di Ovidio Della Croce
VECCHIANO. Poco più di due anni fa l’Associazione La Voce del Serchio organizzò un incontro con Francesco Gesualdi, Francuccio per Don Milani, coordinatore del Centro nuovo modello di sviluppo (Vecchiano, via della Barra n. 32, www.cnms.it), sul tema del debito pubblico. Il titolo dell’incontro era: Perché il debito? Seguivano una serie di domande: Come si forma? A quanto ammonta? Perché siamo indebitati? Perché gli interessi? Ricordo che Gesualdi quella sera disse: “In nome del debito ci lasceranno in brache di tela”.
Francesco Gesualdi ha scritto un libro, Le catene del debito. E come possiamo spezzarle (Feltrinelli), che contiene una riflessione di grande onestà intellettuale sulla questione più urgente delle nostre democrazie. Forse qualcuno pensa che l’Italia possa rispettare il Fiscal compact (Patto di bilancio europeo che stabilisce la regola del pareggio di bilancio) con il secondo debito pubblico d’Europa dopo la Grecia?
Domenica 25 gennaio in Grecia si vota per eleggere il Presidente della Repubblica e il favorito è Alexis Tsipras, leader di Syriza, che ha nel suo programma due punti prioritari: la rinegoziazione del debito pubblico e la fine dell’austerità. La Grecia è vicina e, pur nelle differenze, potrebbe far da battistrada a prospettive che possono aprirsi anche in Italia.
Francuccio, così lo chiamiamo anche noi che consideriamo Don Milani uno degli intellettuali più importanti del Novecento, ha da sempre avuto come baricentro del suo lavoro la progettazione “di strategie economiche capaci di garantire a tutti la soddisfazione di bisogni alimentari”; proprio a lui, che da sempre ha unito la ricerca teorica all’azione senza mai trasformarsi in un politico, fu proposto di candidarsi per la lista L’Altra Europa con Tsipras, nella circoscrizione di centro, dove raccolse nove mila preferenze.
Alla vigilia del voto greco mi è venuto così naturale chiedere un’intervista a Francuccio Gesualdi, che ringrazio per la disponibilità, per la lucidità con cui ci ha aiutato a mettere a fuoco un ordine complesso di problemi e per il cammino che indica. Il prossimo 25 gennaio seguiremo le elezioni greche. Syriza nei sondaggi appare vincente. Speriamo.
Leggendo i giornali è evidente che i così detti mercati finanziari giudicano con orrore una eventuale vittoria di Tsipras alle elezioni greche. Nonostante questo Tsipras è in testa in tutti i sondaggi. Quali sono le ragioni del successo di Tsipras e di Syriza?
Syriza ha un forte consenso popolare perché si schiera dalla parte della dignità umana e dei diritti contro lo strozzinaggio della finanza. Giova ricordare che l’austerità imposta dalla Troika (Fondo monetario internazionale, Unione europea, Banca centrale europea) ha gettato il popolo greco nella disperazione. La disoccupazione è al 27%, quella giovanile addirittura al 52%. Il salario minimo legale è stato ridotto del 32% per i lavoratori con meno di 25 anni, e del 22% per tutti gli altri. Le pensioni sono state tagliate mediamente del 40%. Il numero di persone in povertà è passato dal 19% del 2009 al 23% nel 2013. La spesa ospedaliera è stata ridotta del 26% fra il 2009 e il 2011. Nello stesso periodo la mortalità infantile è cresciuta del 43%. Stanno tornando malattie come la malaria, mentre esplodono i casi di Aids e di tubercolosi come conseguenza della malnutrizione, del peggioramento delle condizioni igieniche e del collasso dei programmi di assistenza.
Syriza raccoglie consenso perché afferma ciò che le Nazioni Unite hanno sempre sostenuto e cioè che «I diritti fondamentali delle popolazioni residenti nei paesi indebitati, diritti come quelli all’alimentazione, all’alloggio, al vestiario, al lavoro, all’istruzione, alla sanità, a un ambiente salubre, non possono essere subordinati all’applicazione delle politiche di austerità e di riforme economiche legate al debito.»
Syriza raccoglie consenso perché afferma che il debito pubblico non può essere gestito facendo pagare il conto ai deboli, ma che bisogna uscirne attraverso tre strategie alternative: equità, solidarietà, sovranità monetaria. Equità intesa come fisco che fa pagare i più ricchi. Solidarietà intesa come maggiore condivisione europea che sappia sfociare in una parziale cancellazione del debito. Sovranità monetaria intesa come riforma della Banca Centrale europea affinché l’euro sia governato non in un’ottica di arricchimento delle banche, ma come strumento di piena occupazione e di sostegno ai governi e alle politiche sociali.
Uno dei punti centrali del programma di Syriza è l’insostenibilità del debito e la proposta della rinegoziazione radicale del debito pubblico. Questo punto è condiviso anche dall’Altra Europa, quali elementi in comune hanno la Grecia e l’Italia riguardo a questo problema?
Grecia e Italia sono accomunate da un grande debito pubblico in rapporto al Pil. La Grecia è al 170%, noi al 135%. In altre parole è per entrambi insostenibile, nel senso che non può essere ripagato. Lo sanno molto bene anche i padroni della finanza, che però perseguono la politica del “mungiamo finché si può”. Politica che si snoda lungo tre assi. Il primo: intascare più soldi possibile attraverso la riscossione degli interessi. Il secondo: mettere le mani a buon prezzo sui servizi pubblici e sui beni pubblici che lo stato privatizza per fare cassa. Il terzo: mettere i lavoratori a tappetino in nome della crescita invocata per affrontare meglio il debito.
