Sono ancora vivide e raccapriccianti le scene che, in momenti diversi, abbiamo visto: la polizia che blocca i giovani in procinto di sfilare, per dimostrare le loro istanze, con metodi brutali che speravamo sorpassati dalla storia.
Non entriamo nel merito delle motivazioni e dei contenuti delle proteste; lasciamo che siano i giovani a esporli, ma siamo scandalizzati dal modo in cui la questura torinese ha deciso di procedere nei loro confronti.
Una feroce opposizione muscolare si è abbattuta sulle teste dei ragazzi e delle ragazze che rivendicavano il proprio diritto di manifestare, provocando numerosi feriti, l’intervento delle autoambulanze per i colpi alla testa dei manganelli e lo svenimento di persone che hanno dovuto ricorrere alle cure dei pronto soccorso.
E dopo che l’indignazione aveva già attraversato i cittadini torinesi per le violenze durante il corteo in difesa del centro culturale Comala, persino discusse in consiglio comunale, ecco lo scenario ripetersi con gli studenti e le studentesse in piazza Arbarello.
La giustificazione che tale risposta sia stata necessaria per fare rispettare il divieto di manifestazione dovuto alle restrizioni anticovid non ci sembra esaustiva e neppure dignitosa per la storia civile di questa città.
Le misure anticovid vanno fatte rispettare e la legislazione vigente propone diverse indicazioni, ma non certo il ricorso alla violenza. Tra l’altro è paradossale, in un contesto di emergenza sanitaria, riempire i pronto soccorso di feriti provocati dall’imposizione brutale delle norme anticovid.
Come cittadini e cittadine chiediamo che – come sta già facendo la società civile – anche le istituzioni di questa città: il Comune, la Questura, la Procura, la Prefettura avviino una seria riflessione su come intendono gestire le istanze dei giovani e delle giovani che sono fra i più colpiti dalle diseguaglianze esacerbate dalla pandemia e fra i più attivi nella politica e nella società e difendere il loro diritto di parola e manifestazione sancito dalla Costituzione Italiana (Art.17 e 21) e dalla Carta Europea dei Diritti Fondamentali (Art.11).
Sono molti i temi critici su cui i giovani ragionano e protestano, e il conflitto socio-economico che si manifesta con le proteste di piazza richiede non la repressione ma il confronto, per avanzare nel campo dei diritti e delle conquiste sociali e culturali.
Noi cittadini e cittadine, appartenenti ad associazioni, partiti e sindacati siamo estremamente preoccupati della crescente repressione che viene rivolta contro le istanze politiche e sociali che provengono da più parti.
Quando vediamo il sangue dei giovani sulle strade della nostra città non possiamo non temere una deriva autoritaria della Democrazia che invece ha bisogno di confronto, a volte anche aspro e conflittuale, ma che andrebbe mantenuto entro le regole del confronto civile.
Nei video che abbiamo visto i poliziotti manganellano a sangue giovani inermi e non armati, tentano di strangolarli, li prendono a calci o schiaffoni. Queste forme di violenza diretta e gratuita crediamo debbano venire perseguite penalmente, così come occorre comunque rivedere le modalità con cui, chi ha la responsabilità di assicurare l’ordine pubblico intenda continuare a gestire le presenze in piazza.
In merito alla individuazione delle responsabilità dei singoli appartenenti alle FF.OO. ci preme ricordare e sottolineare che manchiamo ancora in Italia della legge che rende obbligatorio il numero identificativo sulle divise, come accade nella maggior parte delle nazioni europee e come Amnesty International sottolinea nella sua campagna dedicata a questo argomento proprio per la nostra nazione.
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Comitato mamme in piazza per la Libertà di Dissenso
Centro Studi Sereno Regis
ANPI Sez. Nizza Lingotto