E’ passato un anno dalla storica data di entrata in vigore del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari.
Rammentiamo come sintesi di quanto si è detto le disposizioni dell’Art. 1 del trattato (il testo completo si trova per esempio in https://www.avvenire.it/c/mondo/Documents/trattato%20ITA.pdf). Il TPAN obbliga ogni Stato che vi aderisca a «non: (a) Sviluppare, testare, produrre, produrre, oppure acquisire, possedere o possedere riserve di armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari; (b) Trasferire a qualsiasi destinatario qualunque arma nucleare o altri dispositivi esplosivi nucleari o il controllo su tali armi o dispositivi esplosivi, direttamente o indirettamente; (c) Ricevere il trasferimento o il controllo delle armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari, direttamente o indirettamente; (d) Utilizzare o minacciare l’uso di armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari; (e) Assistere, incoraggiare o indurre, in qualsiasi modo, qualcuno ad impegnarsi in una qualsiasi attività che sia vietata a uno Stato Parte del presente Trattato; (f) Ricercare o ricevere assistenza, in qualsiasi modo, da chiunque per commettere qualsiasi attività che sia vietata a uno Stato Parte del presente Trattato; (g) Consentire qualsiasi dislocazione, installazione o diffusione di armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari sul proprio territorio o in qualsiasi luogo sotto la propria giurisdizione o controllo.»
L’obiezione fu, quando se ne cominciò a discutere: non bastava il Trattato di Non Proliferazione?
In primo luogo vi è una differenza di fondo fra il Trattato di Non Proliferazione (TNP) del 1970 e il TPAN. Il TNP fu voluto e negoziato solo dalle 5 (allora) potenze nucleari (USA, URSS, Gran Bretagna, Francia, Cina: anche se Israele aveva già l’atomica, ma ancora oggi non lo ammette ufficialmente) preoccupate unicamente di sbarrare la strada della bomba ad altri paesi. Tant’è vero che “concessero” il famoso Art. VI con la “promessa di marinaio” di proseguire “trattative in buona fede” per arrivare a un accordo di disarmo completo. Ipocrisia che è stata confermata da 9 Conferenze quinquennali di Riesame (quella del 2020 è stata rinviata a causa della pandemia), nelle quali gli Stati non nucleari hanno inutilmente chiesto l’avvio effettivo del processo di disarmo. Proprio dalla constatazione della pervicace determinazione degli Stati nucleari a non rinunciare a queste armi, nacque 16 anni fa nella società civile la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), la quale riuscì a presentare la questione all’ONU, che promosse il negoziato che il 7 luglio 2017 approvò il testo del TPAN. La partecipazione della società civile al negoziato ONU costituì una grande novità, ma anche la partecipazione di tutti gli Stati dell’ONU che lo volessero costituì una differenza abissale rispetto ai negoziati per il TNP.
La genesi del TPAN è stata letteralmente antitetica rispetto a quella del TNP, dal momento che gli Stati nucleari, come pure i “satelliti” della NATO, hanno sdegnosamente rifiutato di prendere parte al negoziato. Questo ha fatto sì che il negoziato si sia concluso in pochi mesi, mentre i negoziati per il TNP richiesero anni. Fra gli Stati che hanno ratificato il TPAN vi sono molti paesi minuscoli, che forse molti di noi non conoscevano neanche prima d’ora – come Antigua and Barbuda, Comoros, Fiji, Kiribati, Palau, Saint Kitts and Nevis, San Marino, Tuvalu, Vanuatu – come molti paesi sottosviluppati, poveri, sfruttati, marginali nell’arena internazionale che finalmente hanno una voce in capitolo, come ad esempio Bangladesh, Benin, Botswana, Brunei, Gambia, Jamaica, Namibia, Togo, Zambia.
Qui sta anche la grossa novità: Stati che finalmente hanno avuto voce in capitolo a dispetto dell’arroganza delle potenze nucleari1. Un fattore basilare di democrazia, come nell’Assemblea Generale dell’ONU, uno Stato un voto.
Ma qui stanno anche degli indiscutibili punti di debolezza del TPAN. Il primo è che fra gli Stati che hanno partecipato al negoziato è prevalsa la posizione di consentire lo sviluppo della tecnologia nucleare per usi civili.
Un secondo punto è stato molto più controverso, il riconoscimento della possibilità per gli Stati che aderiranno al TPAN di recedere da esso se sono a rischio “interessi supremi di un paese” (Art. 17): si ammette così implicitamente che le armi nucleari possano essere indispensabili, contraddicendo così la loto proibizione ed eliminazione per sempre. Ma è stato chiaro nel corso del negoziato che senza questa clausola di recesso molti Stati non avrebbero approvato il TPAN. Giova ricordare che il TNP riconosce esplicitamente il diritto di recesso con 3 mesi di preavviso senza nessuna condizione: è quanto fece la Corea del Nord, al colmo delle minacce degli Stati Uniti, realizzando così in tre anni la bomba.
