Le ultime vicende che hanno coinvolto i lavoratori della Alcoa e della Carbosulcis in Sardegna e dell’Ilva di Taranto meriterebbero di essere osservate anche da altri punti di vista oltre che da quelli ormai scontati di chi sta provando a gestire queste situazioni che rischiano di diventare drammatiche per migliaia di famiglie. Situazioni che appaiono impossibili da risolvere.
La storia dell’essere umano è sempre stata tempestata da situazioni difficili da cui sembrava impossibile uscire, fino a quando si è scoperto che bastava guardare i problemi da un altro punto di vista per trovare la soluzione.
In fondo chi sono i protagonisti di queste vicende, oltre ai lavoratori direttamente interessati? Le imprese, il governo e le organizzazioni sindacali. Poi, allargando lo sguardo, compaiono altre componenti solo apparentemente in secondo piano, come i partiti politici, l’unione europea con i suoi regolamenti, le banche.
Ebbene, nonostante ci siano tutti questi protagonisti, nessuno è in grado di proporre soluzioni che non abbiano conseguenze negative per il presente e il futuro dei lavoratori e dell’ambiente. Perché?
Perché questa montagna costituita da imprenditori, politici, sindacalisti, economisti e operatori finanziari è in grado partorire solo e soltanto topolini?
Probabilmente per una ragione alquanto semplice: perché c’è bisogno di altri punti di vista. Ma per avere un altro punto di vista è necessario liberarsi dai preconcetti, dai pregiudizi e soprattutto dagli interessi più o meno privati che restringono il campo visivo.
In altre parole, di fronte a problemi che appaiono impossibili da risolvere bisogna trascendere, andare oltre se stessi, oltre i propri interessi. Possiamo aspettarci questo tipo di atteggiamento dagli attuali imprenditori, politici, sindacalisti, economisti e operatori finanziari? Non siamo abituati a chiudere il futuro ad alcun essere umano, per cui non vogliamo escludere questa possibilità. Ma nel frattempo, migliaia di famiglia rischiano di trovarsi senza reddito e quindi non c’è più molto tempo da perdere.
Mentre stiamo scrivendo i lavoratori della Carbosulcis hanno terminato la loro protesta a quasi 400 metri sottoterra e tre operai dell’Alcoa sono saliti per protesta a 70 metri d’altezza su uno dei silos dell’impianto di Portovesme. Queste due forme di protesta sembrano allegoricamente suggerire che se si rimane sul solito e unico piano di confronto la soluzione non si troverà e che invece bisogna sperimentare altri livelli.
Altri livelli come quello della proprietà partecipata dei lavoratori.
Fino a quando, cioè, si rimarrà all’interno del plurisecolare schema che prevede la proprietà dei mezzi di produzione solo nelle mani di chi detiene il capitale, che diventa per forza di cose anche proprietario delle vite dei lavoratori e delle loro famiglie, non solo non troveranno soluzione situazioni critiche come quelle della Alcoa e della Carbosulcis in Sardegna e dell’Ilva di Taranto, ma se ne creeranno altre sempre più critiche.
In fondo l’Alcoa, per esempio, vuole chiudere gli impianti di Portovesme perché ne deve aprire altri in luoghi in cui la mano d’opera è meno costosa e ha meno diritti, non certo perché sta fallendo.
Ecco perché c’è bisogno che i lavoratori partecipino alla proprietà dell’azienda in cui lavorano. La compartecipazione dei lavoratori alla direzione dell’azienda è l’unico modo per far sì che il profitto derivante dal loro lavoro venga reinvestito il più possibile in termini di nuova occupazione e di riconversione necessaria a salvaguardare l’ambiente. Solo con la loro partecipazione diretta alla gestione dell’azienda i lavoratori possono garantire che il capitale non prenda la via della speculazione finanziaria, causa principale dell’attuale crisi economica.
Ecco quindi un altro punto di vista. Ecco quindi una concreta possibilità di soluzione della crisi attuale. Ecco una proposta che apparirà impossibile da realizzare solo a chi vuole rimanere ancorato ad un sistema di rapporti tra i fattori di produzione che ormai ha fatto il suo tempo e che non ha più nulla da dare, anzi sta solo creando danni sempre più gravi.
Purtroppo per i limiti descritti prima nulla possiamo aspettarci da chi vorrebbe governare questa crisi. Troppi sono i lacci soprattutto mentali dettati dalla memoria e dagli interessi del portafogli per sperare in un cambiamento di rotta che non venga direttamente da chi sta subendo le conseguenze di una crisi di cui non è responsabile. Gli imprenditori non hanno alcuna intenzione di condividere le loro proprietà, anche se fossero sull’orlo del fallimento; i maggiori partiti politici sono troppo impegnati a fare in modo da non perdere consenso; il governo è troppo impegnato a fare gli interessi di chi detiene il potere economico; i sindacati più grandi non sono più in grado di rappresentare i reali bisogni dei lavoratori e non hanno alcun interesse a dar loro maggiore potere decisionale.
Solo i lavoratori possono, se vogliono, dare una svolta agli eventi.
I lavoratori dell’Alcoa possono, se vogliono, impedire che gli impianti vengano chiusi e pretendere che d’ora in poi tutte le decisioni vengano prese con la loro diretta partecipazione, non mediata dai sindacati.
I lavoratori della Carbosulcis possono, se vogliono, decidere di non aspettare più che gli impegni presi dal governo vengano rispettati, ma decidere direttamente quale sarà il futuro della miniera.
I lavoratori dell’Ilva di Taranto possono, se vogliono, fare in modo da fermare subito le emissioni inquinanti e progettare direttamente la riconversione del capitale investito in attività produttive più rispettose della salute della popolazione e dell’ambiente.
In sintesi i lavoratori, se vogliono, possono cambiare punto di vista e non attendere più che siano gli altri a decidere delle loro vite. La lotta che vince veramente non è più solo per mantenere il posto di lavoro, ma per decidere direttamente su quale debba essere il destino del profitto derivante dal proprio lavoro. Se una parte di questo profitto viene usata per pagare le spese e gli stipendi, il resto che fine fa? La crisi attuale ci ha insegnato che il resto va soprattutto verso le speculazioni finanziarie, impedendo, per esempio, la creazione di altro lavoro e il continuo sviluppo di uno stato sociale degno di questo nome.
Non è tutto, ma solo questo già basterebbe per cambiare finalmente punto di vista.