Isis. Lo stato del terrore è un saggio molto scorrevole e istruttivo di Loretta Napoleoni (Feltrinelli, 2014, 137 pagine, euro 13)
Loretta Napoleoni ritiene che la causa principale della nascita dello Stato Islamico risale “allo straordinario evento politico che i salafiti considerano il supremo tradimento: l’accettazione, da parte dei leader arabi, di Israele come potenza politica su una terra musulmana: l’antico territorio del Califfato”. I salafiti radicali vogliono “scatenare una jihad rivoluzionaria nell’intero mondo musulmano per espellerne i governi filo-occidentali”. Il fine ultimo è “la realizzazione del moderno Califfato, uno stato musulmano ideale che trascende ogni cosa, anche il benessere personale”. I principali leader voglio ricreare l’età dell’oro dell’Islam e risultano molto preparati a livello tecnologico, diversamente dai talebani che si limitavano ai fucili e al sapere delle scuole coraniche.
In effetti il salafismo originario non era antioccidentale. Anzi, “riconosceva la superiorità socioeconomica e politica degli stati parlamentari europei… Il salafismo dunque ha sempre mirato a modernizzare il mondo arabo, identificando nell’Impero Ottomano la causa principale della sua incapacità a svilupparsi… Per superare l’ostacolo, la dottrina salafita esortava tutti i musulmani a tornare alla purezza della religione, alle origini dell’Islam e agli insegnamenti” di Maometto.
Ma la dottrina religiosa e l’accusa di apostasia, cioè l’abbandono della fede e della comunità musulmana è stata usata dai sunniti e dagli sciiti “per escludersi a vicenda dal potere” . Il salafismo è una scuola di pensiero sunnita, più o meno fondamentalista a seconda dei casi. Gli attuali conflitti in Medio Oriente ricordano le grandi e lunghe guerre europee tra cattolici e protestanti.
Quindi la guerra di genocidio dei salafiti nei confronti degli sciiti è principalmente “una tattica politica messa in atto da una leadership altamente pragmatica. A differenza dei talebani e dei nazisti, l’Isis mostra flessibilità: chi è disposto a convertirsi è il benvenuto nel nuovo stato; chi è in grado di pagare la jizyah, una tassa legata all’eresia, può andarsene liberamente” (p. 103). E l’eliminazione degli sciti libera molte “risorse da offrire ai combattenti come bottino di guerra”.
Comunque le risorse locali in molti casi non bastano e quando nel 2010 il leader “al Baghdadi si è messo alla ricerca di denari, si sono fatti avanti gli emissari del Kuwait, del Qatar e dell’Arabia Saudita, fornendo indirettamente al suo gruppo anche accesso all’addestramento nell’uso di attrezzature militari occidentali” (cosa che non era stata possibile per Arafat e l’Olp). Del resto i rapimenti e i riscatti possono essere utilizzati per nascondere il ruolo di finanziatori di alcuni stati.
In molti casi sono stati depredati gli aiuti umanitari e le risorse locali sono state condivise con le tribù sunnite locali. Così “la privatizzazione del terrorismo offre all’Isis gli strumenti per assicurarsi la fedeltà dei suoi combattenti. In altre parole al Baghdadi ha perseguito l’indipendenza finanziaria quale vaccino contro la corruzione delle sue forze” (l’Olp e quasi tutti i regimi arabi sono stati rovinati dalla corruzione).
Però gli jiadisti non sono dei veri mercenari in cerca della paga, poiché “lo Stato Islamico paga i suoi combattenti meno di quanto guadagna un salariato civile in Siria o in Iraq”. Di solito la paga mensile di un soldato si aggira sui 41 dollari al mese, mentre un muratore ne può guadagnare 150. Quindi i militanti dello Stato Islamico sono molto “motivati ideologicamente al punto che gli incentivi economici miranti ad arrestare il flusso di combattenti difficilmente potranno avere un qualche impatto” (Hannah Alam). Esistono inoltre i leader civili dello Stato Islamico e di solito gestiscono i servizi sociali e proteggono le popolazioni locali dai saccheggi dei militari.
Comunque “il governatorato di Raqqa in Siria, dove ha sede il quartier generale del Califfato, offre diversi esempi di opere pubbliche finanziate con i profitti generati dalla privatizzazione del terrorismo, come il completamento di un nuovo suk, il mercato pubblico, assai gradito alla popolazione locale”. In altri casi i conquistatori hanno investito molte energie e molto denaro nel miglioramento della rete elettrica e “oggi la bandiera nera e dorata dell’Isis sventola su un territorio, più vasto del Regno Unito o del Texas, che va dalla sponda mediterranea della Siria fino al cuore dell’Iraq: l’area tribale sunnita”. Lo Stato Islamico ha ridisegnato i confini fissati in segreto nel 1916 con l’Accordo Sykes-Picot gestito dal Regno Unito e dalla Francia e accettato dalla Russia.
Naturalmente il disfacimento della struttura statale in Siria e in Iraq ha facilitato le cose allo Stato Islamico, che ha conquistato molti territori trasformandoli in “enclave premoderne”. Mary Kaldor ha affermato che la globalizzazione ha riportato la violenza dello stato di natura in alcune regioni. E negli stati dove scompaiono le basilari regole legate alla civiltà compare la guerra di tutti contro tutti, la violenza si allea con la morte e ogni vita diventa “dura, brutale e breve” (Thomas Hobbes).
Loretta Napoleoni (http://lorettanapoleoni.net/italiano) è economista, analista politica ed editorialista per varie testate italiane e straniere. Esperta di finanziamento di gruppi terroristici e riciclaggio di denaro, è consulente di molti enti internazionali e forze di sicurezza. Nel 2013 ha pubblicato “Democrazia vendesi”.
Nota statistica – Tutta l’industria legata alla paura e al terrore è in crescita esponenziale: negli Stati Uniti le società investigative e di consulenza erano 5, nel 2008 erano già diventate più di 40.000. E “La Guerra al terrorismo è la cosa migliore che potesse capitare alla criminalità organizzata… La verità è che la lotta alla criminalità è stata sacrificata in nome della Guerra al terrorismo! (investigatore anonimo dell’Europol). In effetti secondo un rapporto dell’Unione Europea del 2007, Londra è diventata la capitale europea del crimine, anche se è la città europea con il budget più alto dedicato alla lotta al terrorismo (I numeri del terrore, il Saggiatore, 2008).
Nota a cura della giornalista Francesca Borri (www.twitter.com/francescaborri) – “L’Isis non ha conquistato niente alle forze di Assad, si è impegnato in battaglia con i ribelli e altri gruppi jihadisti. La sua strategia è stata quella di attaccare la loro posizione per ritagliarsi una sua enclave” all’interno della Siria e “per questo l’Isis è apparso per molti siriani un occupante straniero” (La guerra dentro, Bompiani, 2014).
Nota mediatica – Il mondo globalizzato e multimediale è sempre affamato di eventi e informazioni: “il ciclo mediatico cerca immagini sempre più crude; da qui la sovrabbondanza di foto e video di brutali punizioni e torture caricate in formati che possono essere visti facilmente sugli apparecchi di telefonia mobile. Nella nostra voyeuristica società virtuale, quel che appare come una forma di sadismo confezionato in maniera attraente è diventato un grande spettacolo mediatico” (p. 18). Lo Stato Islamico gestisce in modo manageriale l’immagine dei combattenti in Siria e in Iraq, per incrementare l’affluenza dei fondamentalisti musulmani da tutto il mondo.