Un punto chiave per i prossimi passi sta nel “forzare” qualche paese della NATO a rompere l’ordine di scuderia firmando il TPAN. Riteniamo si debba dire che l’esasperazione della crisi ucraina sembra non facilitare questa cosa, perché la NATO è diventata una vera testa d’ariete per stringere l’assedio alla Russia, la quale per una serie di motivi sia di sicurezza che storici non può assolutamente cedere sull’adesione dell’Ucraina alla NATO. Tanto più stupisce, a nostro avviso, e preoccupa la miopia di tanti paesi europei i quali – a differenza di quelli dell’Est europeo – dovrebbero avere tutto l’interesse ad opporsi a questa operazione e a mantenere un’Ucraina neutrale (la Germania in particolare, in tempi di Tassonomia europea che sdogana nucleare e gas, avrebbe assoluto bisogno del retroterra ucraino per le forniture di gas e altre risorse energetiche, ma i Verdi tedeschi per primi sembrano contraddire questo fatto!
Come siamo messi in Italia? Il panorama non è incoraggiante perché l’arcipelago pacifista non ha trovato una voce unica per chiedere al governo di fare questo passo! Noi crediamo che dirigenti e organizzazioni dovrebbero fare un passo indietro e (re)imparare a sentire le voci dei militanti, della popolazione, delle/i giovani, i/le quali – non abbiamo alcun dubbio – vorrebbero che ci fosse una voce unica per fare pressione sul governo.
Ma riteniamo giusto anche dire che sul piano internazionale ci sembra di scorgere qualche tono trionfalistico che ci sembra inadeguato. Ad oggi i paesi che hanno ratificato il TPAN sono 59, una anno fa il 22 dicembre del 2021 erano 51: in un anno si sono aggiunte 8 ratifiche, un ritmo quasi dimezzato rispetto alle 51 nei tre anni precedenti. Il realismo ci sembra l’atteggiamento più corretto nella presente situazione. Siamo comunque sotto la metà degli stati (122) che nel 2017 approvarono il trattato all’ONU. E il totale di 86 stati firmatari è sotto la metà degli state aderenti all’ONU.
Un appuntamento cruciale per il TPAN sarà la riunione degli Stati membri a Vienna nel prossimo mese di marzo. Come sarà cruciale la decisione di altri Stati (Svezia, Germania) di partecipare come osservatori: anche questo costituirà una rottura agli ordini di scuderia della NATO.
1. A chi non lo conoscesse (senza dubbio i giovani) raccomanderei la visione di un capolavoro di satira del lontano 1959, il film Il ruggito del topo, in cui il grande Peter Sellers interpreta 4 o 5 personaggi diversi. Il tema è il minuscolo Ducato di Grand Fenwick la cui unica fonte di ricchezza è l’esportazione del famoso vino omonimo. Allorché questo viene fabbricato anche dagli Stati Uniti le finanze del Ducato subiscono un tracollo irreparabile. Viene allora adottato il piano di dichiarare guerra agli Stati Uniti, perderla, poi ottenere delle sovvenzioni finanziarie. La dichiarazione di guerra viene cestinata dal Dipartimento di Stato, mentre un gruppo di soldati armati di corazze, archi e frecce, s’imbarca su di un battello. Giunti a New York, trovano la città deserta poiché è in corso un’esercitazione antiatomica. I guerrieri girano per le ampie strade deserte e pensano che gli Stati Uniti siano in allarme per il loro sbarco, ma vagano in cerca di qualcuno che possa vincerli, perché questa è la loro missione. Così s’imbattono nel professor Kokinz, che incurante dell’allarme sta dando gli ultimi tocchi alla bomba Q, enormemente più potente della bomba H ma delle dimensioni di una palla da rugby. Hanno allora l’idea geniale di prendere prigionieri il professore e sua figlia, con la bomba, ed anche il generale Ship, che con quattro agenti stava cercando i guerrieri di Grand Fenwick, scambiati per marziani. Tutta la comitiva viene fatta salire sul battello, che la riporta in Europa. All’arrivo nel Ducato costernazione generale perché il compito era di perdere la guerra, ma quando si viene a sapere che il Ducato è in possesso della bomba Q, i maggiori Stati del mondo mandano i loro agenti a trattare l’acquisto, mentre gli Stati Uniti sono costretti a firmare la resa. Le finanze del Ducato rifioriscono. Ma qualcuno cerca di rubare la bomba, e si innesca una specie di partita a rugby, e la bomba ruzzola a terra: terrore generale, la bomba produce un certo rumore ma … salta fuori un topolino.