Corrono veloci le voci che accompagnano il lungo serpentone che si snoda intorno a Coltano, siamo 15.000/20.000. Lo scorso 2 giugno [ndr]  la straordinaria mobilitazione contro le basi militari “Né qui Né altrove”, ha inaugurato un nuovo movimento No War e battezzato una significativa convergenza: attivisti contro la guerra, pacifisti e antimilitaristi, ambientalisti, transfemministe, settori del mondo sindacale e del sindacalismo di base, realtà politiche e associazioni. Una sinergia che si è nutrita di singolarità e di gruppi, di piccole organizzazione e di strutture stabili, di esperienze di conflitto nuove e determinate, ma anche di storie vecchie e sedimentate.

I tamburi di lotta del GKN, gli striscioni della logistica del SI Cobas, gli slogan Di Non Una di Meno cantati a ritmo di “Rumore” della Carrà, le bandiere palestinesi, i simboli della pace e di Extinction Rebellion, il circolo Alex Langer, le innumerevole sigli di partiti come Potere al Popolo, Rifondazione, Pci, Pc, i Cobas, i Global, un signore che cammina davanti a me che porta la bandiera di Free Assange e quella della pace e quella della Palestina, la bandiera curda nel campo. Ma anche la quantità di giovani e non che si sono mobilitati aldilà di ogni sigla è importante. Difficile restituire la ricchezza delle sensazioni che si sono prodotte nell’incontro della eterogeneità dei corpi, dei visi, degli umori, delle innumerevoli storie che si sono incrociate. Questo mondo convergente ha dapprima consumato un frugale pasto sotto una pineta, in un accampamento educatamente ecocompatibile, in un format a metà tra una festa paesana e una versione vintage di una piccola Woodstock, e poi ha marciato ben sette chilometri sotto l’afa ed un sole feroce.

È da molto tempo che si ragiona sulla convergenza come processo di mobilitazione e di lavoro sindacale e politico. La drammatica contingenza della guerra del capitale militare, economica, politica e sociale, oggi rende sempre più chiara la necessità di uscire dalle contrapposizioni identitarie e agire. Insorgiamo, lo slogan della campagna GKN rende bene l’idea della improrogabile necessità di produrre una azione potente e radicale da contrapporre alla violenza in cui siamo immersi. Ed è a partire da una insorgenza singolare ancor prima che collettiva che si è chiamati a convergere. In una recente assemblea del GKN uno studente ha affermato: “Siamo talmente ossessionati dalla organizzazione, e dalle nostre organizzazioni che ci blocchiamo. La verità è che la convergenza è un atto di volontà che trascende noi stessi, la nostra particolare posizione soggettiva.” Ecco un primo elemento su cui appuntare la nostra riflessione. La convergenza è il risultato di un primo momento di cura del sé: solo dalla cura soggettiva può emergere un sano orientamento verso un fuori: da sé, dal piccolo gruppo, dalla autoreferenzialità, dalla propria organizzazione. Un primo momento di riconoscimento della propria ricchezza e della propria potenza soggettiva, ma anche contemporaneamente della propria vulnerabilità e interdipendenza: questa strutturale ambivalenza si pone come elemento costitutivo per aprire, a partire da sé qui e adesso, nuove coalizioni verso inediti scenari.

Aprirsi a questa convergenza è traduzione nell’azione: operare per una dimensione costituente della eterogeneità del soggetto contemporaneo (produttivo, conoscitivo, enunciativo). Siamo ben oltre la rottura del patto fordista dello stato-nazione legata al precedente ciclo di conflitti produttivi e riproduttivi: nella condizione di interregno drammatico nella quale viviamo la lotta di classe saprà risultare efficace solo a patto di comporsi come un “millepiedi”.

 

pubblicato anche su EURONOMADE