Il massacro di Iguala, la città dello stato del Guerrero dove è stata data la caccia ai normalistas della scuola rurale di Ayotzinapa, non solo continua a sconvolgere il Messico a quasi tre mesi di distanza dai fatti, ma legittima il sistema su cui fonda lo Stato: intimidazioni, minacce, repressione e violenza. Ormai il sistema politico del Messico può essere definito in mille modi: narcocrazia, democratura o, più semplicemente, fascismo.
È fascista il metodo di picchiare chi dissente, come lo è la limitazione del diritto a manifestare. Nei giorni scorsi Javier Herrnández Valencia, commissario Onu per i diritti umani in Messico, ha denunciato le minacce ricevute dai genitori dei 43 normalistas desaparecidos, evidenziando inoltre che sta montando nel paese una campagna per diffamare gli studenti di Ayotzinapa. Finora sono state arrestate circa 80 persone per i fatti di Iguala ed è stato appurato, grazie alle analisi svoltesi in un laboratorio austriaco, che i resti di un giovane desaparecido corrispondono al dna di uno dei 43 giovani bruciati e gettati nella discarica di Cocula. L’Equipo de Antropología Forense argentina ha infatti identificato Alexander Mora Venancio: è questo il nome dello studente di cui sono stati analizzati i resti ossei.
Eppure non basta: lo Stato è colpevole e assente. Nei giorni scorsi, in occasione della commemorazione dello storico incontro che avvenne a Città del Messico tra Emiliano Zapata e Francisco “Pancho” Villa, nella capitale si è svolta un’altra imponente manifestazione per chiedere verità e giustizia per i desaparecidos. Il corteo si è tenuto solo due giorni prima che la Camera dei deputati autorizzasse la riforma costituzionale che autorizza lo stato a limitare la libertà di riunione, manifestazione ed espressione. Enrique Peña Nieto, il presidente messicano che in molti si augurano a breve di non vedere più a Los Pinos, ha preso ulteriori contromisure: non solo mette il bavaglio alla libertà di manifestazione, ma ordina una repressione sempre più violenta ad ogni corteo di protesta. Il pugno duro è lo strumento che utilizza Peña Nieto: sa che può farlo grazie ad una zona grigia che si mantiene indifferente di fronte all’utilizzo del narco-sicariato come strumento di lotta politica.
Guillermo Almeyra, editorialista del quotidiano La Jornada, sostiene che solo Andres Manuel López Obrador (popolarmente conosciuto come Amlo), il leader di Morena (Movimiento Regeneración Nacional), sarebbe in grado di spodestare elettoralmente Peña Nieto: per due volte è andato vicinissimo ad aggiudicarsi le elezioni presidenziali se, in entrambe le circostanze, non si fossero perpetrate illegalità di ogni tipo. Nel 2006 perse per un soffio a seguito di acclarati brogli elettorali: per mesi il Paseo de la Reforma di Città del Messico fu bloccato dai suoi sostenitori che denunciavano el fraude, ripetutosi anche nel 2012: nel primo caso, a beneficiarne, fu Felipe Calderón, nel secondo Peña Nieto, grazie anche alla smaccata propaganda delle principali televisioni messicane, Televisa e Tv Azteca. Lo stesso Guillermo Almeyra, però, bacchetta Amlo: secondo il giornalista sta temporeggiando troppo in attesa che Peña Nieto abbandoni la presidenza anche sotto la spinta dei settori più conservatori e legati al capitalismo, ma è difficile che ciò accada da un momento all’altro.
Nel frattempo, lo Stato prosegue il suo lavoro sporco. L’ultima prova si è avuta il 15 dicembre, quando il concerto rock Festival una luz en la oscuridad, in programma nella città di Chilpancingo (stato del Guerrero), è stato assaltato dalla polizia durante i preparativi. Il concerto avrebbe dovuto rappresentare un nuovo evento per ricordare i desaparecidos di Iguala ed era stato organizzato da genitori e studenti della Normal Rural di Ayotzinapa e della Universidad Nacional Autónoma de México (Unam) insieme alla Coordinadora Estatal de los Trabajadores de la Educación de Guerrero (Ceteg). L’attacco della polizia, che ha lasciato sul campo 14 feriti tra studenti e genitori, pare che sia stato provocato dalle violenze immotivate compiute da un gruppo di agenti in evidente stato di ebbrezza, alcuni dei quali addirittura sotto l’effetto di droghe. Tra i feriti, dopo che i giovani avevano cercato di dialogare con gli agenti, anche un corrispondente di Ap e un giornalista indipendente. Alla violenza delle squadracce poliziesche si affianca quella della politica. Il decreto anti-manifestazioni, approvato dai parlamentari del Partido Revolucionario Institucional, del Partido Acción Nacional e del Partido Verde Ecologista (ma che in aprile aveva ricevuto anche l’appoggio del Partido de la Revolución Democrática), serve per mettere a tacere qualsiasi dissenso o protesta: il Messico è cosa loro, e quel Pacto por Mèxico che una volta accomunava solo Pri e Pan, adesso si estende a tutto l’arco parlamentare.
Di fronte ad uno Stato ormai in decomposizione, la risposta più forte viene, ancora una volta dal movimento studentesco, ma con alcune novità. I giovani che si oppongono al sistema al gobierno mafioso y filofascista, per utilizzare uno slogan che risuona nelle piazze e nelle manifestazioni, non sono più solo quelli delle Normales rurales y urbanas, che vantano storicamente una forte tradizione di lotta, e della ribelle Unam. Ad esempio, gli studenti del Politécnico, considerati una delle fucine della classe dirigente del futuro, sono tra coloro che hanno espresso maggior vicinanza ai normalistas di Ayotzinapa. Anche in questo caso, il governo risulta delegittimato una volta di più, ma non è il primo caso in cui gli studenti di un’istituzione universitaria vicina al potere si ribellano e prendono in contropiede quel sistema politico che invece credeva di poter contare su di loro. La campagna elettorale di Enrique Peña Nieto era stata contrassegnata dalla contestazione del movimento studentesco #YoSoy132, i giovani dell’università privata Iberoamericana, anch’essa considerata luogo di formazione della futura classe dirigente del paese: gli studenti imputarono a Peña Nieto la responsabilità della violenta repressione scatenata contro la gente di Atenco, avvenuta nel 2006, per mettere in discussione la costruzione del nuovo aeroporto di Città del Messico. Allora Enrique Peña Nieto rivestiva la carica di governatore. Gli studenti dell’Iberoamericana che espressero il loro rifiuto contro Peña Nieto erano 131: da qui nacque il movimento significativamente autonominatosi #YoSoy132.
Los jóvenes y los trabajadores tienen la palabra, si dice nel Messico dal basso: non è sicuro che le loro mobilitazioni riescano a mettere in scacco la democratura messicana, ma rappresentano comunque una luce nel futuro di un paese che si presenta incerto e oscuro.
Di David Lifodi