È la class action più grande della storia sudafricana: 25.000 minatori, provenienti dal Sudafrica o dai paesi vicini dipendenti o ex dipendenti di 30 compagnie del settore aurifero, chiedono un risarcimento danni per aver contratto malattie polmonari legate al lavoro in miniera.
Da oltre cento anni in Sudafrica sono in vigore leggi che impongono ai datori di lavoro di non esporre i dipendenti a quantità eccessive di polveri, risultato dell’attività di estrazione. Tre anni fa l’avvocato Richard Spoor è riuscito a ottenere la prima condanna per negligenza per mancato rispetto di queste norme: da qui ha preso il via la class action, tuttora nella fase istruttoria visto l’enorme numero di elementi e testimonianze da raccogliere. La prima udienza è prevista il prossimo ottobre.
Il centro dell’azione legale è in particolare la circostanza che molti minatori, dopo decenni di lavoro nelle gallerie, abbiano contratto la silicosi, malattia polmonare incurabile e invalidante, che impedisce di respirare correttamente e – di conseguenza – di compiere sforzi, oltre a rendere più vulnerabili alla tubercolosi.
Per anni, prima e durante il regime dell’apartheid, il governo sudafricano ha sostenuto che grazie alla normativa in vigore i casi di silicosi nelle miniere d’oro, in particolare nella zona del Rand, erano i più bassi al mondo (le statistiche ufficiali indicavano valori inferiori all’1%). Inchieste condotte dal ricercatore australiano Jock McCulloch, tuttavia, hanno dimostrato come questi numeri fossero stati deliberatamente falsificati dalle autorità e vi sia stata, invece, una sostanziale continuità con i tassi di infezione degli anni Venti (che al momento del picco erano di oltre il 40%).
Al momento le compagnie minerarie contestano la base dell’azione legale, sostenendo che non è del tutto provato che l’attività mineraria sia la causa dell’aumento dei casi di silicosi. Cinque di loro, tuttavia, hanno recentemente costituito un tavolo tecnico per affrontare il problema delle malattie polmonari.