La giornata del 25 aprile si è inaugurata a Milano con iniziative in vari quartieri che furono teatro della Resistenza in quel biennio cruciale che si è poi concluso con la Liberazione – a Niguarda, al cimitero maggiore, a Crescenzago, al quartiere Stadera, dove si sono ricordati i tanti partigiani che hanno dato la loro vita per la libertà. Molta emozione in ogni evento, molta partecipazione attenta e sentita, molto meno “formale” che in altre occasioni.
Una giornata così intensa non poteva non concludersi con un momento di spettacolo e infatti è continuata fino a tarda sera con la manifestazione Partigiani in Ogni Quartiere che causa-pioggia è stata spostata all’ultimo momento alla MM2 di Famagosta. Tra le adesioni: Audrey Anpi, Collettivo Di Fabbrica GKN di Firenze, Mitoka Samba, Fridays For Future, Non Una Di Meno, Ottoni A Scoppio, Rita Pelusio, Renato Sarti e tanti altri, cartellone fittissimo per un 25 che quest’anno è stato davvero importante.
E in mezzo a questi due momenti una bellissima fiumana, un corteo enorme, straripante di bandiere, vociante di voci, slogan, messaggi anche (prevedibilmente) diversi, anzi dissonanti, persino conflittuali. Quello che è sfilato oggi a Milano per il 77° anniversario del 25 aprile, è stato un corteo incredibilmente partecipato e sentito, non solo per il fatto che (causa lockdown) non c’è stato modo di celebrare nelle scorse due scadenze, ma per i tanti e così diversi significati della parola Resistenza, non solo per noi italiani.
Corteo complessivamente pacifico, ma non privo di tensioni: per la decisione di far sfilare quasi alla testa del corteo le vituperate bandiere NATO e persino quelle a stelle a strisce, per fortuna non tante. “Oggi come sempre dalla parte giusta”, diceva lo striscione sorretto da un gruppo ‘atlantista’ D.o.C. Subito dopo, ecco la Brigata Ebraica, a fianco della comunità ucraina con le bandiere giallo/blu che ben conosciamo e striscioni che dicevano ‘Il putinismo non passerà’, oppure ‘Aiutiamo la resistenza ucraina / Liberazione dall’invasore russo’ e così via.
Di tutt’altro tenore, però parecchio dopo la marea delle bandiere arcobaleno che dicevano semplicemente Pace… Pace… e ancora e solo PACE… (e quindi quasi alla fine del corteo) gli striscioni che dicevano invece: ‘Fuori l’Italia dalla NATO, fuori la NATO dall’Ucraina’ o anche ‘Dallo Yemen alla Palestina, sionisti terroristi e NATO assassina’ o semplicemente ‘Letta e Draghi, servi della NATO’.
Per un attimo la difficile convivenza di visioni così diverse di uno stesso anniversario ha rischiato di precipitare in scontro, quando il segretario del PD Enrico Letta è comparso in carne e ossa: inevitabile cordone da parte delle forze dell’ordine intorno ai cosiddetti ‘antagonisti’. Per fortuna la tensione è subito scemata e il corteo è tornato a sfilare.
Foto di Andrea de Lotto, Annabella Coiro, Cristina Santoro e Rita Rombolotti
“Il 25 aprile non è una data su cui ci si può dividere perché è alla base della nostra democrazia” ha commentato il sindaco di Milano Beppe Sala inaugurando poco dopo gli interventi dal palco di una Piazza Duomo che da tempo non si vedeva così gremita. “È importante a partire da ciò che le nostre madri e i nostri padri hanno realizzato, culminando con la possibilità di definirci democrazia: la Festa della Liberazione dal nazismo e dal fascismo, impossibile dividerci su questo!” E collegandosi alle parole pronunciate nei giorni scorsi da Liliana Segre ha poi osservato quanto sia “difficile non pensare alla guerra in Ucraina in questa Festa della Liberazione. Un dibattito a volte aspro è in corso tra persone e organizzazioni in merito a cosa l’Italia possa fare per contribuire alla soluzione del conflitto scatenato da Vladimir Putin contro l’Ucraina. La mia è una posizione chiara: la libertà va difesa, è un valore assoluto e va difeso, senza cedimenti. Lo dico davanti a tutte e tutti voi: basta con l’ambiguità” ha dichiarato il sindaco Sala, riferendosi non solo al dibattito circa la legittimità di inviare armi alla resistenza ucraina, ma anche a “qualunque luogo che si definisca europeo e democratico… e poi magari si fa finanziare dall’autocrazia russa, attraverso mediatori ambigui.”