Tutti sanno che la crescita oggi non è più possibile, per la saturazione dei mercati occidentali, per la competizione dei paesi emergenti, per il degrado del pianeta. Ma al sistema non interessa la verità. Al sistema interessa imbonire affinché la gente accetti supinamente il suo progetto che consiste nel totale smantellamento dell’economia pubblica per trasferire tutto nelle mani del mercato. Un progetto meglio noto come neoliberismo. Il popolo greco e quello italiano sono accomunati dall’interesse di trovare strade che li portino fuori dal debito evitando la rovina neoliberista.
Perché un’eventuale vittoria di Tsipras in Grecia spaventa così tanto, viste anche le dimensioni del suo debito nel complesso ridotte rispetto al Pil dell’eurozona? Quali conseguenze si temono? Perché il voto di Atene ci riguarda direttamente?
Da un punto di vista economico, la piccola Grecia non intimorisce nessuno. Con un debito pubblico di appena 315 miliardi di euro (il nostro è 2100 miliardi), per giunta detenuto per l’80% da governi europei e Fondo monetario internazionale, i mercarti se ne infischiano della Grecia. Ma la vittoria di Tsipras preoccuperebbe molto per il possibile contagio politico agli altri paesi europei. Un punto chiave di Syriza è la ristrutturazione del debito che significa sedersi al tavolo con i creditori per contrattare la cancellazione parziale di capitale e interessi. Se una richiesta del genere dovesse essere assunta anche dall’Italia, tremerebbero banche, assicurazioni e fondi di investimento nazionali ed esteri, che detengono la quasi totalità del nostro debito pubblico.
Ma l’effetto potrebbe essere mitigato se cambiasse la politica della Banca centrale europea. Per la verità l’economista francese Charles Wyplosz ha già presentato un progetto denominato PADRE che potrebbe permetterci di liberarci del debito senza grandi scossoni purché ci fosse la disponibilità della Banca centrale a coinvolgersi molto di più nella partita. La scelta, però, non dipende da Draghi, bensì dai governi dell’eurozona che dovrebbero spingere per un cambio dei trattati. La vittoria di Syriza potrebbe essere l’occasione buona per porre la questione in agenda, ma la Grecia da sola non può farcela. Se nessun altro sosterrà le sue posizioni, la ricatteranno fino a porla di fronte alla scelta: andarsene o sottomettersi ai diktat della Troika.
Renzi ha gestito il semestre italiano dicendo che il suo obiettivo era trasformare l’Europa. Per la verità grandi trasformazioni non se ne sono viste, ma l’appoggio all’eventuale vittoria di Syriza potrebbe essere la prova del nove per capire se fa sul serio o se è un bluff. In ogni caso, sarebbe imperdonabile se, come popolo della sinistra, dovessimo rimanere al ruolo di spettatori. Non solo perderemmo un’occasione d’oro per garantire anche a noi una via d’uscita indolore dal debito, ma ci condanneremmo a rimanere per sempre nell’Europa delle banche.
Quali sono gli altri punti centrali del programma che Tsipras presenta agli elettori greci?
Altri punti chiave del programma economico di Tsipras sono: la riforma fiscale per colpire i redditi e i patrimoni più alti, la lotta alla disoccupazione tramite investimenti pubblici orientati a risolvere i problemi di base della popolazione e avviare quel processo di conversione ecologica di cui abbiamo così tanto bisogno per risolvere i problemi ambientali, l’aumento di salari e pensioni di chi guadagna meno.
Ciò che invece non ha in programma è l’uscita dall’euro. Per la semplice ragione che la visione di Tsipras non è di stampo nazionalista, ma di classe. Non è interessato a risolvere il problema della Grecia dentro il solco della competizione come è quello a cui appartengono molti che vogliono tornare alle monete nazionali solo per poter svalutare e quindi vincere sugli altri tramite un recupero di competitività. Tsipras aspira a mettere tutti i lavoratori europei in una posizione di parità di diritti e di dignità salariale. Per questo non sostiene l’uscita dall’euro, ma una diversa gestione della moneta comune accompagnata da politiche di solidarietà fiscale, commerciale e di bilancio che aiutino a superare gli squilibri fra un’area geografica e l’altra.
Le elezioni in Grecia investono le politiche europee, che incidono sui singoli Stati. A primavera da noi ci saranno le elezioni regionali, cosa c’è che le accomuna?
Benché ogni livello geografico si contraddistingue dall’altro per le diverse tematiche in gioco, ciò che le accomuna è la visione politica. In Europa si tratta di affrontare il governo della moneta e del debito, a livello locale la sicurezza sociale, la gestione del territorio, l’occupazione, i rifiuti e molti altri temi ancora. Ma sia un livello che l’altro possono essere affrontati con la logica della sopraffazione, dell’individualismo, dell’avidità, dell’esclusione o con la logica del rispetto, della solidarietà, della sostenibilità, della partecipazione. Sarebbe importante che chi crede in quest’ultima forma di politica la facesse valere ad ogni livello, sapendo che la rivoluzione parte da noi, dalla capacità di avere la testa sempre ben piantata sulle spalle e non accettare mai posizioni altrui se prima non le abbiamo passate al vaglio del nostro pensiero e della nostra coscienza.