Thich Nhat Hanh, maestro buddhista zen, ha lasciato il suo corpo ieri, dopo averlo abitato per 95 anni su questo pianeta.
Ci ha così lasciato una delle figure più importanti del XX secolo, una di quelle che non aveva aderito alla contrapposizione dei blocchi e che ha dato un grande contributo alla nascita di una cultura universale, spirituale, nonviolenta.
Nelle due brevi occasioni in cui l’ho incontrato, una conferenza a Roma e una meditazione camminata a Firenze, ho avuto l’immediata e indiscutibile sensazione di essere davanti a un Maestro, Thai, come lo chiamano i suoi discepoli.
Il clero buddista vietnamita lo mandò a Parigi ai colloqui di pace dopo la fine della guerra in Vietnam; ma quel difficile compito gli costò l’esilio e solo nel 2005 il governo comunista permise al maestro di tornare nel suo amato paese, per cui ha organizzato infinite campagne di aiuto umanitario.
“Non c’è via per la pace, la pace è la via” è un libriccino che trascrive una sua conferenza a San Miniato a Firenze ma che è diventata un aforisma di una delle idee cruciali della sua filosofia: la strada del cambiamento passa per la meditazione, la trasformazione e la riconciliazione; qua quest’azione spirituale, intima, si fa insieme ad altri creando una rete di comunità (sangha).
Thai è il primo maestro buddhista che si rifà esplicitamente alle idee della nonviolenza e questo non solo per il suo incontro con Martin Luther King e la sua convergenza nella lotta nonviolenta per la fine della guerra in Vietnam ma anche per il suo contributo alla spiritualità della nonviolenza, quella spiritualità che si ritrova negli insegnamenti originari di tutte le religioni, tutte le dottrine spirituali di ogni angolo del pianeta.
I suoi insegnamenti sono stati e saranno un grande apporto alla cultura della nonviolenza, al salto evolutivo che l’Essere Umano è chiamato a compiere e meritano il nostro più sincero ringraziamento.