Sala ha poi richiamato l’attenzione su quell’altra, più che mai urgente, sebbene passata in secondo piano, liberazione “dalle ferite che stiamo imponendo al pianeta. Tutti noi dobbiamo essere partigiani di questa lotta di liberazione: dal consumo e dall’intossicazione del pianeta. E qui non serve essere italiani o europei. Non possiamo più permetterci di vivere questa competizione tra Stati che inevitabilmente porta alla guerra e che deve diventare invece cooperazione, collaborazione tra tutte le genti del mondo, per il solo progresso possibile che dev’essere per tutto il pianeta” ha concluso Sala, invitando la platea a riconoscersi nelle parole pronunciate tanto tempo fa da Adriano Olivetti, quando osò parlare di utopia: “‘Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande’… Riconosciamoci in queste parole. Viviamo i nostri sogni ad occhi aperti, costruiamo il mondo in cui crediamo. Uniti dai nostri valori, forti delle nostre differenze, solidali nelle nostre debolezze…” ha concluso Sala invitando poi a parlare Iryina Yarmolengo (ex consigliera comunale di Butcha, da cui è riuscita a fuggire prima del massacro) e Tetyana Bandelyuk, che da tempo vive e lavora in Italia.
“Sono qui, partigiana, con le mie uniche armi, che sono le mie parole” ha detto la prima, rievocando con l’incipit di ‘Bella Ciao’ quella mattina del 24 febbraio in cui la Russia ha invaso l’Ucraina. “Da quel momento non c’è stata più pace per nessuno in Europa (…) La mia città e Irpin sono state distrutte per il 76% e tutti siamo per la pace, ma io, noi, siamo qui oggi a chiedervi aiuto” ha reiterato più volte, sostanzialmente rinforzando la richiesta del maggior supporto possibile per “le forze ucraine, che hanno bisogno di strumenti a difesa dei loro confini”.
Sui temi del lavoro, della libertà dallo sfruttamento, della difesa della Costituzione a cominciare dall’Art 1 quando recita che “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” ha insistito l’intervento di Maurizio Landini. “Voglio ricordare qui oggi con forza che la Resistenza non è cominciata andando in montagna, ma con i grandi scioperi del marzo del 1943: è stata il frutto di una profonda presa di coscienza nelle fabbriche da parte di una massa crescente di lavoratori e lavoratrici, che erano l’embrione di quel grande movimento sindacale che ha poi accompagnato la storia del nostro paese e che purtroppo ancora oggi si trova a subire gli attacchi dei fascisti (vedi l’assalto alla CGIL a Roma il 9 ottobre scorso), ed è sempre più sotto attacco sul fronte del diritto al lavoro, come prerogativa di dignità e sviluppo umano.”
Landini ha poi ricordato come quelle due guerre che non a caso sono state definite mondiali per l’entità senza precedenti di morti e devastazioni, “sono partire proprio da qui, in Europa. Per questo non possiamo in alcun modo giustificare l’aggressione di Putin e non possiamo non essere solidali con l’Ucraina. E non possiamo non ascoltare il monito del Papa, che da tempo cerca di metterci in guardia contro l’eventualità catastrofica di una Terza Guerra Mondiale: sempre meno ascoltato, addirittura sbeffeggiato, come se non sapessimo delle testate nucleari in possesso della Russia e della possibilità sempre meno remota che vengano utilizzate…” ha concluso Landini, auspicando il più immediato ritorno alla diplomazia e al negoziato.
Auspicio ribadito anche dal Presidente dell’ANPI Nazionale Gianfranco Pagliarulo, che ha pronunciato un discorso brevissimo, forse per sfumare gli attacchi di cui è stato oggetto nei giorni scorsi. “Nel giorno della memoria della Liberazione, non avremmo mai voluto un 25 aprile con questa guerra e invasione, con questo strazio quotidiano. Il primo pensiero va alle vittime, ai feriti, ai profughi, a un popolo intero che vive queste settimane come tempo della catastrofe. (…) Lasciamo perdere le armi, i missili, torniamo al più presto alla diplomazia, pensiamo agli ucraini, alle famiglie, ai ragazzi, alla loro vita spezzata, la vita di coloro che vogliono vivere in modo giusto. Su questo non ci devono essere schieramenti o incertezze, c’è la vita contro la guerra, la speranza contro la disperazione. Facciamo di questo 25 aprile il giorno della speranza. Uniamoci tutti per chiedere che si apra un negoziato: che la bandiera della Costituzione possa sventolare per ribadire che l’Italia ripudia la guerra”.
Oggi si sognava che fosse davvero la Festa della Liberazione, come se la guerra fosse finita. Si sentiva la voglia di imporsi con la musica, le voci, i colori, la gioia di vivere, fino a superare il frastuono delle bombe e le immagini di morte e distruzione, come per ribadire che l’essere umano è capace di fare molto meglio, che la guerra è il peggio e che, se venne superata allora, va superata anche adesso.
Per quanto a inizio corteo fosse consistente la parte degli ucraini con i loro colori, nessuno oggi inneggiava alla guerra, alla vendetta, alla “vittoria”, ma al superamento della logica bellicista, foriera di morte. Oggi la fine delle guerre passa per un movimento collettivo mondiale che superi l’homo homini lupus, che metta in soffitta una volta per tutte le fabbriche di armi, di distruzione, di morte.