Oggi, 27 gennaio 2022, ricordiamo la liberazione del più grande e famoso campo di sterminio del Terzo Reich nazista: Auschwitz
L’Armata Rossa giunse ai cancelli di Auschwitz nell’ambito della vasta e strategica operazione d’attacco Vistola-Oder, che permise ai sovietici di avanzare in pieno inverno fino al cuore del Reich e di raggiungere Berlino in meno di 4 mesi, grazie alle offensive guidate dai generali Ivan Konev e Georgij Zukov, Marescialli dell’Unione Sovietica.
Una testimonianza diretta dell’arrivo dei sovietici (Primo Levi, La tregua, Capitolo 1 “Il disgelo”):
“La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Sòmogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni di camera. Rovesciammo la barella sulla neve corrotta, ché la fossa era ormai piena, ed altra sepoltura non si dava: Charles si tolse il berretto, a salutare i vivi e i morti.
Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi.
A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era più alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo.
Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo.
Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo.“
Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi.
A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era più alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo.
Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo.
Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo.“
Per ricordare questo evento e trasmettere alle generazioni future la memoria e la conoscenza dei lager nazisti, l’Italia ha approvato la Legge 211 del 20 luglio 2000 che afferma: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte” e che “sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa“.
Nel 60° anniversario della liberazione di Auschwitz, anche l’Assemblea Generale dell’ONU ha riconosciuto il 27 gennaio come giornata della memoria, votando il 1° novembre 2005 l’apposita risoluzione 60/07.
Per quanto riguarda l’Italia, la persecuzione contro le persone ritenute di “razza ebraica” accelerò dopo la disfatta italiana dell’8 settembre 1943, quando il nord venne occupato militarmente dai nazisti: il comandante in capo delle forze armate tedesche in Italia, il Feldmaresciallo Albert Kesselring, diramò un’ordinanza per cui “il territorio dell’Italia a me sottoposto è territorio di guerra” e subordinò alle sue direttive tutte “le autorità e le organizzazioni civili italiane”, anche nell’ambito della deportazione.
Tenendo conto che tra l’estate del 1940 e quella del 1943 circa 400 ebrei italiani antifascisti e 6.000 ebrei stranieri vennero internati in campi di concentramento o confinati, è l’8 settembre 1943 che segnò lo spartiacque tra la fase della negazione dei diritti e quella della persecuzione contro la vita, ovvero l’avvio delle deportazioni su larga scala.
I rastrellamenti e la deportazione verso i campi di sterminio nei territori del Reich avvennero rapidamente, sia per il corso della guerra che vedeva gli Alleati avanzare e le forze partigiane via via più numerose e organizzate, e sia per l’utilizzo degli elenchi degli appartenenti alla “razza ebraica” predisposti a livello provinciale dalle autorità fasciste italiane, secondo la legislazione razziale vigente dal 1938:
– 14 luglio 1938: pubblicazione del Manifesto del razzismo italiano
– 5 agosto 1938: pubblicazione della rivista “La difesa della razza”, anno 1 numero 1
– settembre-novembre 1938: promulgazione delle Leggi razziali fasciste
Le leggi razziali rappresentarono la scelta ufficiale della monarchia Savoia e del fascismo di Mussolini di perseguire un progetto metodico e pianificato di segregazione razzista, di negazione della dignità umana e complice dello sterminio.
Per quanto riguarda la deportazione razziale, dopo l’8 settembre 1943, nei territori della RSI erano rimasti circa 32.000 ebrei: di questi 24.000 si salvarono grazie al fatto di essere protetti, nascosti e aiutati a fuggire all’estero dai contatti stretti a livello personale, tra la popolazione e con le forze della Resistenza, mentre i deportati complessivamente furono circa 8.500, di cui circa 7.000 morti.
Per quanto riguarda i Triangoli Rossi, i deportati politici, furono circa 33.000.
Per quanto riguarda invece gli Internati Militari Italiani (IMI) furono circa 710.000, di cui circa 50.000 morti durante la prigionia nei lager.
Bibliografia:
Se questo è un uomo – La tregua, Primo Levi, Einaudi
Storia della deportazione dall’Italia 1943-1945. Militari, ebrei e politici nei lager del Terzo Reich, di Giuseppe Mayda, Bollati Boringhieri, 2002
Otto lezioni sulla deportazione. Dall’Italia ai lager, a cura di Bruno Maida e Brunello Mantelli, Quaderni della Fondazione Memoria della Deportazione, n° 1, 2007
Di pura razza italiana. L’Italia “ariana” di fronte alle leggi razziali, M. Avagliano-M. Palmieri, Baldini&Castoldi, 2013
Sitografia: