti.
L’ultima esecuzione di cui si aveva notizia in Myanmar risaliva alla fine degli anni Ottanta. Dal colpo di stato militare del febbraio 2021, Amnesty International ha registrato un aumento allarmante del ricorso alla pena di morte nel paese, dove è diventato uno strumento nelle mani dei militari nella incessante persecuzione, intimidazione e minaccia nei confronti di chiunque osi sfidare le autorità.
Amnesty International si oppone incondizionatamente alle pena di morte in tutti i casi e in qualsiasi circostanza. Più di due terzi dei paesi del mondo hanno abolito questa punizione nella legge o nella pratica.