Ormai è guerra nel cuore dell’Europa. Tutti ne parlano e tutti ne scrivono. Se mi permetto d’intervenire è soprattutto per sottolineare le possibili conseguenze per il nostro paese. Argomento che passa al momento abbastanza inosservato, e forse anche giustamente, visto che ci si interroga innanzitutto sulle implicazioni generali del conflitto.
La situazione è certo pesante. Bisogna sventolare le bandiere della pace, sperando che nel comune sentire si affermi l’idea della scandalosa immoralità della guerra, e che l’urlo d’angoscia dei popoli divenga così assordante da spaccare i timpani dei potenti costringendoli a desistere. Non sarà facile, perché intanto loro, i potenti della terra, spontaneamente non si fermeranno. In questa guerra non ci sono buoni da potere distinguere dai cattivi. Hanno tutti la coscienza sporca in questo scontro tra potenze imperiali per il controllo di questa parte di mondo.
In questo momento il passo più sconsiderato lo ha compiuto la Russia, che ha approfittato delle giuste rivendicazioni di autonomia e libertà delle popolazioni del Donbass, per scatenare una guerra strategica al fine di riprendersi quel ruolo di grande potenza mondiale, perduto con la fine dell’URSS. Ma dietro la guerra stanno ugualmente le colpe storiche degli USA, che dopo la fine dei blocchi pensavano di essere i padroni del mondo, e che contravvenendo al buon senso, e a quanto si dice avessero promesso all’atto dello scioglimento del Patto di Varsavia, hanno allargato la NATO verso est, mettendo le proprie armi a ridosso dei confini russi, e continuando imperterriti a mettere il naso nelle vicende ucraine, dal colpo di Stato del 2014 alla guerra civile nelle regioni orientali. Insomma uno scontro tra potenze criminali, rispetto alle quali, più che mantenersi equidistanti, bisognerà rimarcare la propria abissale diversità.
In tutto questo l’Europa è una perfetta ameba. Il suo destino è stato segnato negli anni novanta, quando, fosse stata più coesa e consapevole del proprio ruolo, avrebbe dovuto pretendere lo scioglimento della NATO, avviando per proprio conto un vero processo di unificazione politica, invece di limitarsi ad una (imperfetta) unione monetaria, (seppure non senza il pericolo di montarsi la testa e porsi come nuova superpotenza nello scacchiere della geopolitica). Ma le cose non sono andate così, e l’Europa è quella che pagherà il prezzo più alto nell’attuale crisi internazionale.
Ed è qui che si pongono tutti i rischi a cui, con ogni probabilità, andrà incontro il nostro paese. Intanto accenniamo appena alle pesanti conseguenze che potrebbero aversi sul piano strettamente militare, specialmente in zone come la Sicilia che risulta sovraesposta, sia per la sua strategica collocazione geografica, sia per la conseguente e cospicua presenza armata della NATO. Non approfondiamo la questione, non perché non di rilevanza centrale, ma perché al momento gli sviluppi sul campo della guerra sono del tutto imprevedibili.
E’ certo invece che le conseguenze economiche dello scontro saranno molto pesanti per tutti i paesi europei. Come è ovvio, saranno innanzitutto i prezzi dell’energia a crescere in modo esponenziale, con inoltre il probabile prodursi di strozzature nel commercio internazionale e nella catena di approvvigionamento delle materie prime. E’ probabile che questo produca un rallentamento, o forse anche un ridimensionamento, dei processi produttivi, con la conseguenza di un calo generalizzato della offerta. In questo caso è molto probabile che, fra tutti i paesi europei, sarà l’Italia quella ad andare più in affanno. Intanto perché siamo tra quelli che maggiormente dipendono dall’importazione dell’energia, col gas russo che in particolare copre quasi il 50% del nostro fabbisogno. Non è un caso che lo stesso Draghi, per quanto da sempre paladino della finanza globale, abbia sollevato qualche dubbio sulla consistenza delle sanzioni da applicare alla Russia. Se poi a questo, come abbiamo ipotizzato, si dovesse aggiungere una ulteriore difficoltà nell’approvvigionamento delle materie prime, i guai per il nostro paese sarebbero raddoppiati, perché, come si sa, il nostro impianto produttivo si fonda soprattutto sull’industria di trasformazione.
Un discorso a parte merita poi l’inflazione, già da tempo in continua crescita, e che potrebbe avere una ulteriore e grave impennata proprio grazie a quanto abbiamo detto sulla crescita dei costi dell’energia e sullo squilibrio che si potrebbe determinare tra la domanda ed un’offerta ridimensionata. Tanto più che per sua natura l’incertezza politica, e a maggior ragione la guerra, hanno avuto da sempre un effetto deleterio sulla stabilità dei prezzi. Di fronte ad una tale eventualità la reazione della BCE sarebbe quella di implementare politiche fortemente recessive con conseguenze catastrofiche per i debiti sovrani e, ca va sans dire, soprattutto per i nostri conti pubblici, da sempre i più disastrati tra i maggiori paesi del continente. Insomma per noi potrebbe mettersi proprio male.
Certo nulla si può dare per scontato e, inoltre, qualunque previsione nell’attuale incertezza è sempre un po’ azzardata. Va poi detto, che anche di fronte ai peggiori scenari, molto dipenderebbe dalle scelte delle istituzioni europee, e dallo spirito di solidarietà e coesione che saprebbero mettere in campo. Ma su questo ,visto i precedenti, non si può che essere scettici. Non ci resta dunque che puntare tutto su un forte movimento pacifista, capace di fare sentire la sua voce in modo fermo e senza indulgenze per nessuno. Un pacifismo antagonista contro le miserie della guerra e contro i suoi tristi paladini.